“Credere, obbedire…comunicare”. Il fascismo e la costruzione del lessico populista

Lectio magistralis di David Bidussa; presenta Claudio Vercelli
Testo di riferimento “Me ne frego”, Chiarelettere 2019
Parole chiave: linguaggio, contaminazione ideologica e immaginario collettivo

Cosa resta del fascismo a più di settant’anni dalla sua sconfitta storica, con la conclusione della tragedia della Seconda guerra mondiale? Per quale ragione ne parliamo ancora? Al di là dei regimi che si ispirarono a quell’ideologia, ciò che rimane è un calco profondo, di natura subculturale, non esauritosi nel 1945 ma riflessosi nei decenni successivi, fino ad oggi, come una sorta di fiume carsico. Se forse non esiste un “fascismo eterno”, quasi un azzardo al di fuori dalla storia, senz’altro è rimasta un’impronta ideologica che continua a manifestarsi. Sia nei movimenti e nei partiti neofascisti, che si richiamano apertamente alla terribile eredità di quel tempo, sia in una più generalizzata propensione a fare proprie modalità di interpretazione e di condivisione delle relazioni sociali di cui il fascismo fu la manifestazione più violenta, conclamata e potente.
Ha quindi un senso indagare e riflettere su fascismo e neofascismi, tra rifiuto del pluralismo, negazione del diritto alla differenza e ricerca dell’uniformità intesa come cancellazione di ogni forma di emancipazione individuale e collettiva. In una miscela di coercizione estrema e consenso passivo. Ciò ci può aiutare a ragionare sui limiti delle democrazie sociali quando esse non riescono più a raccogliere e ad affrontate il disagio sociale, l’angoscia che il mutamento genera nelle collettività, la paura di un futuro che si traduce nell’autoinganno di una visione mitologizzata del passato, laddove alla realtà delle macerie si sostituisce la finzione di una falsa gloria.

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