Cultura
Un muro, tanti muri. Passato e presente tra diritto e disuguaglianza

Storia e storie prima e dopo la caduta del muro, viste con gli occhi di Danilo De Biasio, giornalista e direttore del Festival dei diritti umani

Nonna Alba era nata nel 1904 in un paese del Friuli. Contadina figlia di contadini, non aveva girato il mondo: il mondo le era entrato in casa. Durante la Prima Guerra Mondiale la grande casa colonica fu requisita dai “tedeschi” in avanzata verso ovest dopo lo sfondamento di Caporetto. Colpita dalla micidiale “spagnola” fu salvata da un ufficiale americano,“un bell’uomo”, ricordava. Durante la Seconda Guerra Mondiale dalla casa di nonna Alba si vedevano le traiettorie degli “Stuka” e delle “Fortezze volanti” intrecciarsi a ore alterne; e ogni tanto qualche partigiano scavalcava il muro di sassi per scappare ad una retata nazista.

Nonna Alba nel 1989 passava quasi tutto il suo tempo nel tinello, con la televisione accesa su programmi religiosi o di medicina. Davanti alle immagini del telegiornale con migliaia di tedeschi dell’Est che scavalcavano il Muro senza essere colpiti le chiesi con un grande sorriso:

  • Nonna, hai visto cosa sta succedendo a Berlino?

La risposta, in friulano stretto, non fu quella che mi aspettavo:

  • Io i tedeschi li ho conosciuti e non mi piace quello che sta succedendo.

Discorso chiuso.

E’ una risposta che non sono mai riuscito a digerire fino in fondo, l’ho sempre considerata ingiusta, motivata da ferite personali, ma è anche vero che non sono mai riuscito ad archiviarla come infondata. Il mondo tedesco per alcune generazioni e in particolar modo per alcune zone al confine orientale d’Italia era il nemico. O, al limite, un vicino troppo (pre)potente. Però non riuscivo ad arrendermi all’idea che il ragazzo che picconava il Muro potesse portare ancora la colpa di suo nonno o, potesse essere animato dalla sua stessa ansia di conquista e dominio. Nonna Alba aveva ragione a metà: l’economia tedesca si è rivelata – dopo una lunga fase di assestamento – in grado di condizionare gran parte delle scelte dell’intera Europa, ma non è egemone. Immagino il commento del grande germanista Gian Enrico Rusconi: “ci credo: il sogno egemonico tedesco è stato sconfitto due volte in mezzo secolo. E a che prezzo!”

Il mio 1989 è cominciato nel 1988. Giovane caporedattore di Radio Popolare, ho avuto la fortuna di lavorare con alcuni geniali giornalisti come Paolo Hutter. Un anno prima dell’abbattimento del Muro di Berlino mi propose – parole testuali – di “fare un giro per le capitali dell’Est” perché, spiegava Paolo Hutter, “sento che qualcosa sta succedendo”. Avrebbe fatto questo giro in treno, andando nelle facoltà di italianistica di Berlino Est, Praga, Budapest, Sofia, Bucarest ingaggiando studenti come corrispondenti per Radio Popolare. Fu un’invenzione giornalistica straordinaria, che ci permise di cogliere i segnali di cambiamento epocali sempre un passo prima degli altri organi di informazione. Paolo Hutter decise mesi dopo di tornare a Berlino, che aveva individuato come anello debole dell’Impero sovietico, per raccontare le manifestazioni che s’ingrossavano senza mai essere represse. Ricordo una sua corrispondenza che segnò un punto di non ritorno: Paolo Hutter raccontava la creatività degli striscioni di un corteo, in particolare quello con scritto “scacco al Re”, che alludeva esplicitamente ad Honecker.

Per chi veniva da una corrente di sinistra che non aveva mai sopportato il dogmatismo repressivo del comunismo sovietico quei momenti furono una vera e propria Liberazione. Quando, pochi mesi dopo, vennero a proporci di comprare un elicottero dell’Armata Rossa che poteva servire per fare le dirette radiofoniche capimmo che qualcosa non stava andando per il verso giusto.

Sul fronte dei diritti umani cos’è cambiato da quella notte del 9 novembre di 40 anni fa? Non sfuggo alla domanda ma è molto difficile rispondere con dati universalmente accettati. Per ora fermiamoci a Berlino Est. La Costituzione della Repubblica Democratica Tedesca stabiliva all’articolo 6 “l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge”, abrogava tutte le norme precedenti “contrarie all’eguaglianza delle donne”, veniva garantita la “parità salariale”; assicurava “la libertà personale, l’inviolabilità del domicilio, il segreto postale nonché il diritto di scegliere liberamente la propria residenza”. Il film Le vite degli altri sarebbe sufficiente a smentire l’ipocrisia di quella Costituzione. Ma il parossismo diventa crudeltà se si pensa che la stessa Carta permetteva la libertà di stampa (“non viene esercitata nessuna censura alla stampa”) o all’emigrazione: gli oltre 100 morti ammazzati dai VoPos dal 1961 sono la più sanguinosa smentita.

Quei diritti fondamentali sono adesso rispettati? Sicuramente nessun tedesco viene più ucciso perché vuole emigrare; spiare l’appartamento dello scrittore sospettato di intesa con il nemico come faceva il capitano Gerd Wiesler nel film non è più di moda: è stato privatizzato anche lo spionaggio, basta un trojan nel tuo computer e forse te l’ha installato un contractor. Per la parità salariale uomo/donna la Germania è all’8° posto in Europa, mentre l’Italia è al 17°. Spostiamoci in Unione Sovietica: essere gay anche ai tempi di Breznev non era sicuramente una passeggiata, ma andateci ora, nell’era Putin a tentare di organizzare un gay-pride! L’elenco potrebbe continuare a lungo, in parte con dati, in parte con constatazioni personali. L’abbattimento del Muro di Berlino non ha probabilmente modificato sensibilmente la tutela dei diritti umani perché non dipende solo da quello che c’è scritto sulla carta ma dalla concretezza dei regimi e degli atteggiamenti culturali. Jonathan Holslag, nel suo monumentale Storia politica del mondo (il Saggiatore, 2019) spiega che la Pax romana “toccò in primo luogo una ristretta cerchia di privilegiati, una comunità dorata e chiusa di maggiorenti e leader politici; quindi, in misura minore, la classe media benestante della capitale e i suoi dintorni rurali; poi la massa di cittadini poveri e, in certe situazioni, gli schiavi più fortunati; da ultimo i popoli sottomessi che conducevano un’esistenza incerta ai margini dell’impero. Di conseguenza, nei territori periferici era necessario alla forza per garantire i rifornimenti di schiavi, oro, cibo, cavalli e altre risorse. In altre parole, per la maggior parte della popolazione la pace imperiale era sinonimo di sfruttamento, e lo sfruttamento inevitabilmente generava odio, resistenza e conflitti. La pace di cui godevano gli abitanti delle zone centrali degli imperi, quindi era spesso solo possibile dalle guerre che si combattevano lungo le frontiere”. Questa succinta spiegazione della Pax romana di Jonathan Holslag si adatta anche alla fase post-Muro, con libertà, diritti e anche sfacciata ricchezza, riservati a pochi, spesso i più furbi o più delinquenti. Una pace (relativa, molto relativa) che era garantita da guerre periferiche (quelle caucasiche, ad esempio, cominciate nel 1994) che creavano economie parallele, affari sporchi, odio ed estremismi.

Il fall-out di questa falsa pace è un restringimento dei diritti e delle disuguaglianze, un fenomeno che ha subito un’impennata dopo le Guerre del Golfo (fin dal 1991) e il terrorismo jihadista. Nessuno è autorizzato ad usare il vecchio proverbio “si stava meglio quando si stava peggio”, perché non tiene conto del carico di sofferenza che le vittime di quel “peggio” hanno provato e di cui si sono felicemente liberati. Ma non c’è dubbio che il Muro era metaforicamente – e non solo – una gabbia che conservava un mondo bipolare, a suo modo ordinato, anche se fortemente squilibrato. 

Adesso ci sono più muri di quando era in piedi quello che divideva Berlino. Christian Elia, che il 15 novembre sarà in libreria con Oltre il muro (Milieu Edizioni), cita lo studio dell’Università del Quebec che ne ha contati 63 in 67 stati. Che, paradossalmente, partono da basi opposte a quelle che hanno determinato la costruzione di quello di Berlino, anche se si pongono gli stessi obiettivi: nel 1961 era un sistema chiuso e frugale che voleva impedire ai suoi cittadini di realizzare il sogno dell’apertura e del benessere; oggi sono le nazioni dell’abbondanza a costruire barriere per paura di doverla condividere con un mondo che ne è stato privato.

Danilo De Biasio
collaboratore

Giornalista da parecchio, direttore del Festival dei Diritti Umani da un po’, curioso da sempre.


1 Commento:

  1. Non ho ancoraletto il libro ma dall articolo si evince che si critica anche il muro di gerusalemme , costruito invece per salvare le vite di migliai di ebrei e che ha ridotto del 94% gli attentati contro civili ebrei.


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