Cultura
Il cinema ebraico e israeliano in scena a Milano

I perché di una rassegna fondamentale, giunta alla sua dodicesima edizione

Si comincia il 4 maggio a Milano, presso lo Spazio Oberdan, la sede che ospita per cinque giorni la Rassegna del Nuovo cinema ebraico israeliano, organizzata dalla Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea – CDEC in collaborazione con il Centro ebraico Il Pitigliani e Fondazione Cineteca Italiana. Giunta ormai alla dodicesima edizione, la rassegna è diventata nel tempo un evento di notevole importanza culturale per la città lombarda.
La rassegna, infatti, interviene là dove il sistema di distribuzione cinematografico italiano è carente, nel tentativo di colmare una grave lacuna, in particolare per quanto riguarda il cinema israeliano. Il fatto che quest’ultimo si sia ormai consolidato come una grande realtà del nostro tempo, non è messo in discussione. Pellicole realizzate da cineasti israeliani sono apprezzate in tutto il mondo e insignite dei maggiori riconoscimenti del settore. Basti pensare alle più recenti kermesse cinematografiche internazionali, ad esempio il Festival del cinema di Berlino, dove, nei mesi scorsi, ha trionfato  Synonyms di Nadav Lapid, riconosciuto come uno dei registi più talentuosi del nostro tempo. O agli Oscar del 2019, dove Guy Nattiv ha trionfato per il cortometraggio Skin. Forse si potrà obiettare che, nei due casi appena citati, i registi hanno lavorato fuori dai confini dello Stato ebraico, rispettivamente in Francia e negli Stati Uniti, ma si tratta di una scelta spesso dovuta a questioni personali, tecniche o economiche. La sostanza non cambia e il nostro elenco potrebbe senz’altro aggiungere ulteriori nomi. Israele ha dovuto lavorare non poco per arrivare a emergere ad alti livelli in ambito cinematografico. Il cinema israeliano è tra i più ricchi, vari e produttivi, i suoi attori e i suoi registi sono tra i più apprezzati.

Allora sorge spontanea la domanda: per quale motivo in Italia non percepiamo che un’eco remotissima di questi successi? Anzi, per quale motivo i film israeliani che alla fine sono distribuiti nel nostro Paese, di fatto rispondono tutti a uno schema costante e ripetitivo, trattando soltanto del conflitto arabo-israeliano o, in alternativa, del mondo haredi-ultraortodosso? Di certo, il mercato ha leggi che il cuore e l’intelletto non conoscono e al pubblico tocca accettarle senza battere ciglio. Tuttavia, la distribuzione dei film israeliani, almeno in Italia, sembra essere molto influenzata dalla percezione generale nei confronti dello Stato ebraico, di cui per lo più si ignorano le reali condizioni di vita. La guerra e l’oltranzismo religioso, vero o presunto, sembrano essere gli unici elementi per cui vale la pena ricordare Israele. Israele, invece, è una piccola nazione traboccante di storie e il suo cinema le accoglie tutte, senza escludere nessuna sfumatura della realtà, senza tabù. Forse è questo il segreto del suo fascino. E del suo successo. La capacità di narrare le vicende di un fazzoletto di terra dove si è costruita una nazione in perenne movimento, fondata sul passato, assorta nel proprio presente e aperta al futuro. Stando così le cose, il ruolo delle rassegne cinematografiche e di questa rassegna in particolare, risulta fondamentale.

Ricordiamo però che il titolo del festival che si aprirà domani include anche l’aggettivo “ebraico”. Nella programmazione, infatti, non mancano mai documentari e piccole produzioni indipendenti, soprattutto italiane, che difficilmente troverebbero spazio altrove. Spesso – ma non solo – si raccontano storie che riguardano la Shoah, rimarcando il pluridecennale impegno della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea – CDEC in questo ambito. Sono episodi legati all’Italia, in gran parte sconosciuti, le vicende di uomini e di donne che finirebbero nel dimenticatoio della storia, se il lavoro di singoli individui non gettasse un po’ di luce su di ognuno essi. Ed è proprio questo l’aspetto che conta maggiormente in questa rassegna: diffondere il genio dell’attività quotidiana di chi usa lo strumento cinematografico per interpretare il reale, badando, almeno per una volta, alla sostanza del lavoro e ai suoi risultati, e non al semplice incasso.

Nuovo cinema ebraico e israeliano, Spazio Oberdan, Milano, dal 4 al 9 maggio

Sara Ferrari
Collaboratrice

Sara Ferrari insegna Lingua e Cultura Ebraica presso l’Università degli Studi di Milano ed ebraico biblico presso il Centro Culturale Protestante della stessa città. Si occupa di letteratura ebraica moderna e contemporanea, principalmente di poesia, con alcune incursioni in ambito cinematografico. Tra le sue pubblicazioni: Forte come la morte è l’amore. Tremila anni di poesia d’amore ebraica (Salomone Belforte Editore, 2007); La notte tace. La Shoah nella poesia ebraica (Salomone Belforte Editore, 2010), Poeti e poesie della Bibbia (Claudiana editrice, 2018). Ha tradotto e curato le edizioni italiane di Yehuda Amichai, Nel giardino pubblico (A Oriente!, 2008) e Uri Orlev, Poesie scritte a tredici anni a Bergen-Belsen (Editrice La Giuntina, 2013).

 


1 Commento:

  1. Una rassegna molto interessante,coinvolgente. Ancora più importante in queste ore drammatiche che sta vivendo Israele colpito da più di 450 razzi sparati dalla struscia di Gaza.


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