Joi with
World Humanitarian Day, una storia ebraica

Si celebra domani la giornata degli aiuti umanitari. Una lettera del direttore della Hebrew Immigrant Aid Society europea

Il direttore dell’HIAS Europa, Ilan Cohn, ci invia questo articolo cui abbiamo deciso di dare voce. Si parla di identità, forse in un modo meno consueto, perché quella ebraica, di cui si parla, ha a che fare con le persecuzioni, con l’essere profughi e – dunque – con l’aiuto umanitario. Sono connesse le due cose? Secondo Cohn lo sono strettamente.

Domani si celebra il World Humanitarian Day e questo racconto, per mano del direttore della Hebrew Immigrant Aid Society, nata nel 1881 per aiutare gli ebrei che fuggivano dalle persecuzioni in Europa, ora è impegnata a dare assistenza umanitaria ai rifugiati e ai migranti nel mondo, è uno stimolo a guardare al prossimo futuro. Un invito a prendere parte, a partecipare dei problemi del presente.

 

I nonni di Igor Chubaryov fuggirono dai pogrom. I suoi genitori insieme ad altri ebrei lasciarono
l’Ucraina dopo l’attacco dei nazisti. Quando Igor aveva 24 anni, fuggì dalla persecuzione
russa e si insediò a New York. Oggi Chubaryov aiuta altri rifugiati nel ruolo di Program manager per
HIAS a New York.
I nonni di Sabrina Lustgarten scapparono dalla persecuzione nazista in Polonia e trovarono rifugio in
America Latina. Oggi, Lustgarten è direttrice delle operazioni di HIAS in Ecuador e assiste centinaia di
migliaia di colombiani e venezuelani che fuggono dai loro paesi d’origine.
Chubaryov e Lustgarten sono motivati ad aiutare gli altri per la loro identità ebraica e le storie delle
loro famiglie. Lo stesso vale per tanti altri loro colleghi di HIAS, l’ONG ebraica globale che aiuta i
rifugiati, i richiedenti asilo e altre persone vulnerabili. La nostra organizzazione è stata fondata nel
1881 per assistere gli ebrei che fuggivano dai pogrom in Russia e nell’Est Europa. Oggi continuiamo
ad aiutare gli ebrei in pericolo – i miei colleghi in Venezuela forniscono aiuto umanitario alle
comunità ebraiche che si trovano nell’imminente rischio di sfollamento. Tuttavia, al giorno d’oggi
sono pochi gli ebrei rifugiati. HIAS gestisce 80 uffici sul campo con più di 1.000 impiegati dal Ciad alla
Colombia all’Ucraina che aiutano rifugiati non-ebrei.
Il 19 agosto, le Nazioni Unite celebrano il lavoro degli operatori umanitari con il World Humanitarian
Day. Quest’anno il Covid-19 ha reso il loro lavoro particolarmente difficile. Nel mezzo di quarantene
obbligatorie e restrizioni per la sanità pubblica, gli operatori umanitari rischiano la loro vita per
aiutare chi fugge dai conflitti, dalla violenza, dalle violazioni di diritti umani e dalle persecuzioni.
Nella maggior parte dei paesi europei, le organizzazioni cristiane come Caritas e World Vision sono
impegnate in prima linea da tanto tempo. La Direzione Generale per gli Aiuti umanitari e la
protezione civile della Commissione Europea (ECHO) collabora con 45 organizzazioni non
governative cristiane e 5 organizzazioni non governative musulmane, ma non con una sola ebraica.
La nostra storia e i nostri valori ebraici ci impongono la responsabilità di unirci a loro.
La necessità di aiutare i rifugiati è più urgente che mai. Alla fine del 2019, quasi 80 milioni di persone
nel mondo erano sfollate, il numero più alto nella storia. Contrariamente al pregiudizio comune di
una larga parte della popolazione, la grande maggioranza dei rifugiati non viene accolta in Europa o
nell’Occidente. Sono i paesi in via di sviluppo, i primi tra loro la Giordania e la Turchia, che ospitano il
95% dei rifugiati mondiali.
Il Covid-19 minaccia di rendere la crisi dei rifugiati una vera e propria catastrofe umanitaria. Già
prima della pandemia, numerosi rifugiati guadagnavano a stento abbastanza per mantenere le loro
famiglie. Adesso è più difficile trovare lavoro e più del 70% dei beneficiari di HIAS non riesce più a
soddisfare il proprio fabbisogno primario di cibo, paragonato al solo 15% del periodo precedente alla
pandemia.
L’assistenza di HIAS rappresenta un’ancora di salvezza in tanti paesi. In Ecuador, collaboriamo con i
supermercati locali affinché i rifugiati possano acquistare del cibo a credito. In Israele, abbiamo
formato una rete di volontari che consegna alimenti, e in Kenya i nostri colleghi continuano a offrire i
loro servizi online, incluso il servizio di supporto psicologico individuale.
Stiamo anche combattendo direttamente il Covid-19. Per esempio, nei campi profughi in Ciad
abbiamo costruito dei lavabi per lavarsi le mani, distribuito delle mascherine e fornito delle
informazioni sulla diffusione del virus.

Tra le nuvole oscure della pandemia, troviamo anche dei momenti di luce che vengono dai molti
rifugiati che, essendo riusciti a salvarsi, ora vogliono ricambiare ed aiutare. Per esempio, Bhagawat
ha usato le sue abilità imprenditoriali per consegnare delle mascherine e altri equipaggiamenti
protettivi ai cittadini di Washington D.C., mentre Zacha cucina dei pasti per i rifugiati in Perù.
Cosa potete fare voi per aiutarli?
Donare. Più di 100 organizzazioni ebraiche e israeliane hanno recentemente lanciato una campagna
di 10 giorni per raccogliere fondi ed esprimere solidarietà con i rifugiati. Le donazioni servono ora
più che mai, non solo per il bisogno crescente dei rifugiati in questo momento, ma anche perché
molti filantropi stanno ridimensionando i loro aiuti economici o li stanno reindirizzando ai loro paesi
per i bisogni legati all’emergenza Covid-19.
Informarsi. HIAS ha diffuso molte risorse, spesso legate alle festività ebraiche, che aiuteranno le
comunità locali a comprendere meglio i problemi dei rifugiati. Recentemente, HIAS ha tradotto la
HIAS Haggadah in francese, ed è pronto a supportare altre iniziative locali in Europa con risorse
adeguate.
Sostenere. I governi devono sapere che vogliamo prenderci cura dei rifugiati. La Commissione
Europea sta preparando un nuovo Patto su Migrazione e Asilo che prevederà la costruzione di nuovi
centri d’accoglienza alle frontiere europee. Questi centri devono essere utilizzati per accelerare le
legittime richieste d’asilo, e non semplicemente per accelerare i respingimenti.
La voce della nostra comunità a Bruxelles dovrebbe andare oltre la lotta all’antisemitismo e il
sostegno per Israele. Noi dovremmo chiedere, insieme alle altre comunità religiose, che l’Unione
Europea si impegni a trovare delle soluzioni per i rifugiati e per i paesi in difficoltà che li ospitano. Il
controllo delle frontiere è importante, ma questo approccio da solo non risolverà il problema dei
flussi migratori forzati.
Come il mio collega Igor Chubaryov, gli ebrei non devono dimenticare che anche noi siamo stati dei
rifugiati fin troppe volte nella storia. “HIAS ha iniziato ad aiutare perché chi aveva bisogno di aiuto
erano gli ebrei”, dice Chubaryov. “Adesso HIAS continua ad aiutare perché è ciò che noi ebrei
facciamo: aiutiamo.”


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