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Attenzione: Liliana Segre non è un’icona!

Cosa significa veramente stare dalla parte della senatrice? Una lezione di responsabilità, in seguito alla manifestazione milanese

Milano è scesa in piazza per Liliana Segre. Non una, ma ben due volte. La prima esattamente un mese fa, l’11 novembre, di fronte al Memoriale della Shoah. La seconda ieri, per iniziativa di centinaia di sindaci d’Italia, tra i fasti della galleria Vittorio Emanuele e di piazza della Scala. Ma non è solo Milano ad essersi mobilitata per un abbraccio ideale alla senatrice, dopo la notizia del profluvio di improperi e minacce a lei destinato ogni giorno. Dalla Sicilia al Trentino, dalla Toscana al Piemonte, a decine si sono accumulati i Comuni italiani che hanno scelto di conferire alla Segre la cittadinanza onoraria. Senza contare le migliaia di messaggi, pensieri, tweet e post di solidarietà e affetto. E non è difficile pensare che sentimenti simili muovano anche parte di tante altre piazze che si accendono l’una dopo l’altra in queste settimane, quelle delle Sardine.
Una mobilitazione senza pari, insomma, nel passato recente del Paese.
Tutto bene, dunque. Ferita rimarginata, o quanto meno vendicata. Una nuova consapevolezza collettiva. Così parrebbe, almeno.

Eppure. Eppure resta una strana sensazione in fondo al palato, come quando tutto sembra tornare ma una spia lascia intendere che non sia così. Di che si tratta? Qual è l’elemento fuori di posto?
La risposta l’ha data, senz’altro involontariamente, Matteo Ricci, il sindaco di Pesaro promotore della (benemerita) iniziativa dei Sindaci di ieri sera. Nel rispondere alle domande di Repubblica alla vigilia del raduno di Milano, Ricci ha annunciato che quella sarebbe stata anzitutto “la piazza di Liliana Segre, che è diventata un’icona della Repubblica e della Costituzione italiana”.
Ecco, attenzione. Questo non è ciò di cui abbiamo bisogno, in questo tempo di rabbia così concreta. Di Liliana Segre, delle sue parole, della sua testimonianza, del suo sorriso, quanto mai. Ma di farne un’icona, proprio no. Non di una figura statuaria, dunque inanimata, da venerare. Né di un’immagine digitale, dunque irreale, da condividere all’occorrenza nei momenti di smarrimento.

Ogni mobilitazione è importante, ogni passo mosso nell’arena pubblica è significativo. E ben vengano dunque tre, dieci, cento manifestazioni, e anche altre iniziative simboliche, se fatte col cuore. Ma se vogliamo trarre una lezione da questo mese inatteso di reazione collettiva alle minacce alla senatrice, tentiamo di trarre quello giusto: non facciamo di Liliana un’icona, ma riconosciamo in lei una donna in carne e ossa, con la sua storia e le sue sofferenze, le sue doti e le sue imperfezioni, la sua saggezza e la sua fragilità. Osserviamo e ascoltiamo la sua testimonianza, le sue riflessioni, e cerchiamo di farle nostre – discuterle anche – e tradurle in azione nel tempo in cui viviamo.
La risposta, quella vera, alla sfida per nulla semplice della convivenza tra diversi in un’epoca di perenne insicurezza e di solitudini mascherate da smartphone si chiama responsabilità: quella di tramandare la memoria, praticare il rispetto dell’altro, impegnarsi a conoscere ogni giorno qualcosa in più, difendere i diritti di chi ne ha di più fragili. Tornando a guardarci negli occhi, scopriremo di avere più idee e più risorse per sconfiggere l’odio degli anonimi da tastiera di cui ha parlato Liliana Segre.

Simone Disegni
Collaboratore

Politologo di formazione, giornalista di professione, si occupa in particolare di politica italiana ed europea. Già impegnato nel lancio del festival Biennale Democrazia a Torino e del think-tank ThinkYoung a Bruxelles, lavora per Reset e Good Morning Italia e collabora con altre testate nazionali.


1 Commento:

  1. Ho molto apprezzato il suo articolo
    E sono d’accordo pienamente con lei
    L’insegnamento e non l’icona
    E tutto in giusta misura
    Grazie


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