Diritti umani
Contro ogni negazionismo. Il lavoro del Centre Laic Juif di Bruxelles

Un impegno profondo e concreto nella comunità locale per conoscere e prevenire il genocidio

Nella presente Convenzione, per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale:

  1.   uccisione di membri del gruppo;
  2.  lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo;
  3.  il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale;
  4. misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo;
  5.  trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro.

Articolo II, Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, 9 Dicembre 1948

Una volta al mese, circa 10 persone si incontrano al Centre Communautaire Laic Juif (CCLJ) “David Susskind” di Bruxelles, in Belgio. Sono persone diverse per età, professione e origini etniche ma c’è un filo conduttore che li accomuna: il genocidio. Tutti loro hanno provato sulla propria pelle, o su quella dei loro antenati, quattro dei più grandi stermini di massa del ventesimo secolo. Alcuni discendono dai genocidi armeni e assiri della prima guerra mondiale, altri sono ebrei le cui famiglie sono sfuggite alla Shoà, mentre altri ancora hanno vissuto lo sterminio della popolazione Tutsi nel Ruanda degli anni ’90.

Settant’anni dopo la ratificazione della Convenzione sul Genocidio dell’Onu, il “Collettivo belga per la prevenzione dei genocidi e la lotta contro il negazionismo” – fondato nel 2015 da un piccolo gruppo di persone – ha due obiettivi principali: il primo è quello di combattere qualsiasi forma di negazionismo a livello locale e nazionale. Il secondo è quello di generare consapevolezza sul tema, cercando di prevenire i futuri genocidi.

Il collettivo belga del CCLJ, così come molte altre organizzazioni umanitarie in tutto il mondo, celebra il 70esimo anniversario della Convenzione ONU sul Genocidio e della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, in un momento non scevro di critiche: la definizione di genocidio delle Nazioni Unite non è considerata sufficientemente comprensiva, e pone questioni sulle sanzioni legali dei crimini più recenti.

La definizione di genocidio delle Nazioni Unite venne sviluppata subito dopo la Shoà dall’avvocato ebreo polacco Raphael Lemkin. Fu inevitabilmente formata attorno a quell’evento, con lo scopo di impedire che qualcosa del genere potesse succedere ancora. Nonostante il collettivo belga riservi un’attenzione speciale alla Shoà, il genocidio più letale di sempre dal punto di vista numerico, ha optato per un approccio pluralistico e non monolitico, comprendendo altre esperienze nel corso della storia e allargando l’interesse verso tutto il mondo.

“Tutti noi noi eravamo stanchi della discriminazione nel modo di trattare i diversi genocidi” dice Gregoire Jakhian, uno dei membri fondatori della commissione, un avvocato i cui nonni sono sopravvissuti al genocidio del popolo armeno. “La diversità tra i sopravvissuti, la mera esperienza di condividere la sofferenza è un aiuto reale e un valore aggiunto.”

Negli incontri mensili del collettivo partecipano in media dalle 10 alle 20 persone. Il fulcro del collettivo è costituito dai rappresentanti di quattro associazioni. L’associazione ebraica CCLJ è numericamente la più grande, seguita in ordine dalla comunità armena, dai Tutsi e infine dall’associazione assira. Partecipano regolarmente agli incontri anche individui senza un’esperienza personale legata ai genocidi, come accademici o membri delle ONG locali. Durante gli incontri, come spiega Jakhian, i sopravvissuti e i loro discendenti si riuniscono e discutono delle strategie possibili per rendere il negazionismo dei genocidi passati un crimine dal punto di vista legale e per diffondere informazioni utili a prevenire futuri eventi. Inoltre gli incontri sono frequentati anche da scrittori, storici e politici belgi. La presenza di non sopravvissuti è particolarmente importante, secondo Jakhian, poiché sono maggiormente focalizzati sul presente e orientati al futuro, di conseguenza possono indirizzare il gruppo verso visioni e idee sottovalutate dalle vittime dirette di genocidi passati. Tra i partecipanti con un legame personale col genocidio, la differenza cruciale è dettata dal tempo: mentre gli armeni e gli assiri sono alla terza o quarta generazione di sopravvissuti e gli ebrei sono alla seconda, se non terza, i tutsi hanno provato direttamente gli assassini e la violenza e per questo motivo sono segnati da una cicatrice ancora recente.

“Se puoi comparare ogni genocidio e trovare delle fasi comuni, puoi proporre una reazione per ogni fase e possibilmente prevenire che qualcosa di simile accada ancora in futuro” dice Ina van Looy, un altro membro fondatore la cui madre sopravvisse alla Shoà. Van Looy è la manager a tempo pieno dei progetti del CCLJ orientati all’educazione dei cittadini.

Attraverso i quattro diversi genocidi, il collettivo ha colto direttamente o indirettamente uno dei maggiori punti in comune, ossia la volontà dei carnefici di eliminare le prove dei propri crimini, come se non fossero mai accaduti Conseguentemente, combattere l’oblio è uno dei punti in comune delle tre linee operative previste dal gruppo.

La conoscenza

In primo luogo si cerca di sfidare l’ignoranza intorno al tema del genocidio tra le generazioni più giovani, visto da Jakhian e dal resto del gruppo come il più grande pericolo per la prevenzione di tali crimini in futuro. Nonostante siano passati solo 75 anni, oggi circa un terzo degli europei non conosce “niente” o conosce “poco” la Shoà, secondo un recente sondaggio della CNN/ComRes.

Con l’aiuto di due professori di scuole superiori – uno di storia, uno di filosofia – che frequentano regolarmente gli incontri, vengono organizzate visite nelle scuole locali dove si tengono lezioni sul significato dei genocidi, sulle condizioni che ne rendono possibile la realizzazione. Si sottolinea anche il pericolo del ragionamento dei negazionisti, spiega Jakhian.

“Gli studenti capiscono che il genocidio è un crimine eccezionale, ma colgono che il principio guida è la discriminazione e spesso loro stessi hanno subito direttamente qualche atto di discriminazione”, sostiene Van Looy, spiegando che queste conferenze sono state per lo più percepite positivamente. “Appena parli della sofferenza di una persona, gli studenti vengono coinvolti emotivamente e condividono la propria”. Naturalmente ci sono state anche esperienze meno piacevoli tra le scuole superiori di Bruxelles: non sono mancati eposodi in cui gli studenti hanno risposto ai racconti dei genocidi armeni e tutsi con “reazioni violente” o affermando cose del tipo: “gli ebrei se lo meritavano”, racconta Jakhian.

Test d’ammissione sull’antisemitismo

Un’altra iniziativa promossa dal Collettivo, in particolare attraverso i membri del CCLJ in collaborazione con l’Associazione ebraica belga, è l’introduzione di un corso obbligatorio sull’antisemitismo per ogni matricola universitaria. Se uno studente non lo supera, non può frequentare le lezioni. Hanno presentato questa proposta all’Université Libre de Bruxelles (ULB), una delle più grandi della città.

La seconda sfida del Collettivo è quella contro il negazionismo. Mancano leggi che rendano la negazione del genocidio in Belgio un crimine legalmente perseguibile (solo la confutazione della Shoà ebraica è illegale e perseguibile).

Una storia attuale

Infine, il terzo tipo di attività del Collettivo riguarda la sensibilizzazione sugli attuali genocidi e omicidi di massa in tutto il mondo. Si vuole fare informazione e fare rumore, dice Van Looy. L’anno scorso, il gruppo ha protestato davanti all’ambasciata del Burundi contro le uccisioni, la violenza e l’oppressione dei diritti civili commesse dal governo contro la sua opposizione dal 2015. Il Collettivo ha anche organizzato una tavola rotonda, cercando di riunire le due parti e avviare un dialogo.

All’inizio del 2019, il Collettivo ospiterà un seminario per far luce sugli orrori subiti dagli yazidi, una minoranza religiosa per lo più concentrata in Iraq, colpita dall’ISIS. Nel 2014, decine di migliaia di yazidi sono stati uccisi, costretti all’esilio o trasformati in schiavi sessuali, perché il gruppo terroristico li considerava infedeli.

“Consideriamo il genocidio come un denominatore comune”, conclude Jakhian. “Siamo fratelli in disgrazie e fratelli in sofferenza”.

Giulia Morpurgo
Collaboratrice
Giulia Morpurgo, 24 anni , è una giornalista finanziaria di casa a Londra. Nata e cresciuta a Milano, ha passato gli ultimi cinque anni tra la capitale britannica e New York. E’ appassionata di politica monetaria, di quasi tutto ciò che ha più di mille anni e soprattutto di Inter.

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