Tra i professionisti invitatii agli incontri di Joi per l’orientamento dei ragazzi dopo la maturità era presente Carlotta Micaela Jarach. Che si racconta
Carlotta Micaela Jarach è stata invitata a parlare a un incontro di Joi dedicato all’orientamento dei ragazzi alla fine delle scuole superiori. Ci racconta com’è andata… non tanto davanti ai ragazzi che hanno partecipato all’evento, piuttosto nella sua vita post liceale. Una bella (e coraggiosa) avventura.
Non importa dove io sia nel mondo, da anni c’è una costante nella mia famiglia: la presa in giro nei miei confronti. E se, quando abitavamo insieme, fratelli e genitori si divertivano a punzecchiarmi a cena, limitando quindi il tutto a poche ore serali, ora la tecnologia permette loro di sbizzarrirsi nell’attività preferita più o meno h24.
Per esempio: narra la leggenda che una Carlotta appena diciasettenne, alla domanda “quanti anni hai?” rispose “quasi diciotto”; ora, tralasciando che converrete con me che avevo indubbiamente ragione, ci sono dei dettagli di questa storia che non tornano ad alcuni miei parenti. C’è chi dice che di anni io ne avessi sedici, c’è chi colora l’episodio con dettagli, quando poi non era nemmeno presente al momento dei fatti… Insomma, è da quando ho compiuto venti anni che il leitmotiv di casa mia è che “Carlotta ne ha quasi trenta”.
Ma la presa in giro ancora più ricorrente riguarda il mio percorso di studi; percorso che quando me lo chiedono mi piace definire “eclettico”, ma solo perché “ho cambiato idea più spesso di quanto abbia fatto il cambio di stagione dell’armadio” non penso sia molto professionale. Quando mi chiedono “che cosa hai studiato?” non so mai cosa rispondere.
Curiosamente, qualche settimana fa mi è stato chiesto di intervenire in qualità di giovane professionista ad un evento per i ragazzi delle superiori in procinto di scegliere il proprio percorso post diploma. Che buffa la vita, mi sono detta. Proprio a me lo chiedono, io che tra l’altro ho scelto l’Università tirando la moneta.
Aspetta, ha senso che glielo dica a questi 18enni che io alla loro età non avevo alcuna intenzione di fare l’Università? Perché in fondo, lo sapevano tutti, il mio sogno era fare l’accademia teatrale. Nella mia ingenuità di 13enne avevo addirittura scelto il liceo classico per poter studiare i classici greci in lingua originale (Prof: a distanza di dieci anni, comunque, gli incipit originali dell’Iliade e dell’Odissea me li ricordo ancora a memoria, e in metrica).
Forse ha senso raccontare loro il perché non sono mai diventata un’attrice? Perché non è che non ci abbia provato, sia chiaro. Però anche se piena di sogni e ambizioni, a 18 anni l’inglese non lo sapevo abbastanza bene per fare armi e bagagli e fuggire negli States, e diciamo che non ero così naïve da non capire da sola che un piano b me lo dovevo creare. Che poi è così che ho deciso di immatricolarmi in Università, per avere il piano b: scartata ogni materia umanistica, dopo aver fatto ogni test di ingresso possibile e immaginabile, mi sono iscritta là dove mi ero posizionata meglio. A Biotecnologie. Parola mai sentita prima di allora, ma tanto, mi dicevo, è un cuscinetto, intanto che studio per il provino.
Non è che ci fossi particolarmente portata io, per Biotec, né mi interessava granché, ma non avevo al di là del teatro qualcosa che mi interessasse comunque. Finito il secondo anno mi sono data un ultimatum: o entro in una prestigiosa accademia, o finisco questa triennale e l’anno prossimo ci ripensiamo. Probabilmente quel giorno mia madre fece qualche rito voodoo, perché non passai il provino davanti allo stesso Ronconi, e vinse lo studio.
Un aggettivo che potrebbe definirmi è quindi che sono una biotecnologa, anche se io la biotecnologa non l’ho mai fatta. E infatti c’è un altro aggettivo che mi definisce meglio. La genesi del tutto risale ad una lezione di Genetica, quando la mia Professoressa scoppia in lacrime. Erano stati distrutti anni di ricerca nel suo laboratorio in un’irruzione da parte di alcuni manifestanti animalisti. Svariati milioni di euro persi, nonché i risultati di una vita (e la reputazione agli occhi degli sponsor esterni). In quei giorni i giornali rimbalzarono la notizia, e mi resi conto che non sempre facevano corretta informazione. Mi resi conto che quando si parlava di scienza, in generale, c’erano molti strafalcioni. Così, decisi che avrei fatto la giornalista scientifica. E così è stato. Però, la presa in giro dei miei, sul cambiare spesso direzione, non avrebbe così senso se si limitasse ad un solo cambio, a due soli aggettivi, biotecnologa e giornalista. Ed infatti gli aggettivi sono almeno tre.
A 21 anni (o come vi ricordo direbbe mia sorella, a “quasi trenta”) finita la triennale trovo finalmente il coraggio di partire per gli States, in quegli stessi States dove qualche anno prima mi sarebbe piaciuto fare teatro. Parto per una Laurea Magistrale che avrebbe messo le basi solide per la mia carriera da giornalista scientifica, ma mi innamoro dell’epidemiologia e torno con l’idea di fare la ricercatrice! Così, quasi dieci anni dopo aver lanciato la moneta per iscrivermi a Biotec, mi iscrivo per la terza volta in Università, e mi laureo in Biostatistica.
Forse potrei dire questo ai ragazzi su Zoom: che va benissimo non sapere dove ci si vede tra dieci anni, perché in fondo non lo possiamo davvero sapere. Potrei dire loro che non devono avere paura di sbagliare: la scelta che stanno per prendere è certamente importante, deve essere ragionata e valutata con attenzione. Ma in fondo, e nessuno ci rassicura mai su questo, non ne va della loro vita; potranno cambiare idea altre cento volte, anche a “quasi 40” anni. Basta che cambino facendo scelte ragionate e che non abbandonino un percorso a metà solo perché è difficile, o perché c’è qualcuno più bravo di loro.
Perché non potranno mai sapere a priori quali saranno gli altri pezzi del puzzle. Se dieci anni fa avessero detto alla Carlotta diciottenne, che passava i pomeriggi sulle reazioni di stechiometria, che nel 2021 si sarebbe definita “giornalista scientifica e biostatistica” avrei riso. O avrei pensato che forse, ero riuscita a fare finalmente l’attrice. Attrice di un bellissimo spettacolo comico.
Quello che mi hanno insegnato questi anni, soprattutto l’attività di ricerca, è che bisogna tentare, sbagliare, perseverare, riprovare e sperare nella botta di c***. Quindi attenta mamma, che forse tra qualche anno quel provino lo riprovo.