Voci Ebreo Non Ebraico
EneNote / Il Libro di Tutti i Libri, Roberto Calasso (Adelphi, 2019) #Recensione

ENE, l’Ebreo Non Ebraico, ci propone le sue note a margine, scritte in corso di lettura. Sono istantanee, figurine, ora raccolte nel primo album, a comporre una recensione molto speciale

Il Libro di Tutti i Libri è un libro che – come quasi tutti quelli di Roberto Calasso – dovrebbe venir soprattutto letto da chi non è un esperto o un appassionato del sacro e delle sue forme.

Da La Rovina di Kasch (1983) in poi, l’editore autore di Adelphi ha ingaggiato una conversazione con il Sacro e l’Attuale che è unica per metodo e completezza, per stile e dedizione. E, per quanto mi riguarda, per riuscita e formazione.

Questo decimo – che secondo me è il penultimo libro della sua unica Opera in undici volumi – è dedicato alla Torah, al Libro di tutti i libri secondo la definizione di Goethe che è posta in esergo. A differenza di tutti i precedenti, leggendolo mi sono trovato, se non proprio ‘a casa mia’, certamente in un palazzo o su un’isola di cui riconoscevo odori, angoli, animali, persone…

Sensazione comoda ma fuorviante e pericolosa, perché nessuno in realtà conosce peggio di chi ci abita il luogo che abita. Spesso però crede di conoscerlo, e ciò è fatale per una vera comprensione. Se, invece, si usa la propria familiarità come strumento per sentire, annusare, guardare, ascoltare, toccare meglio e dunque mettere in discussione ciò che si crede di conoscere già, allora la soglia della vera comprensione si spalanca, e dopo tanto ‘guardare’, si vede. Tanto basti, non sono capace di spiegarvelo meglio in molte parole se non lo avete già capito in queste poche. E scusate il piglio ma questo è un magazine web, non un saggio di millemila pagine.

Fatto sta che mi sono perso, come da indicazione Goethiana, cercato e ritrovato, perso ancora, illuminato, spento, perfezionato, e ancora smarrito. Ho preso appunti – come faccio sempre per libri come questo ma non solo: sulle pagine del libro, a margine; su quadernetti; su pagine sciolte; sull’Iphone; dovunque. Quando un passo, una frase, un capitolo mi toccava nel profondo, scrivevo – subito – la suggestione, riflessione, provocazione, domanda, risposta che mi suggerivano le parole scritte.
Secondo me, se si legge sul serio, si legge per poter attivare nella mente e nello stomaco le aree intellettuali e sentimentali che ci permettono di sentire e nominare, in profondità ed estensione eccezionali, ciò che nessuna parola scritta può fermare e nominare adeguatamente. Seguo lezioni autorevoli in tal senso – da un certo Platone / Lettera Settima, a un tal Wittgenstein. Senza né modestia né protervia però, – in gioiosa, folle ma onesta esposizione di me stesso – posso giurarvi che ci ero arrivato da solo: semplicemente confrontando le parole che leggevo ( o che scrivevo ) con quelle che stavo pensando, mentre leggevo e/o scrivevo. E, scusatemi di nuovo, penso che anche voi che mi state leggendo lo avete sperimentato, se solo vi siete fermati un momento a chiedervi qualcosa di più che “a che ora parte l’aereo?”, o “di shabat si possono raccontare barzellette ?”

Le divagazioni che avete dunque letto, se le avete lette ( sono state 22 EneNote, qui sotto ne leggete una selezione ben curata dalla nobile e gentile Micol, che ringrazio tanto per aver ancora ospitato le parole dell’ENE nel gioioso luogo che ci ospita anche adesso – grazie, Valerio, delle tue parole, ndr), sono alcune delle frasi che i miei quaderni, fogli, files hanno raccolto in corso di lettura di questo libro che dovrebbe venir letto soprattutto da chi non lo leggerà. Non sono nemmeno la decima parte di quelle che ho scritto ( scrivere per se non ha la stessa necessità di chiarezza e rispetto altrui che lo ha quando si scrive per un pubblico ), o la centesima di quelle che ho abbozzato ( scrivere mette alla prova la qualità del pensiero, e se non raggiungo uno standard sufficiente, beh, una riga sopra – in attesa di maggior chiarezza, se sarà raggiunta ).

È una recensione ?
È una prestidigitazione ?
Xè una monàda ?

Tre volte sì, senza che una risposta smentisca le altre due.

Spero vi sia piaciuto, questo esercizio, ma sarei contento soprattutto se lo copierete, se fermerete, liberamente – senza timore di venir giudicati – i vostri pensieri a proposito di una frase, di un capoverso, di una pagina di un buon libro MENTRE lo state leggendo.

Ho l’ardore e l’arroganza di pensare, e di scrivere che se questo non è ebraico, beh, non so cos’altro lo sia.

 

Breve percorso tra le note a margine a Il libro di tutti i libri, Roberto Calasso, Adelphi 2019

 

Appena entrato, certo già smarrito.

“L’elica doppia che è, e simboleggia il DNA, è anche metafora perfetta del mito, di ciò che è, è stato e sarà. Vero nel momento in cui è visto e narrato – una descrizione che si fa narrazione nel momento in cui il presente è passato, ma ne anticipa il futuro – si sa mascherare perfettamente in ogni forma senza perdere la sua radice. Forse per questo mitologicizzare è la forma principe di ogni narrazione che voglia proiettarsi nel futuro senza lasciare il passato. Di ciò che è nel medesimo tempo uno e tutto”.

“Il visibile negato, o peggio, dannato; l’invisibile cercato, o meglio, benedetto. Conseguentemente, il bello esaltato e il vuoto temuto. Ancora nel capitolo ‘Salomone’, uno spunto che può diventare fessura se allargandosi porta alla separazione, con quel che segue – attrazione e conflitto – fra ciò che da unico si fa doppio. E ancora: la tentazione come allarme e soglia. E potrei continuare. Re di Contraddizioni Virtuose, così chiamerò d’ora in poi chi è chiamato dai più Giusto o Sapiente”.

Il DUBBIO
( tragicommedia in due battute )

– E dopo ? Cosa leggerò, dopo, se questo è Il Libro Di Tutti I Libri ?
( breve pausa )
– Ah, certo: tutti gli  altri !
Sarà una rilettura, no ?
( esce, sospirando di sollievo )
FINE

“Il prodigio come atto fondativo della Legge, il terrore come presupposto della misericordia, la testimonianza come prima, necessaria e sufficiente forma di narrazione.
Nota alla nota 10: mentre leggo questo libro di tutti i libri, e penso alle responsabilità del redattore finale, di ogni commentatore, dei maestri e degli allievi fino ai semplici Bao, mi sento in compagnia anche da solo”.

E se l’elezione fosse stata una diminuzione, dalla sicurezza dell’estraneità alle incertezze della competizione?

“Oso misurarmi con von Rad: non è incomprensibile l’episodio di Bethel. La celebrazione dell’inganno e il sacro sono gemelli, e che capiti proprio a Giacobbe di constatare quanto è impossibile determinarne la primogenitura, beh, non è magnifico?”

“Ci sono due negozi – se così si può dire: quello del visibile e quello dell’invisibile; del primo siamo padroni, del secondo clienti.
Spesso, però, ci confondiamo: compriamo ciò che è già nostro, e vendiamo quel che non lo è ancora”.

Si dice poco
Che il bisogno di Dio
È reciproco.

Valerio Fiandra
Collaboratore

Valerio Fiandra abita a Trieste ma vive altrove.

Ha sessantotto anni ma non li dimostra.

È Ebreo, ma non ebraico.


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