Cultura
Ernesto Nanthan, il sindaco che reinventò Roma

La recensione al volume di Fabio Martini edito da Marsilio

La fotografia che campeggia a tutta pagina sulla copertina del volume commenta il titolo scelto da Fabio Martini per questa pubblicazione dedicata alla figura di Ernesto Nathan (Londra 1845- Roma 1921), “Il sindaco che cambiò la Città eterna”. L’ultima di una serie dopo anni di oblio. L’immagine, a onor del vero, non coincide esattamente con gli anni della Giunta Nathan (1906-1913). È datata infatti 1929, ma restituisce, a distanza di poco, un frammento di una città oggetto di imponenti demolizioni e da altrettanti imponenti nuove edificazioni,  quale è in questo caso il “Palazzaccio” (monumento a Vittorio Emanuele) che troneggia al di sopra degli sventramenti intorno al Foro Traiano. La fotografia è stata rintracciata in quella miniera preziosa che è l’archivio iconografico del Museo di Roma, un archivio -come molti altri disseminati in tutto il territorio nazionale- catalogato e valorizzato solo in anni relativamente recenti quando la sensibilità (e la consapevolezza) per questo genere di documentazione si è fatta via via più avvertita. Fortunatamente è un’immagine eloquente, come eloquente ed impietoso è il racconto che si snoda per più di 250 pagine suddivise in tanti capitoli (15), a loro volta articolati in piccoli paragrafi che danno ritmo alla lettura. Tanti i fatti, tante le cronache, tanti i dettagli, troppo sovrabbondanti, che a volte fanno perdere il filo del discorso.

La materia, apparentemente semplice, è invece complessa perché complicata è la situazione in cui si venne a trovare Ernesto Nathan, il sindaco “straniero” che per sei anni, pochi in assoluto, ma tanti e intensi se ripercorsi a posteriori, guidò la Giunta capitolina, il “Blocco popolare”.
Quando varca la soglia del Campidoglio, Nathan è un uomo maturo, con una solida famiglia alle spalle dagli alti valori etici civili, di tradizione repubblicana. La madre Sara Levi, nata a Pesaro, era figlia di Angelo Levi e di Enrichetta Rosselli della comunità ebraica di Livorno. A diciassette anni, nel 1836 aveva sposato Moses Meyer Nathan e si era trasferita a Londra. La loro casa diviene punto di ritrovo per gli esuli italiani, in particolare Giuseppe Mazzini che un anno dopo il loro arrivo, si era trasferito in Inghilterra. Il legame fra lui e la famiglia Nathan si fa sempre più stretto, tanto che alla morte del rivoluzionario repubblicano (1872), le carte, gli scritti (editi ed inediti), passano in eredità a Ernesto che da allora si batterà strenuamente per la loro pubblicazione. È comunque solo nel 1903 che egli ottiene da parte dello Stato italiano il permesso per la stampa di tutte le opere e soprattutto l’autorizzazione a distribuirle nelle biblioteche del Regno. Nel 1870, per assecondare il Mazzini, Nathan e la moglie Virginia Mieli (si erano sposati tre anni prima), si trasferiscono in Italia, nella capitale. Il nuovo giornale repubblicano, “La Roma del Popolo”, ha bisogno di un direttore amministrativo.

La Roma che il venticinquenne Ernesto inizia a conoscere, è una città misera, con una economia prevalentemente agricola, dove campagna e agglomerato urbano ancora si mescolano. In circa trent’anni il numero di abitanti è cresciuto enormemente (1870: circa 245.000; 1901: circa 403.000) grazie all ‘arrivo nella nuova capitale del Regno di tanti lavoratori giunti da tutta Italia attratti dalla città in espansione: sono operai, manovali, impiegati dei ministeri, tecnici e molti professionisti. Ma con questo afflusso di mano d ‘opera crescono le necessità e i bisogni e gli appetiti speculativi, soprattutto quelli del “mattone”, d’ora in avanti la principale impresa cittadina, una vera e propria miniera di denaro. I servizi pubblici, nota subito il sindaco Nathan, come elettricità, acqua, gas e trasporti, sono in mano di privati (la maggior parte di nazionalità britannica), in un regime di monopolio che punta a tariffe esose a fronte di servizi insufficienti. L’igiene pubblica è terrificante, a continuo rischio di epidemie, causa anche i tuguri nei quali si ammassano tante famiglie poverissime. La situazione scolastica, che tanto sta a cuore ai Nathan (anche Virginia è impegnata sul campo con moltissime iniziative), è disastrosa. Il 37% dei bambini non frequenta la scuola, mentre perdura il modello assistenziale della Chiesa con una presenza capillare di scuole confessionali. E non solo, perché a queste si aggiungono ospizi, ospedali, opere pie, ecc… Un sistema di elargizioni benefiche pari circa al 30% delle necessità che ha come contr’altare, una pace sociale impensabile in altre grandi città come Parigi o Londra.

Con la decisione di candidarsi sindaco, dopo l’esperienza politica nel Collegio Pesaro-Urbino come candidato del Partito radicale, Ernesto Nathan affronta senza esitazione i “poteri forti “: i proprietari terrieri, i costruttori edili, i banchieri, il Vaticano. La partita si gioca subito sui traffici lucrosi dell’edilizia. Nel primo discorso programmatico – siamo a fine 1907- Nathan dichiara che se è bene che gli imprenditori non vadano “intralciati”, è anche bene che il Comune freni “la licenza degli speculatori “. Poche parole che arrivano al cuore del problema. Per rendere Roma una città “civile” (un suo obiettivo più volte dichiarato), il sindaco “straniero ” si circonda di seri professionisti. Collaboratori con i quali condivide il metodo, un efficiente pragmatismo e lo scopo ultimo della amministrazione: il primato della politica e il primato delle regole. Si concentra sull’urbanistica mettendo a punto un Piano Regolatore degno di questo nome. Prevede l’abbattimento delle baracche, progetta piani di case popolari, di villini, con una grande attenzione allo spazio verde, luogo anche di integrazione sociale. Una pratica che ricerca anche nella elaborazione di una nuova Scuola. Non solo nei contenuti di studio (istituti meno soggetti a indirizzi confessionali), ma concretamente nella creazione di nuovi edifici, dotati di proprie biblioteche e di specifici medici per gli allievi. In accordo poi con le teorie e l’esperienza di Maria Montessori, finanzia una rete di Giardini d’infanzia comunali.

Non tutto va per il verso giusto. Perde la battaglia sulle tasse dei suoli e nel 1911 con l’impresa di Libia voluta dal governo Giolitti, la sua Giunta si spacca. Iniziano le prime defezioni: i socialisti, combattuti se aderire alle proposte del Governo, lasciano l’amministrazione. Il colpo definitivo che culminerà con le dimissioni di Nathan si ha l’anno dopo con la decisione Giolitti di trasformare il dialogo tra liberali e cattolici in una vera e propria alleanza. È il Patto Gentiloni. D’ora in avanti le cose cambiano. I nazionalisti entrano nei Collegi di Roma. L’11 novembre 1913 Ernesto si dimette. Fa impressione constatare l’oblio che ne seguì. Da subito e per decenni. Nel 1957 gli viene dedicata una strada. Ma è un riconoscimento che suona beffardo: è una via in un quartiere degradato della Roma dei palazzoni, senza verde e senz’anima, la Magliana. Proprio quello che il sindaco aveva combattuto: lo sviluppo illegale e abusivo. Proprio perché il suo motto era “dare forma e regole alla Città Eterna”. Che sia un monito?

F. Martini, “Nathan e l ‘invenzione di Roma. Il sindaco che cambiò la Città eterna”, Marsilio, 2021.

Sandra Sicoli
collaboratrice

Storica dell’arte, ha lavorato presso la pinacoteca di Brera e la soprintendenza alle Belle arti di Milano.


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