Cultura
Gabriele Coen, la musica e il sogno di un ebraismo vivo

Da “Jewish Experience”, il concerto con Francesco Poeti in calendario a Venezia, alla (sua personale) filosofia della musica

In occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica, Gabriele Coen e Francesco Poeti si esibiscono nel Campo del Ghetto Novo a Venezia alle ore 19.00 con “Jewish experience”, concerto che mescola le sonorità klezmer con il jazz e la world music. Intervista a Gabriele Coen, sassofonista, clarinettista e compositore, tra i massimi divulgatori in Europa della tradizione musicale popolare ebraica reinterpretata in chiave jazzistica.

Cosa presentate stasera a Venezia?
Un viaggio musicale a 360° che parte dalla canzone yiddish e dalle sonorità klezmer – l’antica musica strumentale degli Ebrei dell’Europa orientale, sorta di luogo dell’anima con tutte le sue contaminazioni – abbraccia l’universo ebraico spagnolo della musica sefardita dalla Spagna al bacino del Mediterraneo e muove verso i territori dell’ex impero Ottomano dove in passato vivevano floride comunità ebraiche, di cui abbiamo reinterpretato i brani e le sonorità. Il viaggio prosegue oltre Oceano: attraverseremo l’Atlantico per spostarci negli Stati Uniti, dove le melodie ebraiche hanno incontrato la musica afro e il grande jazz, dando vita al jewish jazz. Bei mir bistu shein – Per me sei bellissima, composto da Shalom Secunda è uno dei brani più celebri frutto di questa contaminazione, che vede tra i suoi massimi interpreti Ella Fitzgerald. Faremo poi un’incursione nel repertorio ebraico italiano ascoltando alcune delle intonazioni in ebraico che Benedetto Marcello ascoltò nel 1724 nella Sinagoga Tedesca a Venezia ed inserì tra i Salmi del suo Estro Poetico Armonico. Un omaggio alla Venezia ebraica di allora che ci conduce ad uno sguardo sull’ebraismo di oggi. La sfida per me è quella di comporre nuova musica ebraica e per questo voglio concludere il viaggio con due canzoni che ho composto, Keter e Hod, che si ispirano all’albero della vita, ai principi della Kabbalah e alla mistica ebraica, che fanno parte del mio ultimo disco “Sephirot. Kabbalah in music”. E’ la prima volta che suoniamo a Venezia ed è per noi una grande emozione.

Ci racconta il suo percorso musicale?
Sono figlio d’arte, mio padre, Massimo Coen, è stato un grandissimo violinista. Il mio primo strumento è stato il sassofono e il mio primo amore il jazz, che per me è quello che dagli anni ’60 in poi ha suonato John Coltrane, esplorando la musica indiana, araba e rendendo il jazz un contenitore aperto alle contaminazioni e al mondo, capace di assorbire e rielaborare melodie da ogni dove. Il jazz è una musica affascinante perché è la musica dell’incontro tra bianchi e neri, tra americani, ebrei, italiani e irlandesi. Quello che faccio insieme a Francesco Poeti in Jewish Experience – che nel titolo si richiama a The Jimi Hendrix Experience, proprio perché l’aspetto della chitarra elettrica è importante – è di (ri)portare un patrimonio antico alla conoscenza del grande pubblico, rielaborando le melodie in chiave jazz e strumentale. Le armonie della tradizione ebraica formano un canovaccio su cui si estendono gli assoli jazzistici. Non mi interessa il rispetto filologico dei brani, ma la possibilità di far conoscere patrimoni musicali inediti attualizzandoli attraverso l’interpretazione jazzistica, che rispetta il materiale di partenza ma crea qualcosa di inedito. Il tutto ri-arrangiato da noi che viviamo immersi in un ‘villaggio globale’.

Quale canzone del repertorio di domenica la emoziona di più e per quale motivo?
Sono molte e non è facile dare una risposta, ma direi Leena from Palesteena (jewish jazz) perché il lavoro di “ponte sonoro” tra il jazz e la musica ebraica che io porto avanti nasce proprio da questo brano. Inciso per la prima volta nel 1920 dai musicisti della Original Dixieland Jazz Band di New Orleans conteneva già evidenti riferimenti musicali alla tradizione ebraica, essendo fortemente influenzato dalla melodia klezmer, a riprova del fatto che il fenomeno della Jewish Jazz è precedente gli anni Sessanta e si può scorgere già negli anni Venti.

Come definirebbe il suo rapporto con l’ebraismo?
Sono figlio di un matrimonio “misto”, mio padre era ebreo e mia madre cattolica a riprova di un ebraismo italiano storicamente integrato; non sono cresciuto in un ambiente ebraico, ma mi sono riavvicinato alle radici familiari attraverso la musica e ne sono rimasto letteralmente travolto. Dal sassofono attraverso la musica klezmer sono arrivato al clarinetto ed ora posso affermare con tranquillità che musicalmente la mia anima è divisa tra questi due strumenti.

Cos’è per lei il sogno, tema di questa edizione della Giornata Europea della Cultura Ebraica?
Apprezzo il taglio divulgativo e inclusivo di questa manifestazione e, attraverso la musica, condivido la volontà di far conoscere la cultura e la musica ebraica come una cultura viva e non per forza legata unicamente alla memoria della Shoah.
La musica con il suo potere di astrazione e la sua capacità di arrivare a tutti, credo possa realizzare questo. Avvicinare prima di tutto e creare dei ponti. Il sogno per me è che si possa parlare di ebraismo come di una cultura aperta alla contemporaneità.

Sara Civai
Collaboratrice

Insegnante e giornalista, collabora da Venezia e dintorni per diverse testate e quotidiani nazionali


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