Cultura
Georges Bensoussan, gli ebrei del mondo arabo

Il nuovo libro dello storico francese racconta le ragioni di una storia a lungo taciuta

All’indomani della guerra del Kippur, Albert Memmi, nel suo Juifs et Arabes (Gallimard, Paris 1974) scriveva che “la famosa città idilliaca degli ebrei nei paesi arabi corrispondeva a un mito. La verità era che noi eravamo una minoranza impiantata in un ambiente ostile. Per cui mai, dico mai, hanno vissuto nei paesi arabi se non come delle persone sottomesse”. Pochi anni dopo Abdallah Laroui, autore di un’opera importante sulle origini del nazionalismo marocchino, Les Origines sociales et culturelles du nationalisme marocain (Maspero 1977), gli risponde spiegando che l’europeizzazione degli ebrei (che si compie a partire dalla seconda metà del XIX secolo attraverso la struttura dell’Alliance israélite universelle) ha permesso loro di sottrarsi al destino comune e, soprattutto, di fondare, costruire e rafforzare un sentimento di arroganza e ribellione all’autorità musulmana.
La prima condizione che sta alla base della produzione storiografica di Georges Bensoussan sta in questo punto. Ce n’è tuttavia un secondo su cui è bene richiamare l’attenzione: ovvero il fatto che quel malessere o quella storia di discriminazione è stata a lungo taciuta anche all’interno dei mondi ebraici contemporanei, anche in Israele, perché «trattenuta» (ovvero considerata meno rilevante, ma anche perché “intimorita” dalla forza della catastrofe che trasmetteva la memoria della Shoah e la costruzione del suo discorso pubblico).

Un lungo silenzio
L’effetto dunque, sostiene Bensoussan, è stato che intorno alla questione della condizione degli ebrei nei paesi arabi abbia regnato il silenzio. Ancor di più la loro fuga o, comunque, la loro espulsione tra il 1945 e il 1970. Così come l’esperienza della condivisione non ha dato luogo a una ricostruzione complessiva, ed è rimasto a lungo un tema e un tempo non frequentati dalla ricerca storica, così è accaduto anche per l’espulsione. Diversamente la storia di una civiltà, ma anche il suo declino e poi la sua rapida scomparsa sono segnate dal silenzio.
Il primo tratto della ricostruzione storica proposta da Georges Bensoussan ormai da almeno un decennio, a patire dal suo Juifs en pays arabes. Le grand déracinement. 1850-1975 (Tallandier 2012), riguarda non solo la fuga o l’espulsione, ma soprattutto il processo che nell’arco di poco più di un secolo costruisce e definisce le classi politiche che fuoriescono dalla condizione coloniale e governano le realtà decolonizzate all’interno delle quali si produce il processo di espulsione.
Con quel testo, Bensoussan compiva un primo passaggio che ora, con Gli ebrei del mondo arabo. L’argomento proibito (Giuntina), si precisa e che si propone come un doppio tratto di rottura anche nell’ambito della storiografia che si misura con difficoltà con le questioni che Bensoussan propone.
Il primo atto è quello di indicare come il processo di espulsione o di fuga che in gran parte gli ebrei vivono e intraprendono soprattutto all’indomani della fine della seconda guerra mondiale è un luogo non frequentato dalla ricerca storica. Quel tema obbliga a ripensare come si sono formate le classi dirigenti politiche nelle ex colonie, che cosa abbia significato il processo di decolonizzazione, quali rotture abbia prodotto.
Il secondo atto di rottura riguarda gli elementi di conflittualità che sottostanno a quella fuga in massa, tanto da configurare nel giro di una generazione, la sostanziale scomparsa della componente ebraica in quella porzione di mondo.

Il concetto di umiliazione
In quel libro, e di nuovo in questo (anzi in questo esplicitamente nel sottotitolo che indica il vero tema del libro) la rottura di un tabù era nella parola o nel concetto più ricorrente: umiliazione.
In che cosa consisteva l’umiliazione? Nella storia di un processo di differenziazione sociale tra minoranza ebraica e mondo arabo. Con l’avvio della realtà coloniale la prima intraprende una strada di emancipazione in gran parte fondata sulle attività lavorative, e che dunque significa modernizzazione dei costumi; il secondo, invece, si occidentalizza solo negli strati sociali alti e aristocratici, comunque nel notabilato, mentre retrocede, socialmente e culturalmente, nelle classi medie e basse.
Ma quella doppia condizione a partire dagli anni ’30 del ’900 fonda una nuova convinzione in gran parte del mondo tanto da assumere il vissuto di un rancore, proprio perché il processo di colonizzazione è interpretato come un impedimento a essere se stessi. Negli ebrei ciò che si legge da parte dell’opinione pubblica araba è l’occidentalizzazione. Nel loro emanciparsi culturalmente, ciò che non si sopporta è la propria umiliazione ad essere dei perdenti. Resistere diventa una virtù.
Il recupero dunque della propria dignità, della presa di consapevolezza che la propria vita è degna di essere vissuta, passa dunque per la loro punizione, per la sanzione che li renda di nuovo non liberi. Questo è uno dei motivi strutturali che produce simpatie per il nazismo nell’opinione pubblica araba negli anni ’30 e simpatie che nelle colonie francesi dopo il crollo della Francia esprime il consenso alla Francia di Vichy. Ma è anche quello che rende complicato e problematico vivere insieme, anche fuori dal proprio territorio.
Il tema dunque, dietro l’antisemitismo in nome del proprio diritto a recuperare la propria dignità, o del rancore sociale che matura nel territorio metropolitano una volta che si sia usciti dalla propria terra d’origine, è quello della possibilità o meno di “vivere insieme” che indica una storia lunga appunto di conflitto, di insopportabilità, di odio talora che attraversa la storia dell’ultimo secolo e mezzo nei paesi arabi. Ma soprattutto è la rimozione della sua radice strutturale, sostituita da altre conflittualità da altri elementi simbolici. Una conflittualità che si carica di altre variabili, non trattabili o non scambiabili in politica che dicono di un conflitto non risolto e, forse, difficilmente risolvibile.
Ma non è solo un problema di come raccontare un conflitto a lungo negato. La scomparsa delle comunità ebraiche nei paesi arabi dice anche che la sfida sta nel ridare spazio di parola ai vinti o agli espulsi.
La ricerca storica di Bensoussan si conclude riassumendo le tesi che l’autore si era promesso di dimostrare:

Non c’è mai statauna memoria degli ebrei del mondo arabo, ma delle memorie, a seconda dei tempi, dei luoghi, degli ambienti sociali. Più si scendeva in basso nella scala sociale, e più la memoria ebraica diventava dolorosa […]. Scrivere la storia degli ebrei dell’Oriente arabo mette dunque a nudo i rapporti di servitù mascherati da racconti folcloristici. La scrittura della storia porta libertà quando fa capire una verità disincantata ai dominati, i quali spesso sono i primi divulgatori di leggende rassicuranti.

Una eco delle ultime parole di Walter Benjamin sta in questa preoccupazione di Bensoussan. “È più difficile – scrive Benjamin nelle note preparatorie alle sue Tesi di filosofia della storia – onorare la memoria dei senza nome che non quella degli uomini famosi e celebrati, ivi compresi i poeti e i pensatori. Alla memoria dei senza nome è consacrata la costruzione storica», (Walter Benjamin, Sul concetto di storia, Einaudi, Torino 1997).

Georges Benoussan dialoga con David Bidussa per presentare il suo libro Gli ebrei del mondo arabo. L’argomento proibito (Giuntina), a Milano, giovedì 9 maggio, ore 21 | Memoriale della Shoah, Piazza Edmond J. Safra 1.

A Brescia incontrerà Niram Ferretti, lunedì 6 maggio, ore 21 | Teatro San Carlino, corso Giacomo Matteotti 6.

A Torino sarà ospite al Circolo dei Lettori, in dialogo con Vittorio Robiati Bendaud, mercoledì 8 maggio, ore 18:00 | Circolo dei Lettori, via Giambattista Bogino 9

 

 

David Bidussa
Redazione JOI Mag

Classe 1955, nato e cresciuto a Livorno, studia a Pisa dove inizia la facoltà di Filosofia, ma si innamora di quella di Storia. Ha insegnato al liceo e all’università, da anni lavora alla Fondazione Feltrinelli in quanto Direttore dei contenuti editoriali. Si definisce uno storico sociale delle idee (ci ha assicurato essere una vera specialità, benché nessuno finora abbia capito cosa sia). Scrittore e giornalista, dicono che il suo branzino al sale sia leggendario.


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