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Il dialogo e la testimonianza, armi decisive contro il pregiudizio

Intervista a Valentina Pompei, coordinatrice del progetto Incontri del Centro Astalli di Roma

Suona la campanella, e con l’inizio della nuova ora c’è l’ingresso di due nuove persone in classe.
L’intervista di oggi, continuando il percorso rivolto alla conoscenza delle radici ebraiche come possibilità di dialogo, verrà affrontata attraverso l’esperienza di una realtà che da anni opera in tante scuole italiane per proporre agli studenti percorsi didattici sul dialogo interreligioso e interculturale. Questa realtà è il Centro Astalli, di cui ci parlerà Valentina Pompei, referente del progetto Incontri-Percorsi di dialogo interreligioso.

«Buongiorno! Io sono A. e con me c’è B. e siamo del Centro Astalli… qualcuno tra di voi conosce la realtà del Centro Astalli e di cosa si occupa?» «No…? Allora, il Centro Astalli è la sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati e dal 1981 è impegnato in numerose attività e servizi volti all’accoglienza e all’integrazione di chi arriva in Italia in fuga da guerre e violenze. Nel 2000 nasce la Fondazione Astalli, che si occupa delle attività culturali tra cui i progetti didattici Finestre – Storie di rifugiati e Incontri – Percorsi di dialogo interreligioso. Oggi siamo qui con voi per realizzare il progetto Incontri e sperimentare insieme la bellezza del dialogo interreligioso».

A chi si rivolgono questi progetti didattici? E cosa viene consegnato all’interno delle classi scolastiche?
«Ci rivolgiamo agli studenti e alle studentesse delle scuole medie e superiori. Questi sono i ragazzi e le ragazze che un giorno, usciti dalle mura scolastiche, andranno a costituire la società del futuro, per questo proponiamo loro un percorso didattico che li accompagni a riflettere sui valori del pluralismo e della convivenza pacifica tra culture e religioni. Ai ragazzi mostriamo la realtà in cui vivono, che è plurale, e lo facciamo facendo incontrare loro una persona che possa raccontare la sua esperienza quotidiana di fede, facendogli conoscere una confessione (o religione) che magari altrimenti non sarebbero soliti incontrare nella loro quotidianità. Tutto ciò, nelle scuole, è possibile soprattutto grazie alla volontà degli istituti scolastici e alla collaborazione dei docenti che aderiscono al progetto e portano avanti in classe il percorso didattico attraverso il materiale che mettiamo a loro disposizione». Continua: «Questi percorsi di dialogo interreligioso vengono realizzati nelle scuole del territorio romano, ma anche di altre città come Milano, Catania, Palermo, per meglio rispondere alle opportunità e alle sfide che la società si trova ad affrontare in un momento in cui siamo tutti molto sollecitati sul tema dell’identità religiosa e della convivenza di fedi diverse. È una risposta che trova motivo nei nuovi (quanto difatti antichi) flussi migratori, negli interscambi culturali, nei nuovi mass media che veicolano informazioni con mezzi di comunicazione sempre più istantanei, o nei ricordi di un passato memore di una storica convivenza religiosa».
Il Progetto Incontri parte da un’idea, cioè quella di «far conoscere le principali identità religiose con le quali coabitiamo ogni giorno nelle nostre città, così come nel proprio condominio, oppure in classe, a scuola,  per favorire una cultura del dialogo e della conoscenza reciproca e superare in questo modo – sempre insieme e accompagnandoci l’un con l’altro – gli stereotipi e i pregiudizi spesso parte dell’immaginario comune.

E quale è il motivo per cui il progetto Incontri viene portato all’interno della scuola? In che modo si propone l’incontro con una confessione/religione differente da quella cattolica?

«Una delle caratteristiche essenziali è il tipo di fonte con cui i ragazzi si confrontano. Come è stato detto prima, sono molte le fonti e le informazioni con cui i ragazzi si confrontano ogni giorno, ma se non mancano loro le chiavi di lettura per meglio comprendere la complessità dei fenomeni può accadere che queste informazioni generino confusione, paura, avversità, oppure la totale indifferenza; la scuola è sicuramente il centro privilegiato per entrare in contatto con gli studenti e far capire loro l’importanza di conoscere e informarsi correttamente. E questo percorso (in)formativo si genera dal bisogno di costruire, con e per loro, una società dialogante, dove sostituire la paura per la diversità con la curiosità. Crediamo che la fonte migliore che gli studenti possano “leggere” sia la persona, in carne e ossa, con i propri sentimenti, la propria storia e il personale percorso religioso. Questa persona è il testimone che non rappresenta la religione a cui appartiene, quanto il proprio mondo e il proprio modo di viverla. Ecco, è un incontro di “vite vissute” che si svolge attraverso un incontro diretto e un dialogo».

Il Centro Astalli ha la sua sede nazionale a Roma, una città sempre più rigogliosa d’identità religiose e culturali, sia storiche sia recenti e tra queste quella ebraica ha qui una lunghissima storia, tra le più antiche comunità d’Europa. Ma quanto ne sanno i ragazzi delle scuole romane? Come reagiscono agli incontri dedicati all’ebraismo?
«Ogni volta che iniziamo un nuovo incontro in una classe, un operatore del Centro Astalli – colui o colei che moderano, mediano e introducono obiettivi e finalità del progetto –  domanda agli studenti cosa sappiano riguardo l’ebraismo (e così per le altre religioni); ne nasce un brainstorming che ci permette di capire curiosità, conoscenze, letture, viaggi, dubbi, domande e riflessioni dei ragazzi. In caso di indifferenza, cerchiamo sempre di spronare ad interessarsi a queste tematiche proprio perché è importante allargare il proprio sguardo sul mondo, conoscere, ed essere consapevoli che casi di discriminazione o addirittura di persecuzione a sfondo religioso o culturale, sono ancora sono presenti in molte realtà nel mondo e sono tra le cause delle migrazioni forzate di migliaia di persone.
 Per tornare alla domanda, posso rispondere dicendo che da questo brainstorming e dal dialogo con i ragazzi emergono certamente tante cose riguardo l’ebraismo; talvolta gli studenti ci stupiscono perché sono molto informati, altre volte invece sono confusi, conoscono poco o niente dell’ebraismo. Ad esempio: c’è chi conosce la Torah e cosa c’è scritto al suo interno, chi sa che il Testo sacro non può essere toccato se non con lo yad; c’è poi chi conosce le imprese del Popolo d’Israele ; oppure, c’è chi ha visitato Gerusalemme e ci parla di quel viaggio. Inoltre, cosa che non manca mai quando parliamo di ebraismo, è il buio capitolo dell’olocausto durante la Seconda Guerra Mondiale. Capitolo che conoscono tutti. I ragazzi ad esempio sanno anche riconoscere le “pietre d’inciampo” incastonate sul suolo e nel cuore della comunità mondiale. Conoscono il Tempio maggiore di Roma e il quartiere ebraico a cui si riferiscono come ghetto. Nonostante questo, molti giovani non ci sono mai stati oppure non tutti sanno che esistono anche altre sinagoghe sparse per il territorio romano o italiano. È anche per questo che con il progetto Incontri li portiamo a far visita ai luoghi di culto della città.
Alcuni degli studenti che incontriamo ogni giorno a scuola hanno dei pregiudizi, o conoscono l’ebraismo tramite degli stereotipi , ma ciò che spinge sia noi che i testimoni a dialogare con loro non è solo l’urgenza di superarli insieme ai pregiudizi più comuni, ma anche dare la nostra testimonianza come Centro Astalli di dialogo interreligioso quotidiano, fatto di rispetto, curiosità, condivisione di valori e di obiettivi per la costruzione di una società più ricca e più aperta», conclude Pompei.

Per finire, nel contesto scolastico di cui ha parlato Valentina Pompei è sempre più possibile vedere allacciarsi «amicizie interculturali», poiché i banchi e i giorni del calendario si compongono di nuovi volti e altre festività. Avere e maneggiare adeguatamente uno strumento tanto forte come il dialogo permette di prevenire tutte quelle paure e insicurezze che ancora oggi compromettono la società. Per quanto riguarda specificamente l’ebraismo, nonostante alcuni studenti vivano accanto al quartiere ebraico, oppure, abbiano nelle proprie classi un compagno con un cognome per loro emblematico, di questa religione, culla dei monoteismi, sanno ancora molto poco. Ma ciò che realmente conta, nel dialogo e nell’incontro, non è quanto si possa sapere teologicamente o storicamente, piuttosto quanto cosa si voglia conoscere di quella stessa umanità, che appartiene a tutti, iniziando a smacchiarla dal pregiudizio.

Damiano Pro
collaboratore

Damiano Pro, anno 1994, è uno storico delle religioni che si occupa di dialogo interreligioso, attraverso alcune reti istituzionali e tramite il  Centro Astalli, tra gli enti più vitali della materia.


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