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La comunità ebraica di Johannesburg tra religione e attivismo

Lo sviluppo della città di Johannesburg e l’impegno civile della comunità ebraica locale

Sebbene Johannesburg sia oggi uno dei 50 centri urbani più grandi al mondo, lo sviluppo della città e della relativa comunità ebraica non sono più vecchi di due secoli.
Il territorio era prima occupato dalla comunità Sotho-Tswana, poi emigrata durante lo Mfecane, un periodo di guerre nel primo ‘800.
La storia della città come la conosciamo oggi inizia quindi con il “Gold Rush”: nel 1884 viene scoperta in una fattoria una miniera d’oro e Johannesburg diventa recipiente di una grandissima migrazione. Nel 1886 la città riceve quindi il suo nome odierno e un proprio municipio. Nel giro di dieci anni, Johannesburg arriva a ospitare circa 100’000 abitanti. E se gli ebrei in Sudafrica ammontavano a 4’000 (1880) arrivano a 40’000 nel 1914.

Il tetto di una sinagoga di Johannesburg, edificata nel 5690 (1930)

“La storia della comunità ebraica di Johannesburg è intrinsecamente legata alla storia della città. Lo sviluppo è stato parallelo” – spiega Wendy Khan, direttrice del South African Jewish Board of Deputies . Aggiunge: “I nuovi arrivati erano inglesi e tedeschi, ma soprattutto nel XX secolo, lituani”.
La popolazione arrivata con il Gold Rush veniva appellata come “uitlander” (in Afrikaans: straniero). In gran parte di origine britannica, gli uitlander si unirono agli sforzi militari inglesi durante la seconda guerra Boara del 1899. Johannesburg divenne parte delle colonie britanniche e gli uitlander ottennero il diritto di voto e di cittadinanza, precedentemente vietato dal governo boero per limitare l’influenza politica inglese. Così anche molti ebrei giunti a Johannesburg con il Gold Rush ottennero diritti civili più ampi.

Se è vero che la storia di una comunità ebraica in diaspora riflette la storia del paese, la storia moderna del Sudafrica è ricca di rivolte sociali volte a sovvertire la gerarchia a base razziale del paese, e così anche gli ebrei di Johanessburg hanno ricoperto un ruolo centrale nella lotta per l’uguaglianza sociale durante l’apartheid sudafricano.
Durante la nostra chiamata Zoom, Wendy Kahn sottolinea: “Gli ebrei di Johannesburg hanno lottato insieme a Nelson Mandela su più fronti – nel processo di Rivonia troverai diversi nomi di spicco della comunità di Johannesburg, come avvocati di Mandela o arrestati a suo fianco per il loro impegno politico”. E poi continua: “Tutto ciò è spiegato nel libro di David Sacks, ‘Jewish memories of Mandela’. Ma presto verrà pubblicato il secondo volume: questa volta, l’obiettivo è raccontare le storie delle persone comuni della comunità ebraica di Johannesburg che hanno lottato per porre fine all’Apartheid. In una ‘biancocrazia’, gli ebrei avrebbero potuto starsene da parte e mantenere lo status quo – ma non è stato così”.
“L’attivismo è una parte centrale della vita delle comunità ebraiche sudafricane e nello specifico di quella di Johannesburg”, spiega ancora meglio Kahn, “L’identità civile e religiosa sono intrecciate tra loro. Un esempio è un evento organizzato qualche giorno fa in occasione del Human Rights Month, a ricordo dei movimenti civili degli anni ’60 in Sudafrica. L’evento ha collegato la libertà ottenuta dagli ebrei all’uscita dell’Egitto con le libertà ottenute con l’impegno civile. Sono intervenuti attivisti, rabbini e membri della comunità. I temi che collegano Pesach ai diritti civili sono la libertà e l’heritage, l’eredità della memoria.”

Tornando al presente, l’attivismo civile natuarlmente ha dato prova di sé durante la pandemia di Covid 19. Chi ha più sofferto non è stato lasciato indietro, come racconta Kahn: “la comunità di Johannesburg ha continuato il proprio impegno civile anche durante la pandemia. Una fitta rete di aiuti si è assicurata che nessuno rimanesse indietro. Abbiamo gestito un fondo di più di 840’000 euro. È parte della sensibilità di ogni sudafricano e di ogni ebreo assistere chi è svantaggiato – poveri, migranti, anziani o bambini, non importa”.

Sul fronte dell’antisemitismo, la comunità di Johannesburg soffre soprattutto un antisemitismo di matrice antisionista: “La costituzione sudafricana è ricca di leggi che limitano i discorsi d’odio. Si è attenti contro ogni forma di xenofobia, eppure i movimenti BDS sono in crescita. Ad alcune manifestazioni si leggono chiari messaggi d’odio – “sparate agli ebrei” – e possiamo dire con certezza che sotto il loro antisionismo si cela un preoccupante antisemitismo”, commenta Kahn. Sul fronte della questione israelo-palestinese, Nelson Mandela mantenne una posizione più o meno neutra. Fu al centro di alcune critiche per il suo legame con Arafat. Nel 1993 dichiarò: “Come movimento noi riconosciamo la legittimità del nazionalismo palestinese così come riconosciamo la legittimità del sionismo come nazionalismo ebraico”. Nella sua autobiografia, (Lungo cammino verso la libertà) Mandela scrisse: “… Ho trovato che gli ebrei sono di più ampie vedute rispetto alla maggior parte dei bianchi in merito alle questioni della razza e le sue politiche, probabilmente perché loro stessi sono stati storicamente vittime del pregiudizio.” Forse è questa la chiave di lettura per parlare dell’attivismo della comunità di Johannesburg.

Micol Sonnino
collaboratrice

Micol-con-la-emme Sonnino, da pronunciare tutto d’un fiato, nasce a Roma nel 1997. Studia tutto ciò che riguarda l’Asia dell’Est all’Università di Bologna e vive tra Italia, Austria e Giappone per una magistrale in sviluppo sostenibile, con focus su sviluppo urbano e rurale. Le piace cucinare con la nonna e mangiare carciofi di stagione.


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