Israele
La mia Israele, quella che protesta, quella che combatte per un futuro diverso

Riflessioni da Tel Aviv, insieme a chi chiede un nuovo governo e partecipa alla vita di una società civile potente e creativa

Giovedi sera, via Skype, ho partecipato all’evento organizzato dalla Sinistra per Israele.
Da lontano tutto mi sembrava ovattato, non sempre le voci mi arrivavano intatte né tantomeno sentivo il pubblico, intuivo però che per chi era presente doveva essere stato tutt’altro che semplice superare la soglia protetta da camion della polizia e udire le urla dei manifestanti.
Combattere per la Palestina e accusare Israele di genocidio mi sembra sia diventata una triste moda che ben ben poco ha a che fare con la realtà di Israele in tutte le sue contraddizioni.
Quindi durante la serata ho cercato di raccontare la mia Israele: dei primi giorni terribili dell’attacco sadista del sette ottobre e dell’orrore mentre lentamente si cominciava a vedere e a capire cos’era successo: che eravamo stati traditi dal governo, dall’esercito, dal Mossad, dallo Shin bet, da tutti coloro che erano al comando in quei giorni. Dov’erano? Come poteva essere successo? Cosa stava succedendo? Ci prese una grande paura esistenziale. Che fosse la fine del paese ? Un attacco congiunto ? Poi è arrivata la portaerei americana per darci la sensazione di non essere soli e contemporaneamente in poche ore si è mossa la società civile e in primis gli organizzatori della protesta contro la riforma giudiziaria, che per la prima volta dopo 30 settimane era stata interrotta quella sera di sabato.
Senza alcun aiuto dal governo si è creato in quei giorni un centro nevralgico che ha trovato il modo di occuparsi di tutto: ospitare i sopravvissuti e gli sfollati dal sud e poi, con l’inizio dell’attacco dal Libano dei hezbollah, anche a quelli dal nord. È  stata fatta una mappatura tra uccisi, rapiti, sfollati, feriti. Si è iniziato a capirne i numeri, l’orrore, a vederne le immagini on line postate dagli stessi terroristi.

Poco dopo è iniziata la guerra. 130.000 riservisti richiamati si sono precipitati come un solo uomo, ognuno al suo distretto militare, per combattere. E quindi il volontariato si è occupato anche di loro e di tutto ciò di cui potevano avere bisogno.
E da allora, anche se molti sono stati riilasciati, la guerra continua e al governo sono rimasti tutti i responsabili del sette ottobre, lo stesso Netanyahu che aveva detto che Hamas non avrebbe mai attaccato, lo stesso governo che si occupava solo di rimanere in carica ad ogni costo, gli stessi estremisti di destra e protettori dei coloni, in parte coloni loro stessi.

Di questo ho raccontato giovedì sera al convegno, del fatto che siamo di nuovo a protestare, stessa via, la via Kaplan , stesso giorno, stessa ora. Certo non rappresento tutto Israele , ma rappresento coloro che di nuovo si mettono in cammino ogni sabato sera e ogni giorno chiedono al governo il ritorno degli ostaggi. E le elezioni. E un nuovo governo. Per Netanyahu, ormai lo abbiamo capito, ogni giorno di guerra è un giorno di più al governo. Anche per Sinwar malgrado la grande differenza tra i due. Ma non per noi.

Ero lì anche questo sabato sera. Prima alla protesta per le lezioni, poi a quella per gli ostaggi. E i numeri dalla settimana scorsa erano davvero molto aumentati, la folla cresciuta. Nel podio di via Kaplan ha parlato Ami Dror: «Siamo la generazione del cambiamento» ha «e vinceremo, siamo stanchi di leader narcisisti . Ne sono stanchi anche coloro che hanno votato per lui …. Bibi, mi senti? Ti ricordi che ero con te , con la sicurezza , e sul podio tu hai urlato che gli altri hanno paura ? adesso sei tu ad avere paura, perchè noi non non ci arrenderemo mai. E adesso dai la colpa all’esercito. Vergogna, Vergogna Vergogna! Vattene via!».

Alla piazza degli ostaggi ha invece parlato Adina Moshe: «Sono stata lì, sono stata rapita e sono stata rilasciata dopo 49 giorni, che sembravano l’eternità. Ma i miei amici sono ancora lì, , vecchi e malati , con i giovani e i bambini. Cos’è questa indifferenza? Ci avevi abbondonato il sette ottobre e ci abbandoni di nuovo adesso. È inaccettabile‼‼!».

Oggi è la festa ebraica di Purim . Trovo tra i mille messaggi dei vari gruppi che prendono parte alle dimostrazione , queste parole di Yaya Fink del gruppo Darkenu ( la nostra via). Era proprio quello di cui avevo bisogno: «Molti di noi in questo anno e mezzo hanno intrapreso un viaggio per risanare lo stato di Israele e dobbiamo ricordare che la disperazione non è un progetto di lavoro e che l’ottimismo, al contrario, è una posizione politica. È vero che stiamo vivendo tempi difficili e tristi ma non dobbiamo dimenticare che abbiamo fermato un colpo di stato e mantenuto Israele denocratico, costruito l’infrastruttura di una società civile potente e creativa. Nei prossimi mesi continueremo a lottare per il ritorno dei rapiti, per il ritorno alle loro case degli abitanti del nord e del sud e per una leadership diversa e degna di questa meravigliosa nazione».

 

 

Manuela Dviri
collaboratrice

Nasce a Padova nel gennaio del 1949, ma vive in Israele dal 1968.
Inizia i suoi studi universitari in Israele e si laurea all’Università Bar-Ilan in letteratura comparata già madre dei primi due figli, Eyal (nato nel 69) e Michal (nel ’72). Jonathan, il terzo figlio, nasce nel 77, ma il 26 febbraio 1998 cade in combattimento durante uno scontro con gli Hezbollah in Libano. Era in servizio militare di leva. Da allora Manuela Dviri si dedica ad attività per la pace, inizialmente chiedendo il ritiro dell’esercito israeliano dal territorio libanese. Quella campagna verrà poi ricordata con il nome delle “Quattro Madri” e viene coronata dal successo.

Giornalista, scrive per tre testate israeliane, “Maariv”, “Yediot Aharonot” e “Haaretz” e per diverse italiane come  Corriere Della sera,  Vanity Fair, la Gazzetta dello Sport, Oggi , Il Fatto Quotidiano. Come scrittrice ha pubblicato tra gli altri un libro di racconti in ebraico dal titolo “Beizà shel shokolad” (L’uovo di cioccolata) e un testo per il teatro, “Terra di latte e miele”,  in scena nel 2003 con Ottavia Piccolo e Enzo Curcuru, per la regia di Silvano Piccardi. È Stata insignita di vari premi per la pace e giornalistici tra cui il Premio “Peace and Reconciliation Award” del Centro Peres per la Pace, e il Premio Viareggio Repaci Internazionale.

La sua attività per la pace comprende moltissime iniziative di collaborazione attiva e continua con i palestinesi, nella convinzione che i due popoli potranno salvarsi e sopravvivere solo se lo faranno insieme. Tra i progetti, molto importante è  “Saving Children”, nato nel novembre 2003 con l’obiettivo di curare bambini palestinesi negli ospedali israeliani.con la collaborazione del Centro Peres per la Pace, organizzazioni mediche israeliane e palestinesi, pediatri israeliani e palestinesi, e grazie a un consistente aiuto finanziario italiano (proveniente in gran parte da varie regioni) e attualmente riesce a occuparsi di più di 13000 bambini palestinesi, in diversi ospedali israeliani.

È fiera nonna di sette nipoti e vive con suo marito, Avraham, a Tel Aviv, poco lontano dal mare.


1 Commento:

  1. Come sempre, un “pezzo” bello, coinvolgente ed empatico.
    L’ ho condiviso con una mia amica della stessa città. Lei si è riconosciuta nelle tue stile.
    L’ ho anche inviata ad una mia amica della mia città che non conosce di Israele che ciò che sente. Lei mi ha ringraziato per averglielo mandato.
    Grazie Manuela


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