Cultura
Le scorribande di Shimon Bar Giora, difensore di Gerusalemme (seconda parte)

Storia in due puntate di un erore per caso

Sta di fatto che, prima dell’inizio dell’assedio di Gerusalemme, Vespasiano ricevesse la notizia che il Senato di Roma lo aveva proclamato nuovo Imperatore. Abbandonata quindi la zona delle operazioni per far ritorno a Roma, lasciò il comando delle milizie e delle operazioni al proprio figlio Tito.
Come di frequente accade nella Storia che ad ogni causa corrisponda poi un suo effetto, succede anche che quest’ultimo si riveli spesso peggiore della causa stessa.
Intanto, le continue razzie ai danni degli Idumei, da parte di Bar Giora, li costringono a migliaia, a cercare rifugio e protezione all’interno delle mura di Gerusalemme.
Per frenarne l’ardire di Bar Giora, il tiranno zelota Giovanni (Yohanan) di Giscala, allora uno dei più temuti capi rivolta di Gerusalemme, grazie ad un agguato, ne fa rapire la moglie e alcuni suoi famigliari, credendo così di poterlo condizionare ed ammansire. La reazione rabbiosa di Shimon è però belluina e sanguinaria. Passa infatti a fil di spada chiunque si avventuri fuori dalle mura della città, terrorizzando così la popolazione che continua a spaccarsi sempre più nettamente in fazioni contrapposte, farisei da una parte, zeloti dall’altra ed idumei da un’altra ancora dando vita, come vedremo, ad una assurda guerra civile, ciascun gruppo con le proprie rivendicazioni a difesa dei propri interessi e dei propri quartieri, ma anche della propria vita.
Chi tenta invece di scappare dalla brutalità di Giovanni di Giscala, trova fuori dalle mura le bande di Bar Giora pronte a massacrarli.
Vale la pena citare come Giuseppe Flavio descriva nel suo libro tale terrificante situazione:

Se uno si salvava dal tiranno dentro le mura, moriva a causa di quello al di fuori. Coloro che invece desideravano passare dalla parte dei Romani, ogni via di fuga era loro preclusa.

Durante i tafferugli, Giovanni di Giscala assiema ai suoi seguaci, trovarono rifugio dentro il Palazzo reale, ma la furia degli idumei li raggiunse anche lì ricacciandoli dentro l’area del Tempio. Certi di poter risolvere definitivamente a proprio favore la pesante situazione, gli idumei atterriti oltretutto e preoccupati dall’arrivo dei Legionari romani, spinsero i propri rappresentanti ad aprire le porte della città alle milizie di Shimon Bar Giora per venire in loro aiuto come alleato o almeno così ingenuamente avevano pensato. La soluzione invece si rivelò da subito catastrofica. Correva l’anno 69 e.v.

A capo della difesa di Gerusalemme all’inizio della rivolta del 67 e.v. c’erano in quel momento due personaggi, di cui vale la pena raccontare le gesta.
Il primo, di cui abbiamo già parlato, era Eleazar Ben Shimon, fariseo e fiero discendente di una famiglia sacerdotale, il secondo, Yohanan Ben Levì -mi Gush Halav, meglio noto col nome di Giovanni di Giscala, era invece capo indiscusso e tiranno del gruppo degli zeloti.
Strenui difensori entrambe dell’ortodossia ebraica, mantenevano l’ordine manu militari all’interno di Gerusalemme, dividendosene le zone e difendendole in maniera dispotica e cruenta, contro chiunque si fosse frapposto ai loro piani, Gran Sacerdoti compresi. Nessun compromesso quindi con alcuno, tanto meno con i Romani che dal canto loro, più volte avevano tentato di fare accordi pur di ripristinare l’ordine ed evitare inutili spargimenti di sangue.
Questo stato di cose non poté che alimentare la paura e la rabbia tra la popolazione di Gerusalemme, divisa tra la scelta della resistenza ad oltranza a Roma o la resa. Fazioni tra loro lacerate dal dissidio, si palleggiavano la responsabilità di quella drammatica situazione, dando inizio ad una vara e propria carneficina all’interno di quelle alte mura. Fratelli contro fratelli si affrontavano e si massacravano l’un l’altro, lasciando che fiumi di sangue scorressero lungo le pietre della loro città, mentre il vero nemico la stava assediando.

Questa triade, alla quale ora si era aggiunto anche Bar Giora, prese possesso e si attestò in altrettante parti della città dalle quali i propri armati potevano bersagliare i contendenti delle fazioni opposte. Incendi e devastazione si propagavano come la peste ed i cadaveri per le strade non si contavano più. Addirittura il pregiato e sacro legname del Tempio, utilizzato per bruciare i sacrifici, venne portato via dai seguaci di Giovanni di Giscala, per costruire catapulte e torri da cui lanciare micidiali dardi contro i propri fratelli antagonisti. Anche il granaio della città, che sarebbe potuto servire per sostenere assai più a lungo l’assedio dei Romani, fu scelleratamente dato alle fiamme ed incenerito.

Nella primavera del 70 e.v., l’inizio dell’assedio dei Romani, che ora non permettevano più l’ingresso di cibo e vettovaglie, ebbe l’effetto di ricompattare le varie fazioni tra loro in lotta all’interno della città e che ora se la dovranno vedere con un nemico molto più spietato e devastante, la fame!
Dopo i primi due mesi d’assedio, i cadaveri ammassati per le strade, uccisi dalla denutrizione o dalla spada, già si contano a centinaia di migliaia; pochi di questi a stento trovano una degna sepoltura.
La maggior parte di quei corpi verrà ammassata l’uno sull’altro, murata nelle case o gettata dai bastioni delle alte mura.
Bar Giora, divenuto oramai capo unico ed incontrastato della resistenza, rifiutò categoricamente qualsiasi proposte di resa presentategli dai Romani, stroncando di conseguenza la resistenza di coloro che invece avrebbero voluto arrendersi.
Lo stesso Yoseph Ben Mattatià (Giuseppe Flavio), allora ancora prigioniero dei Romani, verrà inviato più volte sotto le mura di Gerusalemme a parlamentare con i resistenti, ma senza alcun risultato. Dopo altri quanto inutili tentativi ed espedienti di mediazione, Tito decise di agire in maniera drastica e, solo dopo due settimane, nel nono giorno del mese di Av, luglio dell’anno 70 e.v., riesce a penetrare, seppur a fatica nella città di Gerusalemme, attraverso una breccia praticata nelle sue mura, mettendola a ferro e a fuoco con inumana ferocia. Una guerra vinta, non solo per la maggiore potenza militare degli assedianti, ma per quell’assurda e autolesionista guerra fratricida perpetrata all’interno dagli assediati.
Facendo riferimento ancora una volta alle pagine del libro La Guerra Giudaica di Giuseppe Flavio, queste ci danno il tragico resoconto, anche se probabilmente assai esagerato, delle perdite umane subite dai Giudei a Gerusalemme.
Oltre un milione e mezzo furono i morti, su un totale di due milioni di abitanti, mentre novantasette mila furono i prigionieri condotti in catene a Roma per il Trionfo di Tito. Tra questi, anche il nostro “eroe per caso” Shimon Bar Giora, giustiziato col taglio della testa nel carcere Mamertino nel 71 e.v.
Pochi anni dopo questi accadimenti, l’indipendenza ebraica in quella terra cesserà e non vedrà più la luce per altri duemila anni, un tempo infinito che servirà a riempire ancora pagine e pagine di milioni di altri libri che racconteranno storie forse ancora più dure e drammatiche, la cui genesi va ricercata nelle assurde e laceranti divisioni e nell’odio maturato tra fratelli.
Ogni riferimento a fatti recenti non è assolutamente casuale.

Ariel Arbib
collaboratore

Nato a Roma il 15 Gennaio 1950.
Imprenditore, per diverse legislature, membro del Consiglio della Comunità ebraica di Roma, attualmente vice presidente della Deputazione ebraica di assistenza.
Scrittore per passione, ha avuto da sempre un’interesse particolare per la Storia ebraica, soprattutto per quella antica. Ha scritto anche numerosi racconti sulle proprie esperienze personali e su storie autobiografiche legate alla sua famiglia.


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