In mostra fino a gennaio le channukiot d’artista di Casale Monferrato
A illuminare la città di Padova fino al prossimo gennaio sono luci molto particolari. Sono le channukiot conservate nel museo di Casale Monferrato, una collezione unica di lampade contemporanee realizzate da artisti e in continua evoluzione, grazie a nuove creazioni che ogni anno si aggungono alle precedenti. Venti di questi bellissimi manufatti sono ospitati nella città del veneto per la mostra Una luce dirada l’oscurità. Che racconta una storia. Anzi, tante storie. Quella del rapporto della comunità ebraica padovana e del suo legame stretto con la città, un esempio virtuoso di convivenza pacifica e collaborativa, sta alla base di questo progetto messo a punto dal Museo della Padova ebraica insieme alla comunità. E il compito è stato affidato proprio alle lampade della collezione piemontese. 15 sono ospitate nel Museo della Padova ebraica, accanto a oggetti antichi, proprio a segnare un legame di continuità tra passato e presente, mentre le altre cinque occupano luoghi importanti della città, il Palazzo della Ragione, Palazzo Moroni, l’Università, il Museo Diocesano e la Basilica del Santo.
E qui comincia un’altra storia, quella del dialogo con le altre religioni, così ben rappresentato dal rapporto della comunità con la città stessa di Padova, ma anche dai valori che le channukiot rappresentano. “Sono valori molto importanti per noi“, spiega Gina Cavalieri, curatrice della mostra, “Ma universali, condivisi da tutte le religioni”. Fare luce nelle giornate più buie dell’anno è un gesto antico, che riporta alle origini della festa di Channukkà. Risale infatti all’epoca in cui la Giudea era sotto il dominio dell’Impero Seleucide. Il re siriano Antioco IV Epifane, impose agli abitanti pesanti tributi, proibì la pratica della fede ebraica, profanò il tempio di Gerusalemme, facendovi erigere una grande statua di Giove e celebrare riti pagani. Il seguito è noto: il sacerdote ebreo Mattatia e i suoi cinque figli, soprannominati Maccabei, si posero a capo di una rivolta, che portò alla liberazione della Giudea. Nell’anno 165 a.C. uno dei figli di Mattatia, Giuda Maccabeo, entrò nel tempio con i suoi seguaci, per abbattere gli idoli e riconsacrarlo. Per farlo era necessario accendere i lumi, ma nel Santuario si trovò olio sufficiente per un solo giorno. E fu allora che si verificò il miracolo: l’olio durò per otto giorni, il tempo necessario per procurarne di nuovo. Una festa, anche questa, che nel calendario ebraico celebra la libertà. Ed è proprio la libertà a guidare il progetto espositivo di questa mostra padovana: diradare l’oscurità come invito alla libertà di professare la propria religione e la propria identità.
Terza storia: le tante religioni. Le channukiot di Casale hanno il dialogo interreligioso nel Dna: ogni anno infatti la comunità ebraica propone un’accensione pubblica della channukia con i rappresentanti delle religioni monoteiste presenti nella cittadina piemontese. Perché la luce è un invito alla tolleranza, all’integrazione e al dialogo, strade maestre per il futuro di tutti. A Padova la comunità ebraica è molto legata al territorio e ha ottimi rapporti consolidati con la diocesi. Tanto che il Museo Diocesano e la Basilica del Santo ospitano ognuno una lampada. Non solo, se sarà possibile per le norme di contenimento del covid, il vescovo della basilica vorrebbe fare un’accensione della lampada che ospita. Sono previsti anche altri appuntamenti intorno alla mostra, probabilmente da trasformare in eventi online, per parlare di luce nelle tre religioni e una conferenza sul rapporto tra la cultura ebraica e quella classica.
Palazzo della Ragione: Omar Ronda. La sua chanukkià è realizzata in brillanti tasselli multiformi di plastica colorata inseriti nella sagoma dorata della menorah, con lo shamash al centro.
Cortile Nuovo dell’Università: Marco Lodola, la cui opera è formata da un alto parallelepipedo nero sulla cui sommità sono allineate otto mani colorate e illuminabili al neon, presentate frontalmente che simboleggiano gli otto lumi della chanukiah. Sulla superficie dell’alto basamento rettangolare, in posizione centrale, campeggia la nona mano, l’unica di colore bianco, simbolo del nono lume, lo shamash; a inquadrarla, due sagome di colonne antiche stilizzate con figure di leoni.
Cortile pensile di Palazzo Moroni: Roland Topor. Il lume si presenta con la forma di due grandi mani dalle dita ben distanziate che hanno la particolarità di essere unite da un unico pollice con funzione di shamash. Le nove dita sulla sommità si allungano come fossero piccole fiamme stilizzate e fanno da appoggio ai tradizionali lumi per l’accensione.
Chiostro Generale della Basilica del Santo: Guy De Rougemont. Nell’opera ha molta importanza la parte inferiore, di supporto alla lampada vera e propria: si tratta di una grande struttura in acciaio, dominata dall’incontro e dall’intreccio di barre metalliche in un complesso gioco basato sulla figura del triangolo.
Salone dei Vescovi del Museo Diocesano: Antonio Recalcati. L’opera, in bronzo fuso, parte da un basamento in marmo sul quale si innesta la struttura portante costituita da una serie di nove fogli in bronzo che raffigurano i biglietti piegati e inseriti nel Muro del Pianto a Gerusalemme.
Sinagoga: Arnaldo Pomodoro. Sulla putrella sono inserite due lastre di bronzo caratterizzate dai segni del linguaggio espressivo dell’artista, tra tagli, cunei, denti, insieme a segni astratti e immaginari per raccontare l’idea, l’esperienza e la memoria.
Museo della Padova Ebraica: Tommaso Chiappa, Davide Nido, Emanuele Luzzati, Marco Porta, Tobia Ravà, Elio Carmi, Aldo Mondino, Teresa Lucia Rossi, Vito Boggeri, Franca Bertagnolli, Giorgio Laveri e Marcello Mastro.