Cultura
L’ultima magia

Un racconta visionario che parla di Orlunz, antisemita e anti-israeliano, sindaco da poco meno di un anno di un comune di poco meno di centomila abitanti in Ungheria…

Orlunz non dormiva da notti, appena chiudeva gli occhi gli appariva, timore vivente di questa metà d’inverno, il Bella vista Hotel. Proprio lui, un vecchio edificio datato fine ottocento che ormai era talmente pericolante, devastato da molteplici incendi, termiti, allagamenti da stare per miracolo in piedi appoggiandosi ai palazzi accanto, troppo simili a guardie che scortavano un detenuto malato. Evidente pericolo per tutti.

Orlunz, antisemita e anti-israeliano, era sindaco da poco meno di un anno di un comune di poco meno di centomila abitanti in Ungheria e già si era trovato ad avere a che fare con un problema di ordine pubblico che avrebbe dovuto gestire con molta efficacia e in poco tempo. Infatti i residenti dei fabbricati vicini segnalavano con sempre maggiore frequenza di sentire strane scosse sussultorie che non lasciavano presagire nulla di buono E avevano creato un comitato, dando materiale da scrivere ai giornali dell’area politica opposta, in un vortice sempre maggiore e sempre più maldestro, al cui centro restava labile il Bella Vista Hotel.

Fu suo figlio Viktor, di poco più di cinque anni, a trovare una mattina la soluzione. Erano a colazione e Orlunz era in balia dei peggiori prognostici su quel dannato Hotel che il bimbo, tra un cucchiaio e l’altro di Kefyr con cereali, disse “Perché non lo fai scomparire?”.

Una luce dissolse gli oscuri pensieri. Il Bella vista Hotel doveva scomparire! Dai suoi pensieri, dalla sua vita, dalla strada su cui si affacciava e dal semplice contatto con gli edifici vicini che lo circondavano. Ecco la soluzione.

Orlunz non ebbe migliore idea che chiamare i più famosi architetti della città, i più efficienti demolitori, i vigili del fuoco, ma ebbe modo di scoprire presto che era pressoché impossibile rimuovere fisicamente il vecchio Hotel senza fare danni ulteriori agli altri edifici, con la sua inquietante e incerta presenza, messa lì solo per agitare l’animo del giovane sindaco.

Ormai senza speranza, braccato costantemente dalle sue paure se non dagli assicuratori, dai tecnici e dai contabili del Comune che temevano in un danno miliardario irrecuperabile, dai giornalisti in cerca del suo primo ed ultimo fallimento, mentre camminava per strada mise il piede su un volantino. Colore blu, stelline argentate e una scritta altrettanto splendente del “mago Ruben, l’uomo che ha fatto scomparire la Torre Eiffel”. Raccolse il foglietto e come se una meteora avesse illuminato la strada, corse nel suo ufficio in municipio, sbraitando ordini di contattare subito questo Ruben il quale, esitando, dopo qualche giorno si presentò alla sua porta.

Ruben non era un vero mago. Non era neppure un bravo prestigiatore, aveva solo ereditato da sua nonna Ruth un particolare talento, che camuffava in vari modi. Poteva far scomparire le cose per davvero. Il dono gli si era manifestato a poco più di sei anni, quando suo padre lo aveva minacciato di toglierli il suo coniglio Berry, diventato fonte di imbarazzo pubblico, che portava ovunque e sempre con sè. Ma suo padre non fece in tempo a prenderlo che Berry scomparve di colpo. Poi fu la volta di una torta che non poteva mangiare, dei libri di scuola che non voleva studiare, dell’automobile di suo padre che non poteva guidare. Solo Ruth lo capiva. Anche lei aveva fatto scomparire alcune cose, tra cui suo marito. Una volta aveva accennato che fosse scappato, ma aveva avuto uno strano sorriso e la cosa era stata accettata in famiglia con una certa rassegnazione alla stramba provvidenza e alla necessità di non fare mai troppo arrabbiare la nonna.

Così Ruben ebbe come promessa dal sindaco di ricevere  una parcella speciale di un milione di euro se avesse fatto scomparire il Bella Vista.

Quando il finto mago tornò a casa sua, sua moglie Shula come era ovvio espresse un’immediata preoccupazione che infranse i sogni di gloria. Ruben era ebreo e a tutti era nota l’avversione del sindaco verso gli ebrei. Di conseguenza la proposta appariva come una trappola belle e fatta. Ruben però insisteva che quel milione avrebbe cambiato la loro vita, avrebbero comprato una casa più grande, i figli avrebbero fatto studi di eccellenza e non accontentarsi del loro misero ateneo locale. E più ne discutevano, più quell’offerta appariva tanto un dono, quanto una maledizione.

Ruben alla fine disse a Shula di fidarsi, aveva un piano e tornò al sindaco per accettare l’offerta. Il Sindaco ovviamente, sapendo che aveva di fronte una doppia occasione, liberarsi dell’Hotel Bella vista e poter colpevolizzare un ebreo e magari pure l’intera comunità ebraica, gli fece firmare il contratto come nella peggiore delle previsioni di Shula.

Venne alla fine il giorno stabilito dello spettacolo di magia di Ruben. Il Sindaco aveva annunciato in conferenza, seguendo le richieste espresse dallo stesso mago, che sarebbe stato il più grande spettacolo del secolo. Senza entrare nei dettagli di cosa sarebbe successo, aveva convinto più di mille persone in presenza e altre diecimila connesse a guardarlo in tempo reale.

Era notte, verso le 21 tutte le luci pubbliche erano spente tranne dei fari che illuminavano la facciata decadente dell’Hotel Bella Vista, Orlunz sorridente, in attesa di Ruben, stava prendendo tempo rilasciando interviste, mentre nel cielo i droni televisivi riprendevano il tetto del fabbricato in una girandola di intricate prospettive inutili.

Ma Ruben non si presentava. Il Sindaco fissava nervosamente l’orologio al polso che indossava per apparire abbastanza retrò ai suoi elettori prossimi alla pensione, ma che era solito non consultare se non nei momenti di estrema tensione come questo. Ancora niente.

Poi di colpo l’illuminazione pubblica ebbe un sussulto, dando la sua massima espressione in Volt. La folla radunata e gli spettatori strabuzzarono gli occhi, presi dall’improvviso effetto. Orlunz si girò verso l’Hotel Bella Vista, per riscontrare che invece era ancora lì al suo posto. La folla sembrava essersi diradata velocemente, forse per la delusione. Tranne un signore molto anziano sulla centinaia di anni a vedersi, una torta appoggiata su un tavolino, una vecchia Ford ed un coniglio di pezza su una sedia. Orlunz iniziò a dubitare del mago, ma nessuno ebbe più modo di ascoltarlo tranne il centenario.

Ruben stava godendosi un calice di vino rosso moldavo mentre per tv i giornalisti comunicavano l’improvvisa scomparsa di un intero Hotel, insieme al suo sindaco. Forse si saprebbe parlato di un caso inspiegabile, tipo Tonguska, forse sarebbe venuta fuori una cospirazione di Orlunz con gli alieni oppure un’operazione del Mossad.

Forse poteva solo andare peggio, pensò Ruben mentre brindava con la sua Shula.


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.