Hebraica
Monsieur Chouchani, un mistero da risolvere alla Biblioteca Nazionale di Israele

È ufficiale: l’archivio del geniale rabbino è pronto ad essere scandagliato e consultato. Intervista a Hanoch Ben Pazi del dipartimento di filosofia ebraica dell’università Bar Ilan

Giovedì ventun ottobre, con una conferenza organizzata via zoom, la Biblioteca Nazionale di Israele ha ufficialmente annunciato l’apertura dell’archivio – contenente lettere, quaderni e scritti – di Monsieur Chouchani. Non si dubiterà della portata di un evento di tal sorta, essendo Monsieur Chouchani un faro del pensiero ebraico contemporaneo. Faro, tuttavia, avvolto dalla nebbia, la cui luce non è dato percepire – almeno sino ad oggi – che indirettamente, dai racconti di altri così come dalla sua eco negli scritti di Wiesel e Levinas. Assenti le opere, il suo nome è conosciuto attraverso le tracce lasciate dal suo insegnamento orale in coloro che, dalla Francia a Israele sino all’America Latina, ha incrociato. Tra gli organizzatori dell’evento, Hanoch Ben Pazi, specialista del pensiero di Levinas e a capo del dipartimento di filosofia ebraica dell’università Bar Ilan, con cui abbiamo parlato a margine della conferenza.

Professor Ben Pazi, perché è così importante – oggi – l’apertura degli archivi di Chouchani? E come presentarlo, per chi non lo conosce?
Chouchani è un personaggio enigmatico, la cui vita è avvolta dal mistero. La sua storia personale rimane un segreto, che volle conservare anche tra quanti gli furono maggiormente vicini. Persino il suo pensiero, è a noi noto soltanto attraverso l’influsso che ebbe su di altri. Mi sono occupato ampiamente del peso che ebbe per Levinas, e sul modo mediante il quale questi ne presentava l’insegnamento. D’altronde, Eli Wiesel ha ampiamente descritto Chouchani, a partire dall’incontro che gli cambiò la vita. E Shalom Rosenberg, tra i più importanti filosofi oggi in Israele, riconobbe in lui il suo più grande maestro. Tuttavia, allorché veniva chiesto a ciascuno di questi che cosa avessero imparato, precisamente, da Chouchani, la riposta che ne veniva era vaga.
Quanto sta avvenendo, con l’apertura dei quaderni alla ricerca, ci renderà finalmente possibile tentare di estrarre dai suoi scritti un pensiero chiaro, organico. Potremo lavorare sulle tracce della sua scrittura, delle sue idee. Ricercatori di provenienze differenti porteranno alla luce molteplici aspetti e differenti tematiche e – in ultimo – si verrà a determinare un nuovo campo della ricerca su Chouchani. La storia dell’uomo e della filosofia ci ha già mostrato l’esempio di grandi autori il cui pensiero è emerso, o ha iniziato a esser compreso, soltanto cinquanta o cento anni dopo la loro morte. Di esempi ve ne sono a iosa: a partire da Spinoza e Rabbi Nachman di Braslav. Viviamo quindi con grande speranza ed emozione l’accesso ai suoi quaderni. Non posso esser sicuro che l’esito sarà proprio quanto ho indicato. Certo è che saremo in misura di analizzare da presso una parte degli scritti che ci ha lasciato, tentando di comprenderne il contenuto, di capire come e in che modalità si è sviluppato il suo pensiero dai tempi antecedenti il secondo conflitto mondiale, passando per l’epoca che trascorse in Francia e sino all’ultimo periodo, durante il quale insegnò in Uruguay.

Nonostante l’aura di mistero che ne avvolge la figura, durante il suo intervento lei diceva di serbarne un ricordo d’infanzia, allorché si trovava con la sua famiglia in Uruguay…
Risponderò anzitutto con un sorriso [ironicamente] nel dire che questo è un poco il “mio segreto”. Non sono in molti, infatti, a sapere che ho trascorso la prima infanzia con la mia famiglia, israeliana, a Montevideo. Mio padre era stato a dirigere la scuola Yavne, e mia madre vi insegnava. Ero molto piccolo perciò i miei ricordi non sono del tutto chiari, e si basano in buona parte sui racconti. All’epoca per me Chouchani era associato a una determinata figura, che serbo in me, alla stregua di un’immagine mentale. Le persone che frequentavamo lì parlavano spesso di lui, ne riportavano racconti, quasi facesse parte del paesaggio ebraico peculiare a quell’epoca. Molto veniva detto attorno al suo mistero, e al suo volersi celare. Mio padre – riposi in pace – era solito riportare come Chouchani amasse particolarmente chiacchierare con lui sui personaggi noti della Gerusalemme di una volta. Gli risultava evidente che Chouchani avesse trascorso un lungo periodo nella città, dal momento che ne conosceva le più varie e pittoresche figure. Una delle foto che sono rimaste in famiglia riprende Chouchani mentre insegna, in un campo in pieno inverno (ossia nell’estate del sud America), su di una sedia sotto l’albero, attorniato da persone assise, venute ad ascoltarlo. A sua volta questa immagine era parte del racconto, che aggiungeva un piccolo particolare: per lo più quanti venivano ad ascoltarlo non comprendevano che cosa dicesse, limitandosi a sapere che era un genio, e che conosceva ogni cosa.

Durante il suo intervento, lei indicava come l’apertura dell’archivio possa rappresentare una difficoltà, persino un pericolo… a cosa si riferisce?
L’apertura di un archivio è un evento fondativo nella ricerca, dal momento che può far emergere aspetti che l’Autore, o chi gli era vicino, avevano voluto celare. Questo può esser vero con riferimento a informazioni su altre persone e vicende, così come in rapporto a testimonianze sul suo conto, sino all’ambito biografico. Tuttavia, nel nostro caso, il timore che accompagna la speranza è dato dalla possibilità che l’archivio non ci riveli il suo insegnamento. Hodaya Samet Har Shefi, una mia allieva, ha compiuto una ricerca su questi quaderni, occupandosi di decifrarli e tentando di ricavarne un approccio filosofico compiuto. Hodaya ha cercato di individuare quello che, della scrittura di Chouchani, costituiva l’approccio e la chiave. Trascorrevamo ore nel tentativo di comprendere che cosa si nascondesse dietro le differenti allusioni. Avevo l’impressione che ci trovassimo alle prese con un puzzle, del quale cercavamo la soluzione. O di esser di fronte a una mappa del tesoro. Il timore più grande, tuttavia, è che possa non esservi alcun tesoro, quanto soltanto una molteplicità di idee, commenti e aneddoti. Dal mio punto di vista, come ricercatore e come filosofo, vi è un altro aspetto, che riguarda l’argomento secondo cui un testo dev’essere consegnato, senza reticenze, alla ricerca, affinché la conoscenza possa svilupparsi, evolvere. Ho dedicato molti sforzi per far sì che questi quaderni pervenissero nelle mani della Biblioteca, così da essere accessibili per lo studio. Mi piacerebbe pensare ad altri quaderni e scritti che possano aggiungersi a quelli pervenuti. Sarà, forse, questo il compito nel prossimo futuro, in un mondo, come il nostro, sempre più digitalizzato.

Durante la presentazione di alcuni dei quaderni, abbiamo potuto renderci conto – grazie al lavoro degli archivisti – dell’ampio spettro di interessi di Chouchani: dall’ambito dell’ermeneutica e dell’Halakhà sino all’astronomia e all’ottica. In effetti, alcuni avevano l’abitudine di chiamarlo «omni», per sottolinearne la vastità di conoscenze. Altri ne comparano la figura a quella dei Tannaim, i Maestri della Mishnà. Vi è un filo conduttore che attraversa e unisce i diversi campi di interesse di Chouchani?
Questa è una domanda essenziale. Le persone della Biblioteca Nazionale che hanno lavorato all’archivio si sono adoperate per delineare i diversi campi tematici individuabili nei testi, nonché le diverse referenze e citazioni rinvenibili. Tuttavia non siamo che all’inizio, dal momento che – come è comune presso le persone curiose e geniali – Chouchani sapeva molto e leggeva ancor di più, toccando ambiti differenti e arrivando a creare collegamenti tra questi. Ora, tuttavia, spetta a noi il compito di capire quale sia la fonte di queste eterogenee conoscenze e di interrogarci se presentino, in quanto tali, una qualche validità. Il fatto che si interessasse di astronomia è qualcosa che incuriosisce e che, personalmente, mi emoziona. Tuttavia: che cosa è possibile imparare da questo? Presenta un contributo al mondo della scienza? A prima vista no.
La fase successiva – ancor più significativa – consiste nel tentare di individuare fili conduttori o idee che colleghino i diversi ambiti, così da esser in misura di delineare un pensiero organico a partire dai quaderni. Ti faccio qualche esempio. In una parte dei quaderni si trovano elenchi di svariati tipi, come: tutte le ricorrenze in cui Rashi, nel suo commento al Talmud, scrive “non so”. Poi, però, abbiamo trovato, in un altro commentatore, la fonte di questo elenco. Da ciò, subito, si era posta la domanda se Chouchani si fosse limitato a copiare, per poi forse aggiungere un certo numero di ricorrenze all’elenco. In questo caso, perché? Che cosa voleva ottenere? Forse che, di fronte a questa lista come ad altre che si rinvengono nei quaderni, non siamo che di fronte a un esercizio mnemotecnico? E, allora, che importanza attribuirle?

Abbiamo ascoltato dire che Chouchani preferisse insegnare alle donne, ritenendo che non fossero state «rovinate» da precedenti studi in yeshivot… Dobbiamo limitarci a cogliere l’aspetto provocatorio o, in filigrana a queste parole, possiamo intravedere la portata innovatrice dell’insegnamento di Chouchani?
È un aneddoto che ho appreso solo da Rina Rosenberg, e che è in contrasto con il fatto che la maggior parte tra gli allievi più conosciuti di Chouchani fossero uomini. Penserei piuttosto a questo detto come a una sorta di apologia della peculiare modalità di insegnamento di Chouchani, all’intransigenza nello studio, tipica della yehsivà, che cercava di sollecitare. Ciò che maggiormente interessa nel suo insegnamento è, a mio avviso, la volontà di mettere in atto e la “distruzione” e la “costruzione”. Ciascuno dei suoi allievi con i quali ho avuto modo di parlare, si premuniva di descrivere il primo incontro di studio con Chouchani come segnato dalla “distruzione”. Tutto ciò che la persona, sino a quel momento, sapeva, veniva risolto come non rilevante, frutto di un’errata comprensione. Ogni verità veniva distrutta, e con essa tutte le interpretazioni conosciute. Soltanto dopo si riproponeva di costruire un nuovo, e più profondo, significato. Spesso si trattava di una comprensione allegorica o filosofica di un testo.
Per esempio, apriva la Ghemarà delle ‘quattro categorie di danno’ Bava Kamma 2a che si occupa esclusivamente dei possibili danni tra persone e cose che possono avvenire per via dello scavo di una buca, o allorché il tuo bue ferisce qualcun altro, o a causa di un fuoco che sfugge di controllo. Chouchani legge tutto questo con occhio allegorico e, a tale scopo, si appoggia su un certo numero di commentatori medievali. I diversi passaggi relativi ai danni sono letti come se si rivolgessero a quelle nazioni che hanno reso schiavo il popolo ebraico: Egitto, Babele, Grecia e Edom. Tuttavia per Chouchani questo è solo il secondo passo, dal momento che il terzo consiste nel comprendere anche la storia ebraica, e i suoi esili, come prototipi dei danni, delle ferite e dei problemi del mondo. Ed ecco che lo studente, intento a comprendere la Ghemarà concernente il danno del bue o della pecora, si perde in questo percorso vertiginoso, allora che il filosofo vi troverà ragion d’interesse.
L’ultimo esempio che porterò è una citazione da Levinas. Il versetto più noto della Bibbia è “e parlò il Signore a Mosé dicendo”. Qual è il significato di questo versetto? Chouchani – così dice Levinas – ‘mi aveva insegnato che per questo versetto vi sono più di 100 interpretazioni differenti, la maggior parte di queste Chouchani preferì portarle con lui nella tomba’. Tuttavia due interpretazioni tra loro antitetiche ci insegnano, più di ogni altra cosa, circa il suo modo di pensare. Una, secondo cui il Santo, sia benedetto, insegna a Mosé affinché parli, dica. Il compito del maestro è di far sì che l’allievo parli. Ed invece la seconda interpretazione indica precisamente l’opposto: il compito del maestro è di far sì che l’allievo non parli. Non dica. E forse questo, con l’apertura dei quaderni nell’archivio, è uno di quei momenti, un po’ strani e confusi, in cui ci si chiede se il nostro compito sia di dire ciò che ci ha insegato il maestro, o se il nostro compito sia precisamente di tacere e non dire.

Cosimo Nicolini Coen
collaboratore

Cosimo Nicolini Coen ha studiato alla Statale di Milano, dove si è laureato in Ermeneutica filosofica e Filosofia del diritto, e all’Università Jean Moulin III, a Lione;  attualmente è dottorando a Bar Ilan. Ha pubblicato il libro Il segno è l’uomo per Durango Edizioni.

 


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