Cultura
Noi, poliziotti del karma

Un racconto di Roberto Battistini

Al di là, in tutti sensi, di come sia passato ad altra vita, ciò che conta è dove venni direzionato nella grande hall in stile aeroporto che mi circondava. Era un po’ come i grandi stadi adibiti a vicini COVID19 nel 2020. Mi trovai in una fila di persone allineate sotto il cartello Ricollocamento. Era difficile per tutti orientarsi, già ci si sente smarriti normalmente in un aeroporto, figurarsi se si è morti e si ricorda poco di come si è arrivati fin lì.

Di fatto senza troppe spiegazioni l’impiegata seduta dietro ad una scrivania mi guardò in volto due secondi da dietro i suoi occhiali spessi e tirò fuori un modulo, in cui mi indicò di firmare. Non riuscii neanche a leggere cosa avevo firmato per ritrovarmi nuovamente in fila verso una porta in cui spiccava un lampeggiante blu con l’insegna Karma Police. In vita ero stato un poliziotto, né bravo né incapace, né cattivo né buono. Ho lavorato per lo Shabak, ma ho sempre cercato di trattare bene gli arabi. D’altronde le mie origini erano arabe, anzi ad essere precisi ero musulmano da parte di padre, ebreo da parte di madre. Il sangue mi chiamava da entrambi i lati, ma nessuno mi ha mai ostacolato per questo, e ho sempre lavorato libero di mente, al punto che quando mi sono ritrovato a fare questo lavoro, ho compreso bene perché mi avessero fatto firmare in fretta il modulo, come se tra le due vite ci fosse in realtà un qualche nesso.

Di fatto ora sono sempre una sorta di poliziotto che si può muovere indisturbato tra gli uomini con il solo scopo di osservarli e cercare prove. È un po’ essere come gli angeli, con la differenza che non ho la licenza ad interferire ma solo di annotarmi i particolari di ciò che di giusto o sbagliato fanno le persone. Giriamo con la nostra volante, una smart card elettrica – le bollette potete immaginare anche voi chi le paga, ed in questo Lui è parsimonioso – e abbiamo un portatile con una App, Il Buono e il Cattivo, cui si visualizzano su mappa gli eventi da investigare. Vediamo alternarsi il meglio e il peggio di questo mondo.

L’altro giorno siamo stati ad un festival nazionale di musica popolare quando un cantante si è messo a gridare di cessare il fuoco, di smettere di bombardare in medio oriente. Inizialmente mi sono chiesto perché dall’Alto ci avessero mandato qui. Il cantante stava facendo un’azione positiva di per sé, un po’ paraculo e banale, ma niente di eccezionale, no? Chi non vuole la pace d’altronde? Abbiamo avviato le nostre indagini, a leggere giornali, intervistare, raccogliere prove, rivedere i filmati. Alla fine abbiamo capito come, oltre a ciò che poteva arrivare sul momento da quelle semplici parole, la ragione della nostra presenza era altra. Il fatto che dichiarando che l’Altissimo non accetta il silenzio di fronte a bambini sotto le bombe, senza acqua e cibo (ma accettare invece i massacri compiuti dai terroristi o che gli ostaggi siano ancora prigionieri, ma questa è un’altra cosa, come si dice sulla terra), il nostro Datore di Lavoro si era semplicemente offeso.

Si era visto trattare come incapace di agire senza sottostare alla voce degli uomini, privo di una propria visione manageriale. Questo continuo bisogno di spiegazioni immediate degli umani, questo modo di assoggettarLo alla mentalità terrena lo avevano irritato nel profondo. L’Altissimo cercava una dimora nella terra, non che la terra lo invadesse nei cieli. E pensare effettivamente che non era bastato neppure l’insegnamento dato al testardo Moshè rabbenu quando aveva chiesto di vederLo. Era stato messo pure per iscritto, ma oggi leggono in pochi, si sa. L’indice della vendita dei libri è sempre in calo, figurarsi un best seller di migliaia di anni fa.

Annotammo con pazienza tutto alla voce di uno dei sette principi universali. Questo è il nostro lavoro. Sempre in coppia, sempre vigili, anche quando nulla cambia, noi poliziotti del Karma.

L’autore suggerisce (ovviamente) l’ascolto di “Karma Police”, Radiohead, da Karma police EP, XL Recordings 1997.


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