Cultura
Primo Levi, intervista al biografo Ian Thomson

In occasione dell’uscita della seconda edizione della biografia, l’autore si racconta, tra la Torino degli anni 90 e oggi

Ian Thomson è scrittore e traduttore. Nel 2002 ha pubblicato la biografia Primo Levi (Hutchinson, London), che ha vinto premi internazionali ed è stata tradotta in Italiano nel 2017, per i tipi della UTET (traduzione di Eleonora Gallitelli). Il libro è stato ristampato nel luglio 2019 in una nuova edizione rivista con il titolo Primo Levi: The Elements of a Life (Vintage, London).
Tra gli ultimi libri di Ian Thomson si segnala in particolare Dante’s Journey: A Journey Without End (2018).

Come e perché ha deciso di scrivere una biografia di Primo Levi?
Debbo confessare sin da subito che non sono stato io a decidere di scrivere questa biografia; Levi era appena mancato – era il 1987 – e una casa editrice di Londra mi ha contattato. In un primo tempo ho esitato: da un punto di vista intellettuale, mi sembrava che un libro di questo tipo non avesse molto senso. Primo Levi è stato un autore di scritti ricchi di meditazioni di carattere etico secondo la scuola di Michel de Montaigne, e la sua opera si pone come una luminosa riflessione sui comportamenti umani: semplicemente, non mi sentivo all’altezza del compito.
Nell’inverno del 1991, tuttavia, dopo averci riflettuto, presi un aereo per Torino, e vi affittai un appartamento di due stanze. Forse ai lettori può interessare sapere cosa ha richiesto la ricerca per questo libro. Nel mio alloggio delle dimensione di una scatola, dalle parti di Via Madama Cristina, che poi scoprii essere proprio nella zona ebraica della città, vi erano un piccolo letto, un armadio, un lavabo crepato in un angolo, e – nel locale adiacente –, una cucina con una stufa ed un fornelletto a due fuochi. Non c’era telefono. Notte e giorno un tram sferragliava rumorosamente sotto alla mia finestra mentre leggevo e rileggevo i libri di Levi e riempivo quaderni di nomi e numeri di telefono di potenziali contatti e persone da intervistare. Anche se avevo incontrato Levi di persona nell’estate del 1986, mi sentivo dolorosamente impreparato. Ogni mattino, dopo un doppio espresso e un pasticcino nel bar sotto casa, riguardavo i miei appunti e poi mi dirigevo verso una cabina telefonica pubblica alla Stazione di Porta Nuova. Telefonavo e prendevo appuntamenti con persone che avevano conosciuto Levi. Spesso la linea si interrompeva, era occupata o era stata staccata. In quegli anni i telefoni cellulari erano un lusso che pochi potevano permettersi e durante la ricerca per questo libro ho usato centinaia di carte telefoniche di plastica.
Gradualmente, la forma della biografia ha cominciato ad emergere.

La sua biografia è particolarmente originale: è basata soprattutto su interviste a persone che erano in contatto con Levi, e su epistolari
Sono lieto che lei descriva la mia biografia come ‘originale’. Spero davvero lo sia. Sin dall’inizio, ero deciso a ricostruire la vita di Primo Levi in modo diverso da come essa risulta dai suoi libri. Mi sembrava disonesto, e anche pericoloso, ricomporre le parole stampate da Levi stesso in una biografia. Levi aveva costruito elaborate finzioni autobiografiche, e questo spiega in parte il motivo per cui egli è un soggetto così difficile per un biografo. Per questo ho cominciato a intervistare più persone possibile. Per nessun motivo avrei accettato le parole di Levi stesso come se fossero un testo sacro.

Aveva in mente altre biografie basate su interviste? Altri modelli?
Ci sono state due biografie in particolare cui mi sono ispirato. La prima è quella di James Joyce scritta da Richard Ellmann [apparsa anche in traduzione italiana], che è un impareggiabile lavoro di investigazione letteraria, e la seconda è il primo volume della vita di Samuel Taylor Coleridge, Early Visions, di Richard Holmes, se non altro perché il titolo del libro di Levi Se questo è un uomo riecheggia della domanda attonita di Coleridge al vecchio marinaio: ‘Che tipo di uomo sei tu?’ ne La ballata del vecchio marinaio.

Che ricezione ha avuto la prima edizione del suo libro?
Innanzi tutto, una breve premessa: nelle librerie inglesi sono stato quasi battuto sul tempo da un’altra biografia di Levi. Non avrebbe dovuto sorprendermi: pubblicare un libro può essere a volte un gioco d’azzardo brutale e quello delle biografie è sempre stato un business competitivo. Tuttavia questa rivalità era tetramente distruttiva, e in diverse occasioni sono stato tentato di abbandonare il progetto del mio libro. Ricordo che tra la fine del 1993 e l’inizio del 1994 sentivo che stavo finalmente facendo dei passi avanti, quando ho scoperto l’esistenza di un’altro biografo di Levi. Quando questi è arrivato a Torino, io avevo già parlato con la maggior parte degli amici e dei parenti di Levi ancora in vita. E tuttavia, scrivere e fare lavoro di ricerca per un libro con un rivale che ti preme alle spalle non è consigliabile. Qualsiasi cosa avessi scritto, alla fine sarebbe stata giudicata e confrontata con un altro libro; non potevo permettermi di dimenticarmene mai.
Una notte ho sognato che la mia rivale incombeva sopra al mio letto, nella mia stanza. Una volta mi è accaduto che, mentre ero in un tram che procedeva per Via Madama Cristina, lei vi salì. Scesi in fretta. Ma per quanto fosse difficile, ho continuato a raccogliere materiale sulla vita di Levi.
Ci fu una serie di falsi allarmi nella fase finale della pubblicazione del libro, nel 2002. Il mio libro era stato annunciato sul catalogo dell’editore due anni prima che finissi persino di scriverlo e spesso ricevevo informazioni ingannevoli sull’imminente pubblicazione di quello del mio rivale. La mia biografia doveva uscire ad ogni costo contemporaneamente all’altra; se fosse uscita dopo, sarebbe stato fatale. Nella folle corsa per non arrivare secondo, le bozze dovettero essere corrette ad una velocità frenetica, con i pacchi di bozze che venivano lasciati sulla soglia di casa mia da corrieri in motocicletta. La pressione era intensa. Perché il libro fosse più conciso, all’ultimo momento ho tagliato 120.000 parole del dattiloscritto e ho donato il materiale eliminato alla Wiener Library, a Londra, dove è stato archiviato, insieme al resto del materiale su Levi che avevo raccolto, in 18 scatoloni segnati dalla dicitura ‘Levi, Primo’.
Ricordo quando, in tipografia, una donna corse verso di me cullando una copia stampata: ‘È un maschio!”. Ma non provai felicità. In tutti i quotidiani e i settimanali britannici il neonato era confrontato all’altro neonato. All’inizio non riuscivo a guardare le recensioni. Il volo solitario cui avevo aspirato da tempo, quello di essere il biografo di Primo Levi, non si era realizzato. Avevo compassione dei recensori che erano costretti a leggere per dare un giudizio ponderato di ognuno dei due libri. La parzialità di alcuni di loro era evidente, ma per fortuna le due biografie non avrebbero potuto essere più diverse. Anche se avevo incontrato Primo Levi poco prima che morisse, non avevo intenzione di mostrarmi in intimità con lui (e tanto meno, di metterlo sul lettino della psichiatra). E non volevo neanche fare un dramma del mio lavoro di ricerca, o commuovere e creare empatia per il ‘mio Primo’. Non avevo uno scopo preciso, né alcuna tesi accademica da portare avanti. La mia intenzione era scrivere un’opera equilibrata che potesse ispirare fiducia al lettore.
La competizione era feroce, ma nell’estate del 2002, per una intera settimana, la mia biografia di Levi è stata in cima alle classifiche dei bestsellers britannici dopo Statecraft di Margaret Thatcher (anche se forse questa non è una gran raccomandazione). Una volta che le due biografie sono state pubblicate, mi sono trovato intrappolato in una battaglia indegna per ottenere l’attenzione della pubblicità. Nella guerra fra i due libri, solo uno poteva sopravvivere, e il pubblico doveva decidere quale. Nonostante la sua faticosa e dolorosa gestazione, il mio libro è stato continuamente ristampato. In Inghilterra ha avuto delle buone recensioni. In Italia è stato tradotto solo nel 2017, ma dalle poche recensioni che ho letto mi sembra che sia stato accolto bene.

Perché ha pensato di pubblicare una nuova edizione?
I miei editori hanno deciso di fare una nuova ristampa della biografia di Levi per commemorarne il centenario della nascita. Da quando la biografia è apparsa, 17 anni fa, nel 2002, Levi è diventato uno degli scrittori più stimati e letti nel mondo. A Torino c’è ora una Piazza Primo Levi; a Napoli una via Primo Levi scorre parallela al mare. Vi è una nuova generazione di lettori della sua opera, e la ristampa della biografia è soprattutto rivolta a loro.

Vi ha introdotto dei cambiamenti?
Questa edizione per il centenario della nascita di Primo Levi è stata completamente riaggiornata, alcuni errori sono stati eliminati e, laddove è stato possibile, si è fatta menzione del fatto che alcuni parenti e amici di Levi nel frattempo sono venuti a mancare (tra questi, la sua adorata sorella minore, Anna Maria Levi, e il romanziere americano Philip Roth). Il libro ha anche una nuova copertina, un nuovo sottotitolo, The Elements of a Life, ed una nuova prefazione.

A quale progetto sta lavorando?
Sto scrivendo un libro sulla città di Tallinn, in Estonia, che durante la Seconda Guerra Mondiale è stata terreno di guerra tra Hitler e Stalin, mentre i suoi abitanti erano intrappolati nel fuoco incrociato.

 

 

Claudia Rosenzweig
collaboratrice

Insegna Letteratura yiddish antica all’Università di Bar-Ilan.


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