Cultura
Se l’Europa si accartoccia, vince la legge del più forte

Il compito di Josep Borrell, Alto Rappresentante per la politica estera e di difesa dell’Unione Europea

Con l’ok (sofferto) del Parlamento Europeo all’ex ministra tedesca Ursula von der Leyen, si apre ufficialmente il nuovo capitolo della saga europea. Scampato il pericolo dell’assalto sovranista alla diligenza, e con il disastro-Brexit a sconsigliare qualsiasi ulteriore tentazione “sfascista”, i leader del continente si sono applicati al compito tutt’altro che semplice di dare nuovi leader all’ensemble regionale più influente al mondo per il primo scorcio del prossimo decennio. Eppure, è come se nel ricevere la notizia delle nomine decise dai capi di Stato e di governo, l’intera opinione pubblica si fosse totalmente dimenticata di metà della novità.
Già, perché Von der Leyen e Lagarde, le due novelle alfiere franco-tedesche designate a guidare rispettivamente Commissione Europea e Bce, si sono prese tutta la scena. Meritatissima, intendiamoci. Che le leve del potere europeo si muovano innanzitutto dai quartieri generali di queste due istituzioni, in effetti, non v’è dubbio. Così come sulla portata storica della salita alla loro guida di due donne, dopo decenni di potere maschile incapace, all’evidenza, di scaldare “menti e cuori” dei cittadini europei. Ma che fine hanno fatto le altre due nomine, quelle del premier belga Charles Michel alla presidenza del Consiglio Europeo e quella dell’ex ministro degli esteri Josep Borrell come Alto Rappresentante per la politica estera e di difesa?

Josep Borrell
Incredibile ma vero, specie in quest’ultimo caso, la ricezione della novità da parte del sistema politico e mediatico è stato pari praticamente a zero. Nessun placet, nessuna lode, nessun commento, nessuna critica. Niente di niente, se non tra le righe di qualche giornale specialistico. Eppure soltanto cinque anni fa, difficile dimenticarlo, la nomina di Federica Mogherini nello stesso ruolo venne accolta da ben altro dibattito: applausi da (centro)sinistra, brusio e proteste da destra, veri e propri anatemi da chi la considerava troppo appiattita su posizioni filo-arabe. E simili controversie, negli anni precedenti, circondarono la nomina della baronessa britannica Catherine Ashton. Borrell non interessa davvero a nessuno?
Il personaggio, tanto per ricordare di chi stiamo parlando, è tutt’altro che un ultimo arrivato. Già presidente del Parlamento Europeo dal 2004 al 2007, è stato ministro in Spagna a più riprese: dei Lavori pubblici e dei Trasporti nella prima metà degli anni ’90 sotto Felipe González; di nuovo – questa volta agli Esteri – nell’ultimo anno agli ordini del premier Pedro Sánchez. Nel mezzo, ruoli di primo piano nell’accademia e nella società civile europea: presidente dell’Istituto Universitario Europeo di Fiesole, membro del board di think-tank di primo piano come l’istituto Jacques Delors o l’Istituto Europeo per il Mediterraneo. Insomma, un politico di lungo corso che si muove a suo agio nei corridoi delle istituzioni Ue così come tra i nodi della politica internazionale. E con posizioni chiare su molti dossier: fu proprio il governo-González nel 1991 a promuovere e ospitare la Conferenza di Madrid che per la prima volta riunì attorno allo stesso tavolo delegazioni di Israele, Olp e Paesi arabi ponendo le basi del nuovo dialogo che sarebbe sfociato negli Accordi di Oslo. Più di recente, Borrell si è fatto notare per prese di posizione polemiche contro la Russia o, sul fronte interno, contro il movimento per l’indipendenza della Catalogna (di cui è originario). E tra i suoi detrattori c’è chi lo accusa, tra le altre cose, di un’eccessiva simpatia per l’Iran degli ayatollah svelata da un omaggio via Twitter nelle vesti di ministro degli Esteri spagnolo. Eppure, il silenzio.

L’indebolimento dell’Europa
Perché? Forse perché, per quanto costi ammetterlo, nessuno crede più davvero al peso dell’Unione Europea nella politica mondiale. Cinque anni fa, in fondo, qualche speranza c’era ancora. Certo l’Europa era frammentata e alle prese con le scorie della crisi finanziaria, ma nessuno si sarebbe sognato di trascurarne il ruolo sulla scena globale. Oggi, l’Ue è apertamente sotto attacco. Da dentro e da fuori. Trump non ha mai fatto mistero di considerarla un competitor se non un nemico, polverizzando 70 anni di alleanza politico-economica con la leva dei dazi, e Putin – quasi a voler stringere la tenaglia – lavora apertamente per indebolirla e dividerla. Con un certo successo, duole dire. L’Italia dell’era gialloverde non ha più interesse a contribuire al progetto europeo; il Regno Unito si contorce tra i dolori della Brexit, auto-condannato alla solitudine di un’isola senza più impero; i leader dei due Paesi di punta, Francia e Germania, non sono mai stati così deboli; e i governi del centro-est del continente hanno eletto l’Ue come bersaglio ideale della propaganda neo-nazionalista con cui infiammano le rispettive opinioni pubbliche. Come può l’Unione Europea in questo scenario dedicarsi seriamente alla politica estera, cioè a tentare di risolvere i problemi del resto del mondo? I governi di ogni latitudine osservano, e traggono le loro conseguenze.

Politica estera

Sarà solo un caso che il tanto atteso piano-Kushner per dare un nuovo orizzonte al Medio Oriente sia stato finalmente svelato dall’amministrazione Trump, nella sua “prima parte”, proprio nei giorni della transizione – dunque del vuoto de facto – di potere ai vertici Ue? Nel tramonto di ogni pretesa d’influenza europea, la Casa Bianca s’inserisce e fa a pezzi definitivamente quel poco che restava dell’eredità malridotta di Oslo: la prospettiva di uno Stato palestinese accanto a quello israeliano. Nel “progetto” presentato in Bahrein a fine giugno, seppur ancora in forma parziale, lo scenario è semplicemente scomparso, come evaporato. L’agenda è cambiata, il piano pure. E così gli attori-chiave da prendere in considerazione.
Lo stesso Mediterraneo, d’altra parte, con l’Ue tutta intenta a tenere in piedi la propria fragile architettura, diventa ogni giorno di più una “giungla” dove comanda la legge del più forte. Vale per i migranti, naturalmente, che nessuno considera più esseri umani degni di essere salvati – e chi lo fa viene criminalizzato. Ma vale anche per le navi, come testimonia la catena di scontri a distanza tra Teheran e Washington/Londra. Anche sulla partita altrettanto cruciale dell’Iran, in effetti, l’Ue è con le spalle al muro, incapace di rispondere al cambio di rotta dell’amministrazione-Trump che punta apertamente a far crollare il Paese sotto il peso delle sanzioni, sfiorando pericolosamente scenari di guerra. Quanto al Nord Africa, la cui stabilizzazione sola permetterebbe nel breve periodo un contenimento dei drammatici flussi migratori e nel medio forse perfino una nuova fioritura dell’economia mediterranea, il panorama è desolante, con la Libia in perenne stato di guerra e l’Egitto stritolato da un regime poliziesco. Se l’Europa scompare dai radar della politica globale, investendo pur con tutti i limiti sulla forza della diplomazia, del multilateralismo, del diritto internazionale, sulla scena non resta che la legge del più forte: homo homini lupus – con tutte le conseguenze nefaste per chi soccombe. A meno di sorprese dal signor Borrell.

Simone Disegni
Collaboratore

Politologo di formazione, giornalista di professione, si occupa in particolare di politica italiana ed europea. Già impegnato nel lancio del festival Biennale Democrazia a Torino e del think-tank ThinkYoung a Bruxelles, lavora per Reset e Good Morning Italia e collabora con altre testate nazionali.


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