Cultura
Storia di Sherin Khankan, donna imam in Danimarca

Quattro anni con Sherin nel film realizzato dalla regista Marie Skovgaard

Inizia con una donna che telefona perché “incatenata” in un matrimonio fallito dal marito che non le concede il divorzio. Potrebbe essere un film sul problema ebraico delle agunot, appunto incatenate, in ebraico, invece tratta della comunità islamica di Copenhagen.

A rispondere al telefono è una donna, che sta studiando per diventare imam, guida spirituale musulmana, ma che molti già consultano per le questioni più delicate e dolorose. Avere una donna con cui parlare presenta dei vantaggi, soprattutto se unisce a competenza e perizia “normativa” e “culturale” un cuore capace di ascoltare e comprendere, un’anima non giudicante, accogliente, femminile. Sto vedendo The Reformist, film di Marie Skovgaard che segue 4 anni nella vita di Sherin Khankan, prima donna imam in Danimarca, la quale ha deciso che l’unico modo per iniziare (a guidare una comunità, nel suo caso) è iniziare: gli altri seguiranno. Non esistendo una unica autorità centrale e mondiale nell’Islam, ogni comunità deve e può prendere le sue decisioni – basandosi sulla propria comprensione dei testi del Corano e delle varie scuole interpretative tradizionali . Forte della nozione che non è espressamente vietato dalla legge islamica che una donna diventi imam, Sherin ha deciso – nel 2016 – di farlo, aprendo la moschea Mariam (quindi dedicata a una figura femminile, anzi a due: Miriam la profetessa, sorella di Mosè, e Maria madre di Gesù) in un bellissimo appartamento luminoso, nel pieno centro di Copenhagen: la moschea più centrale della capitale danese.

Le preghiere del venerdì sono rivolte solo a una comunità di donne, che possono essere musulmane o anche non musulmane interessate a un’esperienza culturale o spirituale rigorosa ma serena. Nel corso della settimana, però, si presentano alla porta della moschea / appartamento musulmani (molti uomini) di passaggio in città per lavoro o turismo, che cercano su Google la moschea più comoda e vicina e trovano Mariam, senza sapere tutti i dettagli: viene offerta loro una stanza di preghiera separata da quella delle donne, e fin qui tutto in regola, ma – caso più unico che raro – più piccola di quella.

Marie, classe 1983, presenta il suo film a Milano, in un bel pomeriggio di ottobre presso la fondazione Adolfo Pini e dice che raccontare una storia mentre si svolge presenta al tempo stesso il vantaggio e lo svantaggio che non si può sapere come sarà il film, perché la sceneggiatura non è ancora scritta. Il documentario segue quattro anni nella vita di Sherin Khankan e mi confronta con questioni che mi strappano un sorriso, a volte amaro, per quanto sono famigliari. Cominciamo dalla parola “riforma”, che viene temuta e accuratamente rimossa dal lessico, finché alcuni amici e collaboratori di Sherin dichiarano che è il momento di avere il coraggio di pronunciarla: sì, stanno proponendo una “riforma”, ma all’interno della tradizione islamica. La domanda non è se si può, ma solo quando succederà… Da questo pensiero hanno tratto, Sherin e chi la sostiene, la convinzione che non si può aspettare che arrivi qualcuno a darti il permesso: conviene iniziare, aprire la moschea, condurre fra donne la preghiera del venerdì; chi vuole verrà: in fondo è la comunità che”fa” l’imam, mentre chi non vuole avrà comunque molte altre possibilità fra cui scegliere.

Veder svolgersi l’allestimento della moschea, la ricerca della Mecca, verso cui orientare le preghiere, la semplicità con la quale un qualsiasi appartamento può diventare “luogo del sacro”, tutto questo mi ricorda l’ebraismo, mi fa sentire un po’ a casa. Così come le domande del tipo: “Puoi influenzare la comunità e avere un tuo ruolo in tanti modi… Perché proprio imam ti devi far chiamare? Perché usurpare un ruolo maschile? “; E allora Sherin sceglie, decide di iniziare a pregare solo per le donne e fra donne, per insegnare anche ad altre a non vergognarsi di officiare in pubblico, per spronarle ad acquisire competenza e consuetudine con la preghiera; è tenera la donna di origine nordafricana che “fa le prove” per condurre la preghiera in auto, il venerdì, mentre si reca alla moschea… un uomo lo farebbe? Forse no: lo darebbe per scontato, ci è abituato.

All’indomani della prima funzione del venerdì officiata da Sherin per una congregazione di sole donne, molte e felici, ecco gli attacchi di odio su internet. Attacchi che – come sempre – girano attorno alla questione, disprezzano il corpo femminile, feriscono per ferire senza saper entrare nel merito di un problema che – a leggere i testi – non c’è. E allora Sherin viene criticata perché non si copre i capelli, perché è troppo bella e libera, perché è divorziata. I capelli in realtà se li copre, ma solo quando celebra la funzione, che è poi tutto ciò che la legge richiede. Più sai e meno ti possono attaccare, le dice il padre, un sufi di origine siriana, che vorrebbe che la figlia conoscesse meglio la lingua araba per padroneggiare maggiormente i testi, sapersi orientare ancora di più nel Corano. Sapersi infilare nei silenzi della Legge, questa è una delle capacità che si sviluppano con lo studio, dove l’obiettivo è quello di portarsi a casa un’interpretazione della Legge che la salvaguardi dal fanatismo, adattandola in parte all’evoluzione dei tempi, alle nuove domande che il quotidiano presenta, in ogni generazione. A Sherin viene chiesto – per esempio – di celebrare un matrimonio fra una donna musulmana e un uomo non musulmano, pratica tradizionalmente inconsueta (laddove l’opposto è invece prassi accettata), ma non proibita. Dopo lunghe riflessioni e incertezze l’imam accetta, la voce si sparge ed ecco che – nel giro di poco – sono molte le coppie “miste” a chiederle di officiare le loro nozze. Le spaccature anche all’interno del gruppo che inizialmente sosteneva Sherin non tardano ad arrivare, la comunicazione è un problema costante, che cosa si racconta ai media e che cosa si tace? Abbandonata dalla maggioranza dei suoi iniziali amici, sostenitori e collaboratori, Sherin prende una pausa di riflessione e poi decide di ricominciare da capo con altri, nuovi compagni di strada: saper scegliere per chi e per che cosa lottare, quando, con chi e come; questo – secondo l’imam Khankan – chi legge il Corano con il cuore lo sa.

Miriam Camerini
collaboratrice
È nata a Gerusalemme la sera della festa ebraica di Purim (quando ci si maschera, ubriaca e fa del teatro) del 1983.

Regista teatrale, autrice, attrice, cantante e studiosa di ebraismo, si dedica all’allestimento di spettacoli teatrali e
musicali, festival e rassegne attorno e all’interno della cultura ebraica in Italia e nel mondo. Tra i suoi spettacoli: Il Processo
di Shamgorod, Golem, Un grembo due nazioni molte anime, Il Mare in valigia, Caffè Odessa, Chouchani, Messia e Rivoluzione, Miriàm e le altre.  Il suo ultimo libro Ricette e Precetti (Giuntina, 2019), illustrato da Jean Blanchaert, con prefazione di Paolo Rumiz e ricette di labna.it, racconta il rapporto intricato fra cibo e norme religiose ebraiche, cristiane e islamiche. Sta studiando per diventare rabbino alla scuola Har’El di Gerusalemme, una delle prime accademie rabbiniche ortodosse aperte anche alle donne.

 


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