Hebraica
“Non vi farete nel corpo alcun tatuaggio” – Storia e falsi miti di un divieto

La tattoo mania non ha risparmiato le comunità ebraiche di tutto il mondo, anche se contro questa pratica esiste un divieto, esplicitamente espresso nella Torah

Basta fare una passeggiata in spiaggia d’estate per accorgersi che i corpi dipinti con scritte, tribali o immagini di vario tipo continuano ad aumentare. Sono sempre di più le persone che ricorrono ai tatuaggi per motivi estetici, medici o per esprimere la propria identità. Dalla fine degli anni 90 il tatuaggio è diventato una moda in Italia e, da un’indagine condotta dall’Istituto Superiore di Sanità, è emerso che già nel 2018 il 12,8% della popolazione italiana aveva almeno un tatuaggio. Questa moda non ha risparmiato le comunità ebraiche di tutto il mondo, anche se contro questa pratica esiste un divieto, esplicitamente espresso nella Torah (Levitico 19:28):E non vi farete nel corpo alcuna incisione per un morto; né farete in voi scrittura intagliata. Sono io, il Signore”. Inoltre, sottolinea Susanna Nirenstein in un articolo dal titolo Si rompe il tabù gli ebrei scoprono la moda dei tatuaggi, “se non bastasse il precetto che così vieta di “deturpare” l’essere creato da Dio, c’è la Shoah, con i suoi numeri marchiati a fuoco sulle braccia dei deportati, ad aver fatto delle scritte indelebili sulla pelle un tabù totale per l’ebraismo”. Eppure i numeri degli ebrei tatuati aumentano, ed esiste perfino un catalogo online di bodyart a tema ebraico, hebrew-tattoos.com. Il suo fondatore Gabriel Wolff, dichiara di aver creato tatuaggi per migliaia di ebrei in tutto il mondo, affermando che per molti tatuarsi è proprio un modo per esprimere visivamente la loro appartenenza al mondo ebraico.

Da dove viene il divieto?

La moda dei tatuaggi si diffonde ma i rabbini continuano a storcere il naso e ripetono che i segni permanenti sulla pelle umana sono incompatibili con il pensiero ebraico. Le ragioni principali di questo divieto sono tre e sono ben descritte da Rabbi Baruch S. Davidson su Chabad.org:
1) Il corpo umano è una creazione di Dio, è un recipiente sacro voluto dal Signore. Perciò nessuno dovrebbe modificarne la forma, se non per motivi di salute. Cambiare il proprio corpo equivale a modificare una creazione divina.
2) Nell’antichità le popolazioni idolatre marchiavano il proprio corpo per dimostrare la loro devozione agli dei pagani, il popolo ebraico deve astenersi da questa pratica per distinguersi.
3) Il patto tra Dio e l’uomo si riflette nella circoncisione, ed è questo l’unico esempio di alterazione del corpo umano concesso. Qualsiasi altra modifica al corpo sminuirebbe questo segno e il suo significato.

Esistono delle correnti rabbiniche più permissive?

Il famoso detto “Due ebrei, tre opinioni” in questo caso non trova terreno fertile. Tutte le correnti dell’ebraismo accettano senza obbiettare il divieto contro i tatuaggi. Tuttavia, come sempre, le voci fuori dal coro non mancano e vengono principalmente dal mondo reform: Rabbi Marshal Klaven, ad esempio, è convinto che alcuni tatuaggi non siano proibiti nel caso in cui affermino e sottolineino la propria ebraicità e la propria relazione con Dio.

Nili S. Fox, professoressa all’Hebrew Union College di Cincinnati, è della stessa opinione. In un’intervista, l’autrice ha fatto notare che in molti passi del Tanach si fa riferimento alla pratica dei tatuaggi per segnalare un legame tra il popolo ebraico e Dio: nella parashà di Bereshit (Genesi 4:15) si legge che “il Signore diede a Caino un segno, che nessuno ch’il trovasse l’ammazzerebbe”, un indizio permanente e visibile per segnalare che Caino era protetto dal Signore. Nel libro di Ezechiele (9:4), mentre il popolo ebraico si prepara all’imminente distruzione di Gerusalemme, il profeta annuncia che gli uomini ebrei con una X dipinta sul viso saranno gli unici a essere risparmiati e a salvarsi, ed ecco che di nuovo una forma di tatuaggio diventa garanzia della protezione divina. È senz’altro possibile che questi riferimenti biblici ai tatuaggi abbiano soltanto una funzione letteraria o simbolica, ma occorre comunque notare che esistono nella Torah episodi in cui i segni visibili sulla pelle hanno una valenza positiva e una funzione fondamentale, che è quella di distinguere il popolo ebraico dagli altri e di garantire la salvezza ai protetti del Signore.

Gli ebrei tatuati possono partecipare alla vita religiosa della loro comunità?

Sono molte le voci di corridoio e le affermazioni sui corpi ebraici tatuati che non trovano fondamento nelle regole halachiche. Si sente spesso dire, per esempio, che il tatuaggio comporta parziali esclusioni dell’ebreo dalla vita religiosa comunitaria, ma non è vero. Un altro falso mito riguarda la sepoltura degli ebrei con tatuaggi. Da un articolo che appare su My Jewish Learning emerge che esiste una convinzione tanto diffusa quanto infondata: si pensa che i corpi degli ebrei tatuati non possano essere accolti in un cimitero ebraico, ma non esiste alcun accenno a questo precetto nell’Halachà. Al contrario, “non c’è alcuna differenza tra questa trasgressione e qualsiasi altra violazione di una regola biblica” afferma Rabbi Mark Dratch, il vice presidente del Consiglio dei Rabbini Ortodossi d’America. La violazione delle regole della Kasherut o dello Shabbat non meriterebbe questo trattamento, e non c’è alcun motivo per cui il divieto contro i tatuaggi debba essere considerato più stringente. Le persone ebree tatuate continuano a essere accettate e possono svolgere tutte le funzioni e le pratiche religiose che desiderano. Il loro unico svantaggio è che la loro trasgressione è permanente ed è ben visibile sul loro corpo.

Oggi il divieto di marcare il proprio corpo deve continuare a essere mantenuto. Forse si rivela ancora più importante perché gli ebrei sono inseriti in una società laica che ogni giorno mette alla prova un importante concetto ebraico: l’essere umano è stato creato b’tzelem Elokim (“a immagine e somiglianza di Dio”), il corpo è un dono della Divinità e qualsiasi sua alterazione volontaria, anche se fatta per mettere in risalto il proprio attaccamento ai principi ebraici, finisce per negarne uno.

Alessandra Sabatello
collaboratrice
Alessandra Sabatello ha 28 anni e vive a Roma. Ha una laurea in lettere e una passione per tutto ciò che è organizzabile e pianificabile (eventi, viaggi, progetti..). Per quattro anni ha lavorato nel mondo delle fiere librarie ed è una dei tre inquilini della Moishe House di Roma.

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