Cultura Cinema
5 film per ricordare Ronit Elkabetz

Omaggio all’attrice e regista israeliana che oggi avrebbe festeggiato il suo 55° compleanno

Oggi Ronit Elkabetz avrebbe compiuto 55 anni. Ma all’attrice, regista e sceneggiatrice israeliana abbiamo dovuto dire addio nel 2016. Controvoglia e con rabbia. Avremmo voluto ancora un altro film, e poi un altro e un altro ancora. Vincitrice nel corso della sua carriera di ben tre premi Ophir (l’equivalente dell’Oscar in Israele), Ronit Elkabetz, nata a Beersheva da una famiglia di origini marocchine, ha portato sullo schermo la voce delle donne mizrachi, la loro forza e la loro bellezza, contro ogni preconcetto o rappresentazione stereotipata. Il New York Times la definì una volta la “Meryl Streep israeliana”, altri dissero che ricordava un’eroina di Almodovar. Shimon Peres le rese omaggio chiamandola “Una straordinaria ambasciatrice culturale per lo Stato d’Israele, che ha sempre rappresentato con grande fierezza, bellezza e creatività”. Ecco cinque film per ricordarla.

Matrimonio tardivo

Diretto dal regista israelo-georgiano Dover Kosashvili, Matrimonio tardivo apre una finestra sul mondo della comunità georgiana in Israele e sulla tradizione persistente, in barba a ogni modernità, dei matrimoni combinati. Ronit Elkabetz, qui nel ruolo di Judith, è la ragione (segreta) per cui Zaza, il protagonista, rifiuta tutti i partiti che la madre gli procura con solerzia. I due si amano appassionatamente, ma dalla prospettiva della famiglia di lui è un matrimonio che non s’ha da fare. Judith è più grande di lui di tre anni, divorziata con una figlia, marocchina. Nulla di più lontano dall’idea di sposa perfetta che una brava mamma georgiana sogna per il suo amato figlio. E arriverà il momento in cui Zaza dovrà scegliere. Curiosità: il film ha ricevuto gli applausi dalla critica, tra le altre cose, per una lunga scena di sesso che è stata definita “tra le più belle e spontanee della storia del cinema”.

La Banda

La Banda è un gioiello, una fiaba che si svolge in un regno incantato dove il tempo e lo spazio seguono proprie regole. Ma niente castelli e foreste; e nemmeno deserti o grotte di tesori, per restare sul mediorientale. Solo terra brulla e bruciata, poche case, ancora meno alberi e tanta noia. “Qui non c’è nessun centro culturale arabo. No cultura israeliana, no cultura araba, nessuna cultura. Niente di niente”: così gli smarriti componenti di una banda musicale egiziana vengono accolti da Ronit Elkabetz nel ruolo di Dina, la “regina” (ovvero, la proprietaria dell’unico locale aperto) di un paesino immaginario del sud d’Israele. Bet HaTikvah, La casa della speranza. Gli egiziani, non avendo altro posto dove andare, accettano l’ospitalità di Dina. Una notte lunga una vita, dove c’è chi impara a superare la timidezza, chi rievoca le canzoni di Umm Kulthum e chi finalmente, dopo mesi di attesa, riceve dall’unica, sgangherata cabina telefonica del paesino, la telefonata della persona amata. Il film di Eran Kolirin, vincitore di otto premi Ophir, fu purtroppo escluso dalla nomination agli Oscar come miglior film straniero perché conteneva oltre il 50% dei dialoghi in inglese.

E prenderai moglie

Ronit Elkabetz, oltre a interpretare il ruolo di protagonista, qui debutta come regista insieme al fratello Shlomi. E prenderai moglie è il primo film di una trilogia dedicata al personaggio di Viviane Amsalem. Qui la troviamo prigioniera di un matrimonio in crisi, del quale non riesce a liberarsi per le pressioni della famiglia e della comunità. E inoltre, per quel rimasuglio di fiducia che le cose forse prima o poi andranno meglio. In mezzo ci sono i concetti di osservanza e religiosità, di autenticità e di facciata, c’è la storia di una coppia che non riesce a dirsi o anche solo a concepire che è più sano separarsi.

Shiva

Forse più noto con il suo nome inglese, Seven Days, Shiva è il secondo film della trilogia. Una specie di Carnage in salsa ebraica, nel senso che anche qui abbiamo il luogo chiuso che esaspera e logora le relazioni. E siccome le cose fatte in salsa ebraica si fanno in grande, invece del pomeriggio del film di Polanski qui abbiamo a disposizione tutta una settimana, e invece di quattro adulti americani abbiamo un’intera famiglia marocchina. Tra discussioni e rimproveri su cosa sia permesso o meno durante il periodo di lutto, escandescenze e non detti invecchiati male che esplodono all’improvviso. In sottofondo, la Guerra del Golfo.

Gett

Gett o Il processo di Viviane Amsalem conclude la trilogia cercando di affrancare la protagonista dal matrimonio che la rende infelice. Ma non è così semplice. Prima c’è l’ennesimo tentativo fallito di mediazione familiare e riconciliazione. E quando si capisce che il divorzio è l’unica strada percorribile, ecco che il marito di Viviane, Elisha, non le concede il gett. Il suo rifiuto lo pone al di sopra dei giudici e dei rabbini, che non possono nulla. Viviane, nella sua condizione di agunah, continua a lottare, consapevole che ciò che l’ex marito più di tutto non vuole è la sua felicità. E soprattutto, non acconsentirà senza mettere in gioco qualche ricatto. Gett è l’ultimo grande film girato e interpretato da Ronit Elkabetz, prima della sua morte per un cancro ai polmoni, appena due anni dopo.

 

Silvia Gambino
Responsabile Comunicazione

Laureata a Milano in Lingue e Culture per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale, ha studiato Peace & Conflict Studies presso l’International School dell’Università di Haifa, dove ha vissuto per un paio d’anni ed è stata attiva in diverse realtà locali di volontariato sui temi della mediazione, dell’educazione e dello sviluppo. Appassionata di natura, libri, musica, cucina.


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