Mondo
Cile, una storia di impegno sociale e di dialogo

Dialogo con Gerardo Gorodischer, presidente della comunità ebraica cilena

“In ogni paesino cileno troverai tre cose: un poliziotto, un pastore, e un palestinese”. Questo è l’incipit di un articolo di Bahira Amin del 2019 sulla comunità palestinese in Cile. Con 500.000 membri, è la più grande fuori dal Medioriente.
Migliaia di palestinesi scelsero di imbarcarsi in navi cargo da Jaffa alla rotta delle coste francesi, per poi navigare verso l’Argentina o il Brasile, e infine attraversare in un modo o nell’altro la Pampa o le Ande in cerca di una nuova cittadinanza. Le origini dei ‘cilestinesi’ sono da rintracciare in prima istanza in varie ondate migratorie dai territori a maggioranza cristiana, come Betlemme, nel XIX secolo. Molti arrivarono poi nel 1860 con la guerra civile tra cristiani e druzi. In seguito, dal ’48, altri scapparono dai conflitti tra autorità israeliane e palestinesi. Nell’82, una nuova ondata data dal massacro di Sabra e Shatila.
Camminando virtualmente su Google Street View per le strade del Barrio Patronato di Santiago si intravedono ristoranti e negozi con la bandiera palestinese. Le bandiere sventolano fiere anche allo stadio di Santiago, a supporto della squadra di calcio ‘Palestino’.
Nel Barrio Alto, invece, si trova la maggior parte dei membri della comunità ebraica cilena.
Come convivono le due comunità?
“Perlopiù senza eventi. Non ci sono conflitti e le vite delle due comunità procedono parallelamente”, spiega Gerardo Gorodischer, presidente della comunità ebraica del Cile. Aggiunge: “la comunità palestinese in Cile si divide in sezioni più vicine ad Hamas e all’estremismo politico – con loro abbiamo avuto delle tensioni; e sezioni più vicine alle ideologie dell’ANP, con cui un dialogo è possibile e benvenuto”.

La comunità ebraica del Cile è di circa 18mila membri, la terza in classifica in termini di numeri nel Sud America. La storia della comunità ha probabilmente inizio nel XVII secolo, con l’approdo in Cile di alcuni conquistadores spagnoli: Diego Garcia de Caceres fu accusato di essere un converso in un opuscolo nominato “La Ovandina” nel 1621. L’inquisizione, con una base a Lima fondata nel 1570, prese carico della questione. L’inchiesta raggiunse il culmine nel 1639 con il rogo di oltre 10 persone accusate di professare l’ebraismo in segreto. La persecuzione dei conversos ebbe fine solo con l’indipendenza dalla Spagna ottenuta nel 1818.
“Devo ammettere che tra il XVII secolo e il XIX secolo non abbiamo molte informazioni sugli ebrei in Cile. Nel 1855 alcuni gruppi di tedeschi arrivarono a Valpairso per lavorare nell’industria dello zucchero, altri si stabilirono a Vina del Mar. Fino al 1865, religioni fuori dal Cristianesimo furono proibite dalla costituzione cilena [ndr paragrafo 5 della costituzione del 1833]. Il primo shabat comunitario fu solo nel 1907”, spiega il presidente.
Il diritto alla libertà di culto fu esteso con la costituzione cilena del 1925.
Tra il XIX e il XX secolo diversi ebrei arrivarono in Cile dall’est Europa per stabilirsi a Temuco, Santiago, o Valparaiso. Molti di loro erano ashkenaziti, con l’eccezione degli ebrei sefarditi provenienti da Monastir, Macedonia, o degli ebrei di Tessalonica. Arrivarono via costa e si stabilirono soprattutto in città costiere. Il nonno stesso del presidente Gorodischer nacque a Temuco, Cile, nel 1916 da padre macedone, con origini a Monastir. La comunità macedone ebraica del Cile fu la base per le successive influenze sefardite sui riti della comunità. “Negli anni ’20 insieme agli ebrei arrivarono anche arabi cristiani e le due comunità convivevano pacificamente, lavorando insieme nell’industria tessile. Dagli anni ’80 con una predominanza nelle comunità arabe dei palestinesi con ideologia antisionista i legami iniziarono a incrinarsi”.

Negli anni della II guerra mondiale, circa 10’000 ebrei arrivarono in Cile, contribuendo a formare la comunità come la vediamo oggigiorno: 30 istituzioni ebraiche, 3 scuole ebraiche, e oltre 10 sinagoghe sono il vanto delle comunità cilene. È una delle poche comunità con numeri in crescita negli ultimi 20 anni.
Quale tra queste 30 istituzioni è degna di una nota speciale? “Il lavoro per il sociale che le istituzioni ebraiche hanno svolto in Cile è notevole. Un esempio che forse non si può trovare altrove in altre comunità è dato dai vigili del fuoco: “La Bomba Israel” spegne le fiamme con una stella ebraica sui furgoni. I vigili operano a tema ebraico, sebbene non tutti i vigili siano ebrei”. “Anche le nostre scuole fanno un lavoro incredibile, il museo ebraico tiene in vita la memoria delle comunità con una ricca biblioteca audiovisiva con testimonianze della Shoah. Dei programmi speciali consegnano ogni venerdì le challot a ebrei e non ebrei”, spiega un imbarazzato Gerardo, che non può scegliere una sola istituzione – “è impossibile, sono tutte eccellenti”.
Tubishvat da poco concluso è stato l’occasione di promuovere il dialogo inter-religioso: diversi quartieri di Santiago hanno piantato nuovi alberi, specialmente in tre quartieri vulnerabili, davanti alla presenza del sindaco e altre figure istituzionali. In ogni evento pubblico, la comunità include e invita le religioni del territorio. Spesso, questi eventi si concludono con una cerimonia chiamata ‘preghiere per il Cile’, nel quale le diverse religioni si uniscono per sperare collettivamente in un futuro migliore.

Micol Sonnino
collaboratrice

Micol-con-la-emme Sonnino, da pronunciare tutto d’un fiato, nasce a Roma nel 1997. Studia tutto ciò che riguarda l’Asia dell’Est all’Università di Bologna e vive tra Italia, Austria e Giappone per una magistrale in sviluppo sostenibile, con focus su sviluppo urbano e rurale. Le piace cucinare con la nonna e mangiare carciofi di stagione.


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