Un lavoro musicale dedicato all’antica comunità ebraica di Bitola e all’incontro tra diverse culture
La comunità ebraica dell’antica Monastir, oggi Bitola, non esiste più dalla seconda guerra mondiale. A farne rivivere la memoria ci pensa però una musicista statunitense di origini spagnole, Sarah Aroeste, con un album uscito in questi giorni che ne prende il vecchio nome. Impegnata da anni nel riportare alla luce la tradizione musicale sefardita, l’artista discende dagli abitanti dell’ex citta ottomana, che all’inizio del XX secolo contava ancora ben 11mila ebrei, il più alto numero di tutta la Macedonia.
Come racconta Alma, la cantante, che già da tempo scrive e interpreta i suoi brani nella lingua parlata dai suoi antenati ebrei spagnoli, nel 2017 aveva già ricevuto a sorpresa l’invito da non ebrei nella Macedonia del Nord per eseguire le sue canzoni originali in ladino a Bitola. Una città altamente significativa per lei, luogo di nascita del nonno e di una cugina di 104 anni, Rachel Kornberg, sopravvissuta all’Olocausto grazie all’intervento di musulmani albanesi.
Anche se non ebrei, i macedoni del Nord che ospitavano Sarah in quella prima occasione erano entusiasti di poter celebrare il tessuto multiculturale e interreligioso della loro eredità condividendola con una delle figlie della comunità spazzata via dall’orrore nazista. «Appena arrivata sono stata subito accolta con mazzi di fiori. Mi hanno trascinato via. La stampa era ovunque, macchine fotografiche, giornali. Ed era la prima volta che mettevo piede a Bitola», racconta la musicista ad Alma parlando della sua esperienza nell’antica terra dei suoi antenati.
È da qui che nasce l’idea di dedicare un intero lavoro alla cultura ebraica di Monastir. Nel disco, Aroeste affianca la sua voce a quella centenaria della cugina Rachel, che introduce la vivace canzone Estreja Mara spiegando alla figlia neonata di Sarah lo schema delle rime in ladino di un gioco di dita sefardita. Poi, parte il coro di bambini di un asilo di Bitola che canta un inno dedicato a una combattente ebra della resistenza di 21 anni, l’Estreja Mara del titolo, morta in battaglia mentre si opponeva all’esercito bulgaro nel 1944.
Al pari dei primi album di Aroeste, Monastir si concentra sull’importanza della giovinezza nel rivitalizzare la cultura. Presenta scorci di vita rubati a un tempo in cui le vite di giovani donne ebree si mescolavano a quelle degli uomini slavi. Un altro brano contenuto nel nuovo album, Edno Vreme Si Bev Ergen, vede ad esempio la partecipazione del crooner macedone Sefedin Barjamov, che accompagna Aroeste nell’adattare una melodia, tutta al maschile, tratta da una registrazione del 1978 del Biljana Ohrid Ensemble. Il fatto che i cantanti macedoni non abbiano mai smesso di ricordare i quartieri ebraici di Bitola è una testimonianza, nelle canzoni, dell’affetto e persino dell’amore che i macedoni del Nord di ogni estrazione hanno per la memoria delle loro comunità locali distrutte.
Lo stesso pezzo di apertura dell’album, Oy Qui Muevi Mezis, introdotto dal suono di uno shofar, è una “kantikas de parida”, cioè una canzone di nascita in ladino. Inno di speranza per la rivitalizzazione della comunità ebraica di Monastir, si unisce ad altre 10 canzoni in cui Aroeste si esibisce per la prima volta in macedone. Come ricorda l’articolo di Alma, Sarah ha studiato la pronuncia del dialetto ladino di Monastir come parte della ricerca per quella che è diventata la sua produzione più importante fino a oggi.
L’artista si è qui aperta a nuovi arrangiamenti di testi e a composizioni tradizionali e originali, fondendo tradizioni sefardite, balcaniche e spagnole, rappresentate in particolare dal flamenco. «Quando sono tornata in Macedonia del Nord, è stato per esibirmi in un festival culturale sostenuto dal comune di Bitola e dal ministero degli Esteri israeliano. Era un’occasione istituzionale. Per prepararmi, un mio amico mi aveva suggerito di eseguire una canzone macedone», ricorda Aroeste nella stessa intervista. «Edno Vreme Si Bev Ergen mi ha colpito perché parla di un uomo slavo che vaga nei quartieri ebraici di Bitola. Per me è divertente, ma mostra anche l’interazione di culture che esistevano prima della seconda guerra mondiale».
Nel comporre il suo lavoro, l’autrice e cantante ha consultato un’ampia gamma di fonti accademiche. Una delle sue principali ispirazioni è stata l’Autorità Nazionale del Ladino in Israele e il lavoro sul campo di Max A. Luria, che nel 1927 ha attinto da un testo del 1527 di Barcellona intitolato Flor de enamorados e conservato oralmente a Monastir per secoli fino a quando la sua musica, insieme alla sua comunità ebraica, è scomparsa.
Questo non ha impedito a Aroeste di prenderne ispirazione per comporre le musiche originali di Espinelo. Con la partecipazione del cantante di flamenco israeliano Yehuda “Shuki” Shveiky, il brano è una metafora del debito degli ebrei sefarditi nei confronti dell’ospitalità turca quando, durante l’Inquisizione del 1492, il sultano li accolse per stabilirsi nelle città ottomane di Smirne, Istanbul e Salonicco. Il coro esalta il calore della Sublime Porta: «Le signore vegliano su di lui. Le signore più eleganti della Turchia». Rifacendosi a una superstizione ebraica balcanica in cui si pensava che le donne che avevano partorito gemelli avessero dormito con due uomini, il testo parla di un gemello sfortunato che, dopo essere stato gettato in mare, viene salvato da un pescatore e adottato da un re. Secondo l’interpretazione storica, quel sovrano empatico sarebbe stato il sultano Bayezid II, che accolse gli ebrei spagnoli nel loro esilio nel Mediterraneo orientale. Anche qui, Sarah inserisce elementi della sua biografia: «In una teca conservo il fez che indossava mio nonno. Diceva sempre di essere un turco della Grecia nato a Monastir che parlava espanyol, ossia ladino. Allora come ora, la cosa mi confondeva un po’», confessa ridendo Sarah, che però è riuscita ugualmente a esprimere i mix di tradizioni e culture inserendo in Espinelo un qanun (strumento a corde della tradizione classica turca). «Volevamo introdurre un elemento ottomano per esemplificare il passaggio dal grintoso flamenco spagnolo alla salvezza in Turchia», spiega.
L’obiettivo principale del lavoro della Aroeste rimane comunque quello di rendere il ladino e la sua cultura accessibili a un numero sempre più alto di persone. E pur ammettendo che gli etnomusicologi stiano facendo un lavoro incredibile, registrando musica risalente a un secolo fa, l’artista trova sia utile anche andare oltre il repertorio tradizionale: «Credo fermamente che per far funzionare il ladino, per esporlo a più persone, dobbiamo creare nuovo materiale. Ci sono molti modi in cui possiamo farlo. La musica di Monastir non era mai stata raccolta in un’unica fonte. C’è ancora un tesoro nascosto da portare alla luce».
Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.