Cultura
“Ariel e Azra”, un incontro tra mondi diversi

Una storia vera di libertà e condivisione. Il libro di Diego Venturi

La storia di Ariel e Azra è una favola d’amore. Narra le vicende di un ragazzo ebreo e di una ragazza rom, dei loro rispettivi mondi, di un’avventura vissuta insieme e dei loro sentimenti, grandi, forse più grandi di loro, in una città estranea per entrambi. La storia di Ariel e Azra è la vera storia dei due protagonisti, che si incontrano a Roma, sul finire degli anni 80. Lei vive nel campo rom di Tor Vergata, dopo essere stata costretta, a causa della morte dei genitori, a lasciare la sua casa a Skopje e partire con gli zii. Lui è da poco arrivato nella capitale italiana da Tel Aviv con la famiglia. Entrambi si sentono alieni in una città in cui non hanno legami e consuetudini e il loro incontro, casuale e illuminante come un fulmine, crea un mondo su misura in cui entrambi trovano la felicità. Ma questa storia è anche la vera storia dell’autore del libro  Ariel e Azra, vincitore del premio opera prima del concorso Amico Rom, Diego Venturi. Che scrive innanzitutto per i suoi figli, perché possano leggere, appena saranno un po’ più grandi, quell’avventura.

“Vi parlerò di ebrei e di zingari e del loro splendido mondo”, scrive nell’introduzione dedicata a loro, “Due cose che ancora oggi possono risultare una complicazione nella vita. Si possono ricevere insulti, ingiurie, provocazioni e anche umiliazioni.
Si può essere definiti “diversi” in modo dispregiativo. “Diverso” è colui che si presenta con una identità, una natura nettamente distinta rispetto ad altre persone che, in qualche modo, hanno dettato, in un certo luogo e in un certo tempo, un canone di “normalità”. E invece, sapete?, essere “diversi” è un patrimonio, una ricchezza”.

Così ha inizio il viaggio dentro il dolore di Azra, ancora segnata dalla perdita dei genitori e costretta in una vita che non le piace, fino al giorno in cui scappa. E lo fa con Ariel, pronto ad accoglierla e a proteggerla, ad accompagnarla fino a Les Saintes Maries de la Mer, in Francia, dove sperano di trovare la nonna di lei. Ogni anno in quel posto c’è un ritrovo di tutti gli zingari per la processione di Santa Sara e lei è sicura che la nonna parteciperà. Non hanno i documenti, riescono con una botta di fortuna a superare il confine e vengono accolti da una famiglia rom della Romania, ma prima fuggono a un’aggressione da parte di un gruppo di naziskin francesi. Viaggiavano in incognita fino a poco prima, vestiti come tutti i ragazzi della loro età. Poi, nella speranza di farsi riconoscere da una delle rispettive comunità e ricevere aiuto, indossano dei segni di riconoscimento inequivocabili: abiti sgargianti, da zingara, lei, la kippah, lui. E in un attimo si ritrovano a correre a perdifiato per le via di Marsiglia cercando di evitare la furia xenofoba di un gruppo di tifosi inferociti.

L’identità. Grazie all’abbigliamento di lei però trovano subito dopo accoglienza nella casa mobile della famiglia rom rumena con cui raggiungeranno il luogo della manifestazione. E grazie ai loro reciproci riconoscimenti ognuno dei due, prima ancora di conoscersi, è stato attratto dall’altro: lei nota quello strano copricapo e lui è quei vestiti pieni di riflessi e colori. E sono le reciproche tradizioni, diverse, a tenerli uniti, a incuriosirli, a concedere a ognuno di essere veramente ciò che è. Lo dichiara apertamente Ariel in una considerazione personale dopo aver raccontato il significato di Pesach alla sua amata, lo dice silenziosamente lei, abbandonandosi a un canto meraviglioso, sulle cui note poi si addormenta tra le braccia di lui. Ariel e Azra incrociano le loro identità, le loro storie, le loro tradizioni fino a sperimentare per la prima volta cosa significhi veramente la parola condivisione.

Raggiungono la località della Camargue e riescono incredibilmente anche a trovare la nonna. Sarà lei poi a parlare a tu per tu con quel ragazzo così innamorato della sua bella nipote: «E noi zingari, Ariel, abbiamo un solo “credo”: la libertà. In cambio di questa rinunciamo alla ricchezza, al potere, alle comodità e alla gloria. Viviamo ogni giorno come se fosse l’ultimo. Quando si muore, lasciamo tutto, una povera roulotte come se fosse il nostro impero. Non abbiamo timore della morte. Godiamo ogni singolo giorno di tutte le piccole cose che la vita ci offre e che gli altri uomini spesso non sanno apprezzare. Una bella giornata di sole, un bagno nel mare, lo sguardo di chi ci ama fanno la nostra felicità. Noi siamo nati zingari. Ci piace camminare sotto le stelle. Si dicono strane storie su di noi: che leggiamo il futuro nelle carte o nei fondi di caffè e che facciamo filtri d’amore. La gente non crede alle cose che non sa spiegarsi, noi invece non cerchiamo di spiegarci le cose in cui crediamo. Viviamo una vita semplice. Ci basta avere per tetto il cielo, lo vedi anche tu, un fuoco per riscaldarci e cantare quando siamo tristi. Azra è una di noi. Ricordati queste parole in futuro».

La storia poi prosegue rintracciando punti di contatto tra i due popoli e la musica che spesso li ha uniti, fino al rientro a casa e un’inattesa riconciliazione familiare. Non si sa (almeno per ora) cosa la vita riserverà loro dopo questa avventura, forse lo diranno gli altri due volumi della trilogia. Intanto, questo è un piccolo libro delicato e commovente che invita alla tolleranza e al rispetto dell’altro, attraverso l’ascolto, l’amore e la curiosità.

Diego Venturi, Ariel e Azra, 11,40 euro

Micol De Pas

È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.


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