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Berlino ebraica – prima parte

Itinerario nella storia della città tedesca

Si dice che passeggiare per le vie di Berlino sia come sfogliare un libro di storia. Di questa storia, quella ebraica non occupa certo un solo capitolo, né tanto meno un unico quartiere. Ripercorrere le vicende degli ebrei nella capitale tedesca significa allargare lo sguardo a tutto il territorio urbano, dal centro alla periferia. Ovunque si trova memoria di un popolo i cui rappresentanti giunsero qui la prima volta nel 1295, a meno di sessant’anni dalla sua fondazione, e che qui tra espulsioni, ritorni, persecuzioni ed emancipazione sarebbero riusciti a formare una comunità che nel 1933 contava qualcosa come 170mila persone.

La memoria di quanto accadde dall’ascesa di Adolf Hitler in poi è oggi parte integrante del territorio cittadino. La scelta di non cancellare quel capitolo ascrivendolo a un orrido errore del passato da dimenticare ma presentandolo invece allo sguardo e alla conoscenza di tutti come un eterno mea culpa, ha fatto sì che visitare Berlino significhi anche ricordare la tragedia nazista. Approfondendo la conoscenza delle sue vittime così come degli strumenti e delle azioni dei suoi responsabili. Una precisa politica governativa ha recuperato e preservato in massimo grado quanto sopravvissuto alla seconda guerra mondiale, restaurando quanto possibile degli antichi quartieri, facendo rivivere sinagoghe e scuole oltre a punteggiare la città di memoriali. Nonostante i numeri siano imparagonabili a quelli precedenti la guerra, oggi i circa 11mila ebrei che vivono a Berlino ne fanno la principale comunità ebraica in Germania rendendo la città un luogo estremamente accogliente anche per il turista che desideri approfondirne la conoscenza.

La visita a sinagoghe, musei e mostre legate alla storia ebraica così come la partecipazione a eventi musicali o teatrali legati alla cultura ebraica potrebbero da soli impegnare le giornate del viaggiatore. Se è quasi impossibile disgiungere il presente dal passato, e quindi limitare l’approfondimento storico dall’immersione nel quotidiano, per non perdersi in questa complessa città è comunque necessario porsi dei limiti. Procedendo per zone, si partirà inevitabilmente dal Mitte, ricercandone i luoghi ebraici meno conosciuti senza tralasciare quelli che sono tutt’uno con il paesaggio cittadino.

Sconvolgente nella sua freddezza apparentemente asettica, l’Holocaust Mahnmal è uno di questi. A breve distanza dalla Porta di Brandeburgo, in faccia alla sterminata area verde del parco del Tiergarten, si estende il più importante monumento voluto dalla Germania per commemorare il genocidio nazista. In un’area leggermente infossata ampia quanto un campo di calcio, l’architetto newyorkese Peter Eisenmann ha collocato 2710 stele in cemento di larghezza e larghezza uguali ma di altezze diverse, variabili da 0,2 a 4,7 metri. Perdersi tra questi austeri blocchi simili a pietre tombali disposti secondo un ordine geometrico ortogonale e apparentemente uniforme è un’esperienza a dir poco terrificante. E il senso di claustrofobia è forse l’emozione meno violenta. Frutto di quasi un ventennio di discussioni in sede governativa, iniziate dalla proposta fatta nell’agosto 1988 dalla giornalista Lea Rosh di erigere un “memoriale come confessione visibile del crimine”, il Memoriale agli ebrei assassinati d’Europa è stato ufficialmente inaugurato il 10 maggio 2005. Accessibile da qualunque suo lato, può essere visitato gratuitamente ed è accessibile 24 ore su 24. Nei suoi sotterranei, l’Ort der Information, ossia il centro informazioni, ospita una mostra che documenta la persecuzione e lo sterminio degli ebrei d’Europa e i luoghi storici dei crimini. È visitabile dal martedì alla domenica, con eventuale offerta libera.

Restando nel Mitte, ma spostandosi oltre la Sprea, si entra in uno dei centri dell’antica vita ebraica. Siamo nello Scheunenviertel, letteralmente il quartiere dei fienili. È qui che nel 1737 gli ebrei, che per legge non potevano possedere proprietà terriere, erano stati costretti a insediarsi da Federico Guglielmo I. Sviluppatasi nel corso dell’Ottocento e nei primi del Novecento anche grazie ai tanti in fuga dall’Europa Orientale, la comunità ebraica risiedeva principalmente in una parte di questa vasta zona a nord di Alberlin, il cuore della Berlino medievale. Per orientarsi in un ideale itinerario bisogna guardare in alto, fino a distinguere la cupola scintillante della Neue Synagoge, la Nuova Sinagoga.

Simbolo della rinata comunità ebraica della capitale, questa magnifica costruzione in Oranienburger Strasse 28-30 ha oggi perso la funzione principale di luogo di preghiera per guadagnare quella di museo e di centro di incontri, noto come Centrum Judaicum. All’epoca della sua costruzione, avvenuta tra il 1859 e il 1865 era stata il più grande luogo di culto della Germania. Per la sua ideazione, l’architetto Carl Heinrich Eduard Knoblauch si era ispirato all’Alhambra di Granada. Lo stile neo-moresco era del resto tipico delle sinagoghe del tempo, ben riconoscibile nell’intrico di decorazioni della facciata e nella cupola dorata. Terminata da Friedrich August Stüler, amico di Knoblauch e subentratogli dopo che questi si era gravemente ammalato, fu consacrata nel giorno di Rosh Hashanah al cospetto del cancelliere Otto von Bismarck e di altri dignitari prussiani. Orgoglio per tutta la popolazione ebraica, scampò dalla furia dei nazisti del pogrom del 9 novembre 1938 noto come Kristallnacht, notte dei cristalli, grazie all’intervento di un ufficiale di polizia, William Krütfeld, che non solo bloccò i criminali delle SA sostenendo che il monumento era protetto dalla legge, ma convinse anche i vigili del fuoco a bloccare l’incendio che già stava divampando. Chiuso dai nazisti nel 1940 e trasformata in magazzino, l’edificio non si sarebbe invece salvato dai bombardamenti del 1943. Rimasta in rovina fino alla fine degli anni Ottanta, la sinagoga sarebbe stata riconsacrata nel 1995, dopo i lavori di ricostruzione iniziati nel 1988 in occasione del 50° anniversario della Kristallnacht. Questi portarono al recupero della facciata e alla riedificazione dei locali di ingresso e della gigantesca cupola, abbattuta nel 1958 nonostante fosse rimasta in gran parte integra. Quanto resta dell’edificio originario, compresa una fascia in pietra che traccia il profilo della sua struttura, è oggi protetto sul retro da una struttura in vetro e acciaio. La maggior parte del resto dello spazio è oggi destinato a museo e a centro di incontri, con la possibilità di visitare, oltre alle mostre temporanee, frammenti della struttura originaria accanto agli oggetti, tra cui un rotolo della Torah e una lampada perpetua, che ne ricordano il passato glorioso.

Lasciata la Nuova Sinagoga, che è anche sede della Comunità Ebraica di Berlino, si può raggiungere in pochi minuti di cammino la sede dell’ex scuola ebraica per bambine, la Jüdische Mädchenschule. Costruito verso la fine degli anni Venti del Novecento, l’edificio era stato usato come ospedale militare durante la guerra e quindi riaperto nel 1950 come scuola dai sovietici, nel cui settore si trovava. Chiuso per mancanza di studenti, l’istituto sarebbe stato usato saltuariamente come sede museale fino alla definitiva riapertura del 2012. Tuttora di proprietà della comunità ebraica, lo spazio è stato dato in affitto per 30 anni al gallerista Michael Fuchs che ne ha operato una delicata ed estesa opera di restauro destinandone gli spazi alla ristorazione e a gallerie d’arte. Proseguendo la passeggiata in quella che un tempo era il settore orientale di Berlino si incontra uno degli innumerevoli monumenti che ricordano l’orrore nazista. Si tratta di una installazione sita al centro del piccolo spazio verde di Koppenplatz, affacciato sulla Linienstrasse. Se non se ne conosce la storia, potrebbe passare inosservato, e soprattutto incompreso.
Der verlassene Raum, la stanza abbandonata, è opera dello scultore Karl Biedermann in collaborazione con l’architetta paesaggista Eva Butzmann e si presenta come una superficie rettangolare in bronzo dall’aspetto di un pavimento in parquet a spina di pesce su cui poggia un tavolo con accanto due sedie, una delle quali rovesciata in terra. Commissionata nel 1988 dal governo della DDR e portata a termine solo nel 1996, a riunificazione avvenuta, vuole rappresentare l’abbandono forzato delle abitazioni degli ebrei sotto il regime nazista e riporta, incisi lungo il perimetro della stanza fantasma, i versi della poetessa Nelly Sachs:

…O dimore della morte, / Preparate in modo invitante / Per l’ospite della casa, che altrimenti sarebbe stato ospite – / O voi dita, / che ponete la soglia d’ingresso, / come un coltello tra la vita e la morte – / O voi camini, / o voi Dita / E il corpo d’Israele, / in fumo nell’aria!.

Il tema delle case fantasma ritorna in un altro monumento all’assenza ideato dall’artista francese Christian Boltanski nel 1990. The Missing House si trova al 15/16 di Grosse Hamburgerstrasse nel luogo in cui sorgevano degli edifici distrutti da una bomba il 3 febbraio 1945. Realizzato nel 1990, ricorda, con targhe apposte sul muro tagliafuoco di quello che un tempo era un palazzo, gli antichi abitanti dei suoi appartamenti distrutti, riportandone il nome e la professione.
Di fronte ai palazzi gialli di cui fa parte questo memoriale, al numero 27 della stessa via, si trova l’elegante struttura del Jüdische Gymnasium Moses Mendelssohon, scuola maschile ebraica fondata nel 1788. Chiusa dai nazisti, è ancora di proprietà della comunità ebraica berlinese e la sua sede, uscita indenne dalla guerra, dal 1993 ha ripreso a ospitare gli studenti, maschi e femmine, ebrei e non. Accanto alla scuola aveva sede anche il più antico cimitero ebraico della città. Costruito nel 1672, accoglieva le spoglie di illustri personaggi della comunità, tra cui lo stesso Mendelssohon, giungendo ad avere all’inizio del Novecento più di 2.600 sepolture, tutte fatte distruggere nel 1943 dalla Gestapo con la creazione di trincee e, successivamente, di fosse comuni. Nella stessa area nel 1941 i nazisti istituirono il principale punto di raccolta per gli ebrei da deportare, che venivano processati e imprigionati nell’edificio, poi distrutto, che dal 1844 era stato una casa di riposo. A guerra finita il luogo dove sorgeva il cimitero fu trasformato in parco pubblico e posto sotto protezione monumentale con l’apposizione di targhe, lapidi e monumenti, mentre le poche sepolture non distrutte furono trasferite nel cimitero ebraico di Weissensee. Oggi il cimitero è stato restaurato e le tombe vi sono state ricollocate, mentre davanti all’ingresso del sito è stato eretto un memoriale in forma di scultura che ricorda le persone che furono qui raccolte prima di essere mandate a morire nei campi di concentramento.

La memoria ebraica è protagonista anche in uno dei luoghi più battuti dal turismo più vivace e curioso, alla ricerca della Berlino popolare ancora salva dalla gentrificazione. E se è vero che uno degli aspetti architettonici più fascinosi di questa complessa città sono gli höfe, i cortili nascosti dietro a insospettabili facciate, anche questi si distinguono a seconda della loro destinazione e dello spirito che li permea. Hackesche Höfe, con le sue facciate Jugendstil e i nove cortili comunicanti sviluppati tra Rosenthaler Strasse e l’uscita sulla Sophienstrasse, è probabilmente l’esempio più noto di questo tipo di costruzioni con il suo intrico di locali, negozi, atelier e gallerie d’arte, ma anche l’attiguo e più ruspante Haus Schwarzenberg merita una visita. E non solo per la sua esplosione di murales, stencil e graffiti in continuo aggiornamento. Oltre alla street art che ne caratterizza ogni superficie utile, questo spazio nato nel 1995 come ambiente sociale collettivo offre infatti almeno due indirizzi imperdibili per il turista interessato (anche) alla storia e cultura ebraica. Dal numero 39 di Rosenthaler Strasse si accede ad esempio al Anne Frank Zentrum. Introdotto da un grande murales che ritrae una sorridente Anne, il centro, gemellato con quello più noto di Amsterdam, è aperto dal 2002 e dal 2018 ospita una mostra permanente intitolata Alles über Anne, tutto su Anne. Dedicata alla memoria di una delle più note vittime dell’Olocausto, la mostra si affianca alle diverse altre iniziative volte a far conoscere la storia del nazionalsocialismo soprattutto ai più giovani.

Usciti dall’Anne Frank Zentrum, proprio di fronte, si accede al Museum Blindenwerkstatt Otto Weidt, ossia il Museo dell’officina dei ciechi Otto Weidt. Qui, durante l’epoca del Nazionalsocialismo, lavoravano soprattutto ebrei non vedenti e non udenti che producendo scope e spazzole. Dato che forniva materiali anche per la Wehrmacht, la piccola azienda era stata classificata come “importante per le forze armate”. Le stanze dell’officina sono state conservate perlopiù nello stato originale e attraverso fotografie, lettere, documenti e altri oggetti raccontano le storie di vita e gli sforzi di Otto Weidt che si adoperò per proteggere le sue lavoratrici e i suoi lavoratori ebrei dalla persecuzione e dalla deportazione.

Tornando in strada, sempre in Rosenstrasse, all’altezza del numero 2-3, una scultura in arenaria rossa realizzata nel 1995 da Ingeborg Hunzinger e intitolata Block der Frauen ricorda la protesta di duemila donne non ebree di Berlino che dal 27 febbraio al 6 marzo del 1943 manifestarono al gelo e sotto la pioggia contro l’arresto dei loro padri e mariti ebrei. La loro azione portò, una decina di giorni dopo, al rilascio degli uomini, passando alla storia come una delle poche storie vittoriose di disobbedienza al nazismo.

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


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