Cultura
Biennale d’arte e design in Israele: un viaggio sulla misura dell’uomo

250 opere di importanti artisti israeliani e una selezione di 20 opere di artisti stranieri in mostra fino a novembre

“What Is the Measure of Man?” Con questo grande quesito si è aperta, lo scorso 31 marzo, la Biennale di arte israeliana presso il MUZA – Museo Eretz Israel, che, in occasione della lunga estate israeliana, sarà aperta anche in orari speciali, sia di sera che durante il weekend. 250 opere di artisti israeliani e 20 provenienti dall’estero.
Quest’anno La Biennale di arte e design cerca di rispondere alla complessa domanda: “Cosa significia a misura d’uomo?” e si concentra sulla condizione umana alle soglie di una nuova era, cercando di esaminare il mondo e l’ambiente che ci circonda, e il nostro potere di influenzare il futuro del luogo in cui viviamo.
Nello spirito di questo sguardo globale, oltre alle 250 opere di importanti artisti israeliani è stata curata anche una selezione di 20 opere di artisti stranieri che hanno cercato di rispondere alla stessa domanda e di farlo, integrando i loro lavori con la cornice, unica, del MUZA.
Coprendo la maggior parte degli spazi espositivi del museo, la Biennale ha dunque cercato di far dialogare le opere contemporanee con i tesori archeologici ed etnografici della collezione museale, assieme alle installazioni all’aperto pensate appositamente per la natura “open air” che offre quello che è, in metri quadri, è il più grande tra i musei di Israele e che, grazie ad un ambizioso progetto il collaborazione con il Comune di Tel Aviv, sta per allargarsi ancor di più fino a raggiungere, con un ponte pedonale, il Parco Ayarkon: uno dei più grandi polmoni non solo di Tel Aviv ma di tutta Israele.
In tal senso, “il tema della Biennale di quest’anno cerca di integrarsi perfettamente con la nuova vision del MUZA”, ci ha spiegato il CEO Ami Katz.
In particolare, “Qual è la misura dell’uomo?” si basa sul concetto di homo mensura dictum, attribuito al sofista greco Protagora, del V secolo a.C., che affermava che “l’uomo è la misura di tutte le cose”.

Questa visione è servita come punto di partenza della Biennale per esplorare anche l’influenza della creatività dell’individuo sul mondo circostante.
L’urgenza di rispondere ai venti di cambiamento e a una realtà che si trasforma a ritmi accelerati ed esponenziali, pone, infatti, numerosi interrogativi sul ruolo dell’attività creativa, che esplora e ridefinisce il proprio ambito di azione, nonché la propria capacità di offrire una “cura” per una sostenibilità del mondo e un futuro più “umano”.
Nel cercare di rispondere a questa domanda, la Biennale offre diverse prospettive, utilizzando anche le peculiarità dei diversi spazi museali.
Nella “white box” del Rothschild Pavillion, curato da Nir Harmat, si narra una storia suddivisa in quattro capitoli: “Language and Plot, Time and Place, Body e Ritual, tutti temi esplorati da Aristotele nella sua ricerca sulla tragedia” come ci spiega il curatore.
Tra le numerose opere esposte in questo padiglione, spicca il lavoro di Nadia Adina Rose, Family Album – una coperta con motivi floreali, un tempo presenti in ogni casa, spesso tramandati di generazione in generazione, che si scompone in pixel digitali tridimensionali che stanno a simboleggiare la fragilità dell’unità familiare e le mutevoli possibilità che questo nuovo mondo può incarnare.

Album di famiglia, 2021
Nadia Adina Rosa
Foto: Yuval Ha

Nel padiglione della Ceramica, in quello del Vetro e in quello del Folklore le opere, invece, hanno intrecciato un dialogo inaspettato attraversano il tempo, lo spazio e le culture presenti in Israele da millenni, grazie alla sapiente curatela di Henrietta Eliezer Brunner.
In Measurement di Dana Bloom, ad esempio, un “guscio umano” dorato, lungo 2,5 m, evoca un rettile che perde la sua vecchia pelle per accogliere il suo corpo in crescita: un processo lento e doloroso, tuttavia necessario, in cui il lavoro della Bloom diventa testimonianza del ciclo della vita costantemente mutevole, in contrasto con la morte.

Measurement, 2022
Dan Bloom
Con la gentile assistenza di Massivit per la stampa 3D. Foto: Elad Sarig

Gli spazi esterni del museo e la Torre di osservazione – che offrono ambienti e stimoli diversi- sono stati allestiti, invece, con opere che coprono il mondo della ricerca, la scienza, la diversità biologica, il suono, la luce e il movimento, grazie ad una curatela affidata a Tomer Sapir.
Tra i lavori scelti, spicca, nel giardino principale, l’opera di Sasha Serber che, attraverso la continua ricerca tra scultura antica e archeologia, ricrea un oggetto antico ma in chiave, e scala, contemporanea, creando un cortocircuito tra reale ed artificiale nei confronti dello spettatore.

Quest’anno, per la prima volta, la Biennale ospita 20 opere di artisti stranieri selezionati dal guest-curator australiano Dr. Kevin Murray. Questi lavori cercano, a loro volta, di dialogare con le opere locali, sia quelle appartenenti al passato del museo, che quelle contemporanee.
Tra gli artisti internazionali di maggior spicco si segnalano Bubu Ogisi dalla Nigeria, gli artisti sudafricani Hlengiwe Dube e Yolŋu Andile Dyalvane, l’artista aborigeno australiano Gunybi Ganambarr e il maestro ricamatore Suzhou Yao Huifen dalla Cina.
Internazionali anche i materiali utilizzati: l’artista australiana del vetro Jenni Kemarre Martiniello, per esempio, ha tradotto le forme tradizionali delle trappole per anguille – tipiche della cultura aborigena, che attingono alle tradizioni di tessitura indigene di oltre 10.000 anni fa – in vetro, attraverso la complessa tecnica della soffiatura appresa a Murano.

Trappola per pesci di canne pallide (2022)
Jenni Kemarre Martiniello
Prodotto a Canberra Glassworks, Australia
Foto: Avi Amsalem

Ruolo cruciale nella visione di questa Biennale quello del Prof. Chanan de Lange, che ha disegnato l’intero percorso espositivo, in modo modulare, permettendo ai curatori di allestire la mostra con un grande margine di flessibilità, in modo di permettere alle opere d’arte di interagire e dialogare tra di loro. Tqnte le proposte per i bambini e le famiglie grazie alla collaborazione con Bezalel Academy of Art and Design, Gerusalemme, Shenkar Institute – Facoltà di ingegneria, design e arte e The Holon Technological Institute.
La mostra rimarrà aperta fino al 31 Novembre.

Fiammetta Martegani
collaboratrice

Curatrice presso il Museo Eretz Israel, nasce a Milano nel 1981 e dal 2009 si trasferisce a Tel Aviv per un Dottorato in Antropologia a cui segue un Postdottorato e nel 2016 la nascita di Enrico: 50% italiano, 50% israeliano, come il suo compagno Udi. Collaboratrice dal 2019 per l’Avvenire, ha pubblicato nel 2015 il suo primo romanzo “Life on Mars” (Tiqqun) e nel 2017 “The Israeli Defence Forces’ Representation in Israeli Cinema” (Cambridge Scholars Publishing). Il suo ultimo libro è Tel Aviv – Mondo in tasca, una guida per i cinque sensi alla scoperta della città bianca, Laurana editore.


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