Cultura
Illit Azoulay, Israele alla Biennale di Venezia

Il padiglione israeliano ai Giardini

A raccontare Israele alla Biennale di Venezia spetta all’artista Illit Azoulay e alla sua pionieristica tecnica fotografica. Le sue sovrapposizioni di scatti, qasi come dei collage, sono dei racconti visivi minuziosi, quasi scientifici, a volte paragonabili a tecniche di catalogazioni archivistiche o addiritture archeologiche: still life di oggetti, reperti, pietre, nella loro pura essenza. Ma capaci di comporre un racconto visivo denso, affermativo quanto in costante dialogo con il pubblico. Mi fanno pensare, i suoi lavori, alle graphic novel di ultima generazione, con le loro pagine dominate da disegni straordinari da decifrare attentamente e testi da leggere con altrettanta cura, proprio a rppresentare il genere cui appartengono: romanzi grafici, romanzi disegnati.

 

Quelle di Illit Azoulay sono fotografie romanzate o romanzi fotografici con un’accezione storica e scientifica: la versione contemporanea del romanzo storico, ma in formato arte visiva? Forse, almeno in parte. Il suo allestimento del Padiglione d’Israele ai Giardini della Biennale ha un titolo affascinante: Queendom. In questo regno ci sono opere che alcuni critici hanno definito di artigianato digitale perché Azoulay scansiona e riassembla parti di fotografie per poi montarle su lastre metalliche. Oggetto dell’assemblaggio è un sapere antico che diventa ultracontemporaneo ma assolutamente non asettico, anzi intriso di una empatia narrativa che richiama i cantastorie. L’artista trasferisce forme di conoscenza apparrtenute a culture antiche che hanno attraversato il Mediterraneo in una forma narrativa inedita e personale. Che fa del particolare l’elemento centrale della sua riflessione. Queendom rivela gli anelli mancanti delle geografie del sapere, utilizzando scatti fotografici di vasi medievali realizzati con intarsi di metallo provenienti dai paesi islamici e prodotti e commerciati da persone appartenenti a culture diverse. Li collezionava in forma di fotografie lo storico  dell’arte austro-britannico David Storm-Rice, vissuto tra il 1913 e il 62. L’archivio di questo incredibile materiale fu poi donato al Museum of Islamic Art di Gerusalemme ma presto cadde nell’oblio. Illit Azoulay vi si è immersa, con il merito di aver riportato alla luce la collezione, in una interpretazione artistica. Nella sua visione della rappresentanza di Israele alla Biennale internazionale d’arte, porta quei vasi a Venezia attraverso i viaggi nel Mediterraneo e una storia lunga secoli che unisce i popoli.

Il Queendom forse è anche il regno di Illit Azoulay stessa, un mondo al femminile che si oppone, da quando si è diplomata alla Bezalel Academy of Art and Design di Gerusalemme, a un paradigma maschile della fotografia intesa come arte capace di cogliere l’istante, quello decisivo, quello più importante. Nel suo regno invece lo scatto supera l’attimo per entrare in un’idea di durata (ma senza scadenza) e di sintesi (quella della ricerca storica). Il Queendom ha regole spazio-temporali diverse da quelle di un qualsiasi kingdom, fa della memoria una capacità narrativa imperitura e (forse) eterna. Necessaria, anche: i suoi prodotti servono a completare il racconto (spurio) del mondo noto.

E Israele? Come già detto, il materiale utilizzato per narrare di Queendom è custodito nel museo di arte islamica di Gerusalemme. E poi, beh, decidete voi se Israele è Queendom.

Illit Azoulay è nata a Tel Aviv nel 1972 da  genitori immigrati in Israele dal Marocco. Ha studiato fotografia alla Bezalel Academy dove ha anche poi insegnato. Attualmente lavora a Berlino.

 

Micol De Pas

È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.


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