Cultura
Destinazione Vercelli

Un ittinerario nella città piemontese in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica

Quando, all’inizio del 2022, in occasione della Giornata della Memoria la Comunità Ebraica di Vercelli ha organizzato insieme al Comune una visita ai luoghi ebraici della città, l’alto numero di partecipanti ha superato le più rosee aspettative. Al punto che l’evento è stato riprogrammato in successive due domeniche nel mese di febbraio. Questa domenica le cose andranno probabilmente in modo simile, quando la Sinagoga di via Foa, così come quella del Piazzo di Biella, che rientra nella stessa Comunità, sarà aperta per la Giornata Europea della Cultura Ebraica .

La Comunità di Vercelli si distingue per le sue numerose iniziative e per la ricchezza di testimonianze di un passato per certi versi ancora vivo. Oggi i numeri sono nettamente più esigui rispetto a un tempo, ma ogni volta che la sua instancabile presidente Rossella Bottini Treves organizza un incontro la risposta è sempre generosa. In particolare, le visite al Tempio sono sempre piuttosto apprezzate, come si è visto anche negli appuntamenti che hanno scandito questa estate. Del resto, non si può parlare della comunità vercellese senza fare riferimento alla sua monumentale Sinagoga, riaperta al pubblico dal 2003 e tra le più importanti della diaspora italiana, in particolare tra quelle dell’epoca dell’emancipazione. Inaugurata il 18 settembre del 1878 dopo quattro anni di lavori, il progetto era stato curato inizialmente dell’architetto nativo di Vercelli Marco Treves, che aveva ricevuto l’incarico nel 1864, e realizzato poi da Giuseppe Locarni.

La storia del Tempio è un buon modo per raccontare quella degli ebrei vercellesi dal 1848 a oggi. È con l’emancipazione, infatti, che si inizia a parlare a una sinagoga degna della comunità della città piemontese, che all’epoca contava mezzo migliaio di appartenenti. Quando Carlo Alberto di Savoia decretò che tutti gli israeliti avrebbero goduto degli stessi diritti degli altri cittadini, gli ebrei di Vercelli pensarono di realizzare un’opera che fosse degna della loro fiorente comunità e segno tangibile della loro nuova posizione all’interno della società. Non più oratori e piccole sale di preghiera nascoste all’interno dei caseggiati, indistinguibili dalle abitazioni circostanti o mimetizzate nei cortili del ghetto, ma un edificio meravigliosamente evidente, che parlasse dei suoi fedeli al resto della città e li accogliesse con gli spazi adeguati. La sua costruzione sarebbe stata finanziata unicamente con i soldi della comunità di Vercelli, così come la realizzazione e l’acquisto dei suoi interni, oggetti rituali e argenti. Lo stile sarebbe stato quello più in voga all’epoca, ossia il neo moresco, con una grande facciata caratterizzata da bande bicolori in pietra arenaria bianche e azzurre, coronata da merlature e torrette con cupole a cipolla. L’interno, a tre navate, avrebbe accolto decorazioni a motivi geometrici mentre la grande abside dove si trovano l’Aron e la Tevah sarebbe stata illuminata da cinque finestre. Il tutto realizzato da riconosciuti artisti locali. Per la sede del Tempio fu scelta l’area in cui si trovava un antico oratorio datato 1740, lo stesso anno della creazione del ghetto, nel cuore dell’antico quartiere ebraico. Oggi intitolata a un importante benefattore della Comunità quale fu Elia Emanuele Foà, la via ai tempi si chiamava degli Orefici e con le attuali vie Gioberti, Castel Nuovo e Morosone segnava i confini del ghetto.

La segregazione, imposta qui come in tutte le altre comunità della regione, era stata decisa con decreto ducale nel 1723 e riguardava 27 famiglie, ossia oltre un centinaio di persone. Erano per massima parte i discendenti di quegli ebrei provenienti dalla Spagna che agli inizi del Cinquecento avevano formato la prima comunità ebraica degna di questo nome. Prima, per quanto si abbiano notizie di ebrei a Vercelli fin dalla fine del Trecento, si trattava perlopiù di piccoli gruppi di persone non organizzate, probabilmente provenienti dalla Francia e da qui espulse nel 1394. Nel Settecento una Comunità ormai ben più strutturata abitava intorno alla chiesa di San Lorenzo, nel quartiere di Santo Spirito e nell’isolato di case che si affaccia sull’attuale Corso della Libertà compreso tra le vie Ponti e Garrone. Al momento dell’istituzione del ghetto si pensò inizialmente di lasciare i suoi abitanti dove stavano, ma presto il quartiere fu ritenuto troppo centrale e importante per il resto dei cittadini, in particolare per il passaggio di processioni religiose. Gli ebrei furono così costretti a lasciare le proprie case e a occupare quelle comprese tra la Contrada degli Orefici e Piazza del Fieno (ora piazza Massimo d’Azeglio). Correva l’anno 1740 e le persone coinvolte furono 158. Quando il decreto albertino del 1848 liberò la comunità dalla segregazione i numeri avevano raggiunto le 512 anime, divise in 98 famiglie che occupavano 65 case. Nel frattempo, vi era stata una parentesi di libertà, con Napoleone che aveva fatto aprire le porte del ghetto, seguita dal loro ripristino con la Restaurazione e il ritorno dei Savoia.

Oggi chi passeggia nelle belle vie del centro storico intorno alla Sinagoga può ancora individuare i punti in cui si trovavano le famigerate porte. La prima era posta all’incrocio tra via Foa e via Gioberti, la seconda nel punto in cui via Foa si restringe, in prossimità dello sbocco sul sagrato di San Giuliano, la terza a metà di Castelnuovo delle Lanze e la quarta, all’epoca sempre chiusa e nota come “la portina”, nel passaggio più angusto di via Morosone. Pur liberati dall’obbligo di risiedere nelle case del ghetto, gli ebrei di Vercelli avrebbero mantenuto l’antico quartiere come sede di diverse loro istituzioni, religiose e non solo. Nella stessa via Foa in cui al numero 56/58 sorge la Sinagoga oggi si può così trovare, al 70, la sede della Comunità Ebraica. Il bel palazzo con porticato che la ospita è particolarmente significativo per la storia degli ebrei vercellesi della emancipazione. Un tempo casa del banchiere Elia Emanuele Foa, che lasciò il suo intero patrimonio in opere di beneficienza, dal 1829 agli anni Trenta del Novecento fu la sede di un Collegio Israelitico, istituito da Consiglio dell’Università Israelitica. Questo istituto era stato concepito dal benefattore come una scuola ebraica organizzata e riconosciuta, capace di garantire una solida base culturale spirituale e morale ai giovani ebrei vercellesi. Nonostante il testamento dove Foa parla del Collegio e dell’Opera Pia destinata ad amministrare i suoi beni risalga al 1796, il Collegio avrebbe visto ufficialmente la luce solo nel 1829, dopo una lunga causa con gli eredi di Colomba Olivetti, vedova di Foa e usufruttuaria per volere del marito di tutti i beni lasciati dall’Università Israelitica. All’inizio alla scuola erano ammessi soltanto i maschi, ma dopo una riforma avviata dall’amministrazione, con il nuovo regolamento del 1894, tutti i ragazzi israeliti di entrambi i sessi dai 7 ai 16 anni ebbero la possibilità di accedervi gratuitamente. L’istruzione era suddivisa in due sezioni, una in lingua italiana e una in lingua ebraica, distribuita su tre classi ciascuna. Oggi dell’antico Collegio è rimasta la Sala Foa, sede di convegni e concerti promossi dalla Comunità Ebraica. Prima di allora, lo spazio era stato usato come Tempietto Invernale e da metà Ottocento, anche grazie agli interventi dell’architetto Alessandro Antonelli, aveva ospitato tutte le assemblee delle Università Israelitiche piemontesi.

Altro luogo importante ben riconoscibile nell’area dell’ex ghetto è l’ex Asilo Infantile Levi, oggi di proprietà privata. La scuola, la prima post emancipazione che istruiva i giovani ebrei dai 3 ai 12 anni, si trovava in via Morosone 1/9 ed era stata voluta, acquistata e fondata nel 1867 dal benefattore Salvador Levi fu Abramo. Presenta un cortile dotato di un grande porticato progettato dall’architetto Locarni (lo stesso della Sinagoga) con iscrizioni su marmo che ricordano la fondazione e il benefattore. Una sua grande sala è stata utilizzata come Tempietto quando la Sinagoga era in costruzione, mentre nella cantina si trovava il forno per preparare le azzime di Pesach.

Tornando alla vicina Sinagoga, la sua apertura al pubblico offre la possibilità di ammirare un oggetto straordinario come l’antico Aron ha Kodesh seicentesco, restituito alla sua magnificenza originaria dopo un accurato restauro intrapreso nel 2020 grazie alla tenacia della presidente Treves, coadiuvata dall’architetto Paola Valentini Lattes. L’Armadio Sacro era da tempo collocato all’interno del Tempio e come questo necessitava di importanti interventi che lo salvassero dall’altrimenti inevitabile deterioramento. Considerata l’epoca di costruzione, si pensa che il prezioso Aron abbia accompagnato le preghiere degli ebrei vercellesi in tutti i luoghi di culto precedenti l’attuale Sinagoga, da quelli collocati nel primo ghetto a quelli nel secondo. Durante la costruzione del Tempio sarebbe stato poi collocato in quel Tempietto Invernale allestito come si è detto presso l’ex Asilo Levi. L’intervento dei restauratori (il cui lavoro può essere seguito nei video caricati dalla Comunità su YouTube) ne ha riportato allo splendore iniziale la struttura tipicamente barocca, dipinta con finti marmi e sviluppata tra colonne e capitelli, con decorazioni dai motivi vegetali e geometrici scolpiti e parzialmente dorati. Il vano centrale, destinato ad accogliere i Rotoli della Legge, è rivestito in broccato e il tutto è completato da due pannelli lignei, presumibilmente successivi e risalenti alla metà del Settecento, dipinti di verde con iscrizioni dorate in ebraico. I lavori sono stati portati a termine con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Vercelli, della Fondazione Compagnia di San Paolo e della Fondazione Cassa di Risparmio di Torino.
Sempre all’interno della Sinagoga, ma salendo a uno dei matronei, è possibile infine visitare un altro luogo che parla dell’antica comunità vercellese così come della ferma volontà di preservarne la memoria. Si tratta del Museo di Arte Ebraica, istituzione volta a conservare e a esporre a fini educativi i manufatti culturali storici provenienti dalle Sinagoghe di Vercelli e di Biella, oltre che da collezioni private. La mostra ripercorre la storia della Comunità in ogni suo aspetto, dai libri agli argenti, dagli strumenti rituali per il culto e le opere tessili fino alle suppellettili e i beni provenienti da famiglie di ebrei vercellesi e biellesi.

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


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