La sua poesia è una fusione perfetta tra suono e significato, al punto da essere quasi intraducibile. La lettura musicale di “Una melodia antica”
Ci sono poeti che definiscono la generazione cui appartengono, dominandola ed estendendo la propria influenza anche sugli anni a venire. Sono figure uniche ed eccezionali, che per lo più si contano sulle dita di una mano, amate e detestate nella stessa misura, semplicemente perché non è possibile ignorarle. Ad esempio ci sono poeti come Nathan Alterman (1910-1970), un autore pressoché sconosciuto al di fuori dei confini d’Israele, sebbene abbia forgiato la lingua e l’immaginario poetico tra la seconda metà degli anni ’30 e l’inizio degli anni ’50, imponendosi come una delle voci più autorevoli dell’intera storia della letteratura ebraica. Non è un caso se la generazione poetica successiva, la più ribelle, la stessa che annovera tra i suoi protagonisti Yehuda Amichai e Nathan Zach, abbia espressamente dichiarato di voler scegliere la direzione opposta a quella indicata da Alterman, affrancandosi dalla sua ingombrante presenza.
Alterman nacque a Varsavia, figlio di una dentista e di un educatore di chiara fama. Dopo aver peregrinato in lungo e largo per l’Europa insieme alla famiglia, il giovanissimo Nathan approdò a Tel Aviv nel 1925. Come aveva fatto a suo tempo la poetessa Rachel, anche Alterman perfezionò i propri studi in Francia, dove frequentò corsi universitari di agronomia. Ma il richiamo della poesia, già presente in lui fin dall’adolescenza, si rivelò più forte dell’ambizione a un lavoro stabile e sicuro. Iniziò a collaborare con vari periodici, tra cui Davar e Haaretz, proponendo una singolare fusione tra impegno politico, humour dissacrante e poesia. Nacque così la celeberrima Settima colonna, che ancora oggi rappresenta un esempio insuperato di poesia politica, non soltanto in Israele. Tuttavia, accanto a queste attività, Alterman coltivò anche il genere lirico tradizionale, dove però intervenne sovvertendo ogni possibile norma, ogni convenzione. L’opera di Alterman introdusse, infatti, nella poesia ebraica la rivoluzione del suono e del ritmo, del virtuosismo metrico, attraverso la scelta di un linguaggio raffinato, ricco e talvolta oscuro, capace come nessun altro di trasferire nella scrittura l’ineffabilità dell’ispirazione.
Irresistibile cantore della vita urbana e delle sue passioni violente e tenebrose, pur nella sua ricercatezza Alterman divenne un poeta amato dal pubblico, non solo dalla critica. Molte sue poesie sono state trasformate in canzoni di successo, entrando di diritto a far parte del thesaurus delle canzoni della Terre d’Israele. Tra queste c’è anche Niggun atiq, Una melodia antica, resa celebre dalle interpretazioni di Yehoram Gaon, Benny Amdursky e Arik Lavi, tre grandi voci della canzone israeliana.
Da un punto di vista metrico-strutturale, Una melodia antica ha tutte le caratteristiche della ballata d’amore tradizionale. Il testo ha uno sviluppo rapido e dinamico ed è “circolare”, presentando l’elemento del fuoco nella prima e nell’ultima strofa. Anche il tema della poesia sembrerebbe abbastanza classico, quasi un richiamo alla poesia europea del passato: un uomo ama una donna ed è disposto a soddisfare ogni suo desiderio, proponendosi come una sorta di “cavalier servente”. Tuttavia, sin dall’esordio della lirica s’intuisce che nella disponibilità dell’uomo c’è qualcosa d’insano e di torbido. La sua passione, infatti, appare assoluta e divorante. Forse addirittura pericolosa. È però solo nella quarta strofa che arriviamo a scoprire quale prezzo reclami tanta devozione. Il contrasto tra la struttura tradizionale della ballata e il suo epilogo è stridente e definisce anche il carattere innovativo della poesia, che su un tema antico quanto il mondo innesta una considerazione del sentimento del tutto contemporanea: la passione va a braccetto con la morte e la gelosia con l’annientamento dell’altro.
Una piccola annotazione pratica: tradurre “davvero” la poesia di Nathan Alterman è un’impresa titanica. È, infatti, molto difficile riuscire a preservare la perfetta fusione tra suono e significato presente nel testo originale. Ho deciso quindi di tentare un esperimento, lasciandomi guidare dalla melodia che da decenni accompagna il testo.
Una melodia antica
Se la notte tu piangerai,
la mia gioia arderò come paglia.
Se di freddo ti tremeranno le ossa,
ti coprirò e mi sdraierò sulla pietra .
Se dirai di voler danzare,
per te suonerò fino all’ultima corda.
Se mancheranno doni a celebrarti,
la mia vita ti offrirò e la mia morte.
Se del pane vorrai oppure vino,
me ne andrò, la schiena ricurva,
ed entrambi i miei occhi venderò
per portarti sia vino sia pane.
Ma se una volta tu riderai
senza me in compagnia degli amici,
passerà muta la mia gelosia
e brucerà su di te la tua casa.
Sara Ferrari insegna Lingua e Cultura Ebraica presso l’Università degli Studi di Milano ed ebraico biblico presso il Centro Culturale Protestante della stessa città. Si occupa di letteratura ebraica moderna e contemporanea, principalmente di poesia, con alcune incursioni in ambito cinematografico. Tra le sue pubblicazioni: Forte come la morte è l’amore. Tremila anni di poesia d’amore ebraica (Salomone Belforte Editore, 2007); La notte tace. La Shoah nella poesia ebraica (Salomone Belforte Editore, 2010), Poeti e poesie della Bibbia (Claudiana editrice, 2018). Ha tradotto e curato le edizioni italiane di Yehuda Amichai, Nel giardino pubblico (A Oriente!, 2008) e Uri Orlev, Poesie scritte a tredici anni a Bergen-Belsen (Editrice La Giuntina, 2013).