Cultura
Ebraismo e modernità: la teologia naturale e il cosmopolitismo illuministi

Breve introduzione all’haskhalah, l’illuminismo ebraico

L’illuminismo studiato e affrontato superficialmente è troppo spesso messo in antitesi con la religione. La retorica alla base di questo ragionamento sembra voler dire: come fa una scuola di pensiero che pone alla base di tutto la razionalità dell’uomo, come singolo e come collettività, a non scontrarsi con l’idea di rivelazione, di dogma e di principi eterni che le religioni da millenni sostenevano?

Di solito coloro che spingono per questa totale divergenza usano i testi di veementi anticlericali francesi come Diderot e Voltaire, ed i loro attacchi al concetto stesso di “rivelazione”. Di contro la grande maggioranza degli Illuministi, per lo più tedeschi e inglesi, abbracciarono un nuovo approccio di visione della fede che riprendeva i concetti della “teologia naturale”. La teologia naturale, come principio generale, aveva l’obbiettivo di trovare verità comuni tra le maggiori religioni monoteiste, e per quanto riguarda il rapporto con l’ebraismo, sottolineare quanto il cristianesimo e l’ebraismo condividessero principi comuni. Il concetto di religione naturale sarà di grande influenza per le teorie dell’illuminismo ebraico. Tra gli stati tedeschi, e soprattutto in Prussia, Spalding e Reimarus in pieno illuminismo, capiscono da subito che per strutturare un’alternativa fattibile al dogmatismo della chiesa e al rifiuto di ogni principio religioso, la sfida della teologia naturale era di superare la divergenza apparente tra il principio di ragione e il concetto di rivelazione.

Di fatti, non si proponevano come obbiettivo di rifiutare il concetto di rivelazione a priori, ma di cercare tra le religioni, pratiche di facile assimilazione che si avvicinassero il più possibile al buon senso dell’individuo. I teologi naturali di fatti vedevano l’illuminismo come un modo per rinnovare e rinvigorire il concetto stesso di fede. Ad esempio, David Sorkin, nel suo “Illuminismo Religioso”, delinea uno schema comune tra le grandi religioni monoteiste di avvicinare il più possibile i fedeli attraverso pratiche di facile assimilazione. Ad esempio, con l’illuminismo, il cattolicesimo assorbe alcune istanze del Giansenismo tra cui l’importanza dello studio della scienza e della filosofia, e assume un nuovo approccio verso il metodo scientifico Galileiano. Allo stesso tempo, l’anglicanesimo assimila i concetti di tolleranza e di diritti naturali teorizzati dalla scuola del liberalismo di Locke e Toland. In Prussia, Spalding è uno tra gli intellettuali protestanti che spingono per una convergenza tra teologia e filosofia della moderna cultura protestante. Nel suo Die Bestimmung des Menschen (1748), sottolinea come una convergenza tra il concetto di religione rivelata e il concetto illuminista di raziocinio di ogni individuo siano compatibili. Si può dire infatti che i primi sforzi dell’ebraismo illuminato, o Haskhalah, in un certo senso convergano con gli obbiettivi della teologia naturale di protestanti, anglicani e cattolici. Un esempio è il rinnovato interesse per le teorie Spinoziane, come a voler correggere le anomalie storiche di “un giudaismo fuori dal mondo” (Sorkin,1996: xxi) e interpretare attraverso la razionalità i principi ebraici.

Allo stesso tempo, però, la prima generazione di illuministi ebrei tra cui Mendelssohn, si pone l’obbiettivo di difendere la legge mosaica come elemento non discernibile dall’ebraismo. Di fatti, le norme vincolanti dell’ebraismo non vengono rifiutate a priori, Mendelssohn desidera analizzare i precetti ebraici usando il principio di razionalità. La base ideologica dell’haskhalah era di fare emergere un razionalismo pratico devoto all’etica, ovvero che l’ebreo come singolo si concentrasse su precetti che lo rendessero un uomo morale e di virtù. Mendelssohn quindi parte dalle ipotesi della teologia naturale per sottolineare l’importanza dell’etica all’interno della tradizione ebraica (i Dialoghi Filosofici del 1755, ne sono un esempio). Tra il 1755, grazie all’incontro con il filosofo Lessing, e il 1770 Mendelssohn utilizza il metodo della filosofia naturale, come Spalding aveva fatto, per rimodellare elementi del pensiero ebraico che potessero aiutare l’ebreo a essere morale. Fin dall’inizio l’obbiettivo era di sottolineare la capacità e l’effettività dell’ebraismo e delle tradizioni ebraiche di condurre l’ebreo verso un’esistenza etica e morale, e cerca di sottolineare questo concetto, come è chiaro nel terzo dialogo del Fedone, affermando che ogni religione può comprendere l’essenza dell’etica tramite il raziocinio che è di tutta l’umanità (Frank and Leaman; ibid: 591). Nella visione mendelssohniana quindi, l’ebraismo aveva tutti gli elementi necessari per far condurre una vita etica ai suoi fedeli. Non a caso quindi, si preoccupa di rendere accessibile le fonti essenziali dell’ebraismo, tramite ad esempio il Kohelet Musar, una raccolta di commenti al Talmud. L’haskhalah vedeva come possibile l’accostamento della tradizione ebraica alla teologia naturale proprio perché, come affermerà nel Jerusalem del 1782, l’ebraismo non impone dogmi.

Da Erasmo da Rotterdam in poi, il concetto di tolleranza religiosa era strettamente legato al concetto di diritti naturali. Però, non bisogna dimenticare che tutto il discorso attorno al concetto di teologia naturale era il risultato di dibattiti nati con categorie cristiane, nate da situazioni come la tolleranza degli Ugonotti in Francia o dalle dispute tra protestanti e cattolici in Europa Centrale. La sfida che la haskhalah doveva affrontare era di utilizzare i principi di teologia naturale nell’ebraismo, senza che questo significasse per forza essere inglobati dentro una dimensione di ecumenismo cristiano. Mendelssohn da subito sottolinea come ciò avrebbe inevitabilmente posto fine al particolarismo ebraico e all’importanza che l’ebraismo dava alla halachà e alla tradizione rabbinica. Di conseguenza l’obbiettivo era di assimilare il concetto di universalità della ragione, applicabile a ogni essere umano, ma di mantenere i precetti fondanti dell’ebraismo. Di fatti, come Sorkin nel suo Mendelssohn e Illuminismo religioso cerca di sottolineare, gli intellettuali ebrei dell’epoca riprendono alcuni concetti del razionalismo ebraico della Spagna medioevale, secondo i quali non era compito della religione cercare verità sconosciute nei precetti ebraici. Mendelssohn di fatti riprenderà questo concetto fondamentale e rifiuterà a priori di strutturare una scienza comprensiva del divino e della rivelazione di D-O nel Sinai.

L’universalismo dell’ebraismo illuminista, infatti, diverge da quello cristiano, e può quindi essere visto come una sorta di cosmopolitismo dal basso, perché si allontana il più possibile dalla tendenza dell’etica cristiana di utilizzare alcuni principi di tolleranza e di teologia naturale per armonizzare le differenze religiose.

Alexander Hofmann
collaboratore

Alexander Hofmann, Classe 97, ha frequentato la Scuola Ebraica di Milano dalle elementari al Liceo Linguistico. Membro attivo dell’Hashomer Hatzair ha sempre avuto interesse per temi riguardanti la politica e la tutela delle minoranze. Dopo un anno di Diploma presso La Scuola di Politiche di Enrico Letta, selezionato tra i migliori 100 studenti in Italia per studiare temi fondamentali quali il rapporto fra globalizzazione e dilemmi sociali, Welfare State, Politiche Fiscali e Monetarie, Istituzioni Europee, si sposta a Londra dove si laurea in International Political Economy alla City University of London. Negli anni, ricopre ruoli come presidente delle Politics Society, della Israel Society fino ad organizzare eventi tra cui il dibattito aperto con l’ambasciatore dello Stato di Israele presso il Regno Unito. In questo momento sta svolgendo la specialistica in International Journalism sempre alla City University of London e collabora come freelance presso Linkiesta.


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