Hebraica Nizozot/Scintille
Edith Stein: la filosofa ebrea che si fece monaca (cattolica) e morì ad Auschwitz

Storia di una filosofa straordinaria

Tra le figure controverse del Novecento, da un punto di vista ebraico, si distingue sotto molti profili la filosofa Edith Stein, nata a Breslavia nel 1891 e morta ad Auschwitz il 9 agosto 1942.

Le ragioni della controversia sono connesse da un lato alla sua conversione al cattolicesimo, avvenuta il 1 gennaio 1922 (evento di cui la Stein stessa rende conto), e dall’altro lato alla sua elevazione allo status di ‘santa’, ai cosiddetti “onori degli altari”, da parte della chiesa cattolica che la canonizzò nell’ottobre 1998, papa Wojtyla regnante, il quale la proclamò persino patrona d’Europa. Con il battesimo la Stein recideva formalmente il suo legame con l’ebraismo, sebbene la filosofa, già brillante allieva di Edmund Husserl, affermasse di non essersi mai separata dal suo popolo d’origine. In effetti, come storicamente documentato, il 12 aprile 1933 – a pochi mesi dall’ascesa di Hitler al cancellierato – essa scrisse a papa Pio XI e al suo segretario di Stato, il card. Pacelli (futuro Pio XII), per chiedere che la Santa Sede si pronunciasse ufficialmente contro le prime persecuzioni naziste antiebraiche in Germania (lettera che non ebbe risposta).

La sua canonizzazione sollevò molte proteste negli ambienti ebraici: primo, per il fatto che la Stein era morta in un campo di sterminio “in quanto ebrea” e non perché monaca cattolica (fu deportata da un monastero carmelitano di Echt, nei Paesi Bassi, dove si era trasferita da Colonia e uccisa al suo arrivo ad Auschwitz, insieme alla sorella Rosa Stein che, a sua volta, aveva abbracciato la fede cristiana divenendo terziaria carmelitana); secondo, perché elevandola a modello universale sembrò che la chiesa riproponesse ai fedeli quella politica di conversione degli ebrei che il magistero post-conciliare aveva di fatto rimosso e rifiutato. Ci si ricordi che negli anni Novanta del XX secolo era scoppiata anche la controversia su un convento carmelitano posto nella recinzione del campo di Auschwitz, che tendeva a “cristianizzare” quel grande cimitero ebraico e, di conseguenza, de-ebraicizzare la stessa Shoah. Materia scottante, come si vede, che occasionò tensioni e fraintendimenti, non solo in Polonia, e che si quietò soltanto quando il papa polacco ordinò alle suorine di lasciare quel luogo (cosa che avvenne).

Esattamente un anno fa sulla Stein è uscito un libro di Vittorio Robiati Bendaud, a memento dei cent’anni di quell’abiura sui generis, dato che la filosofa all’epoca, a suo dire, non si convertì al cristianesimo dall’ebraismo ma da posizioni atee o meglio agnostiche, come si diceva allora. Tale libro, che ne ricostruisce la vicenda in molti dettagli, si intitola Edith Stein. Sulla storia di un’ebrea (San Paolo, pp.158) e ha una postfazione di un’altra suora-filosofa carmelitana, Cristiana Dobner, da decenni attiva nel dialogo ebraico-cristiano. Dobner afferma che, lungi dal servire da volàno a nuove politiche conversioniste, «la densissima e drammatica esistenza di Edith Stein è stata avvertita da molti cristiani come un modo per avvicinarsi all’ebraismo, condannando l’antisemitismo e l’antigiudaismo; al contempo però – ammette – la sua conversione e la successiva canonizzazione risultano motivo di inevitabili e ben comprensibili imbarazzi e contrarierà da parte ebraica, nel timore di ambiguità insidiose e indebite cristianizzazioni della Shoah».

Interessante, a questo punto, scoprire che il suo maestro, il grande guru della fenomenologia d’inizio secolo, ossia Husserl, aveva reagito – annota un’altra studiosa cattolica della Stein – “in modo sprezzante” alla notizia della di lei conversione e in una lettera a Roman Ingarden aveva scritto: «Ciò che lei mi dice sulla signorina Stein mi rattrista… è un segno della miseria interiore nelle anime». Anche Husserl era nato ebreo, ma era cresciuto totalmente assimilato e indifferente alla vita ebraica; anzi, per ragioni accademiche nel 1887 si era fatto battezzare dalla chiesa luterana (e la sua irrisione alla notizia della conversione dell’allieva fu forse dovuta al fatto che scelse il vituperato e superstizioso cattolicesimo, invece del rigososo e puritano luteranesimo… chissà!). Certo è che la Stein, poco prima del cambio di vita, aveva rotto i rapporti con Husserl, che fu matematico e logico oltre che psicologo e filosofo, «per sfuggire – secondo un’altra biografa ancora – ai gravosi impegni di trascrizione delle lezioni husserliane». E gli esperti intuiscono quanto stress comportasse avere a che fare con quelle lezioni da mettere per iscritto.

Con tutto ciò, nulla abbiamo ancora detto della filosofia cioè del pensiero di questa donna intellettualmente eccezionale, anche solo a giudicare dal fatto di essere stata notata e accolta dal sofisticatissimo Husserl nella sua cerchia ristretta. La Stein comprese infatti la novità del metodo teorizzato dal padre della fenomenologia, in particolare dell’epoché ovvero della cosiddetta “riduzione eidetica”, che la studiosa applicò nella sua dissertazione dottorale sul problema dell’empatia umana, data poi alle stampe nel 1917. La riduzione di cui parliamo è un ‘arretramento’ e una ‘sospensione’ dei dati naturali e degli assunti delle scienze positive, che si affollano e affiorano nella coscienza umana, sospensione tesa a enucleare le condizioni di possibilità del conoscere ovvero i modi essenziali per i quali la realtà viene portata a senso nella coscienza stessa del soggetto.

Solo di questi presupposti cognitivi può darsi scienza, secondo Husserl, una “scienza eidetica” appunto.
Per molti, questo è ‘filosofese’ allo stato puro, ma qui sta il punto: risalire al più puro dei metodi per cercare la certezza nell’ambito del conoscere! Non era questo, da Descartes a Hume, da Kant agli idealisti tedesci il problema della filosofia moderna? Almeno fino ad Heidegger, forse il più famoso discepolo di Husserl e che gli succederà nella cattedra a Friburgo nel 1928. La Stein – grazie alle sue analisi sull’intersoggettività, sulla persona e sulla comunità, e più tardi sull’attualità della metafisica – si inserisce in questo ultimo, prestigioso capitolo della filosofia moderna che inaugura le due svolte novecentesche: l’esistenzialismo (cui contribuirono in modo qualificato i filosofi ebrei Buber, Rosenzweig e Šestov) e l’ermeneutica (nel cui solco troviamo Levinas, anch’egli studioso di Husserl e Heidegger, e Derrida e tanti altri).
Infinite altre cose andrebbero o potrebbero esser dette per capire la complessità e la vastità del pensiero di Edith Stein, la cui summa filosofica può dirsi l’opera Essere finito ed essere eterno. Per un’elevazione al senso dell’essere (tr. it. presso Città Nuova, 1988, pp.560). Anche da monaca continuò a studiare e scrivere di filosofia; all’ingresso ‘in religione’ aveva però assunto il nome di Teresa Benedetta della Croce, in onore della mistica Teresa d‘Avila, la cui Autobiografia l’aveva spinta al battesimo e della quale molti studiosi insistono nel dire che, almeno il padre, fosse “di stirpe ebraica”. E se nella Spagna del XV-XVI secolo l’antigiudaismo aveva cacciato gli ebrei o li aveva spinti al marranesimo, nella Germania d’inizio XX secolo, invece, l’antisemitismo inventò per loro le camere a gas e le sorelle Stein – per la logica nazista – non facevano eccezione, neppure da battezzate. Ebree erano nate e da ebree morirono. Una storia su cui riflettere prima di giudicare.

Massimo Giuliani
collaboratore

Massimo Giuliani insegna Pensiero ebraico all’università di Trento e Filosofia ebraica nel corso triennale di Studi ebraici dell’Ucei a Roma


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