Il titolo è “Paese straordinario” e va in onda da 20 anni. Ma ora il team creativo ha deciso di allargare i confini e confeziona sketch in inglese per raccontare al mondo il punto di vista degli israeliani
Quando la satira diventa l’arma più potente
“Ti va di uscire stasera?”
“Ma non possiamo. Stasera c’è Eretz Nehederet…”
“Hai ragione, mi ero dimenticato. Usciamo domani.”
Ormai gli israeliani aspettano l’arrivo di Eretz Nehederet come il resto del mondo aspetta i mondiali. Si tratta del programma satirico – ideato, nel 2003, dalla società di produzione Keshet, e distribuito in prima serata dal Canale 12 – noto per l’incredibile capacità di raccontare le diverse sfaccettature di Israele grazie a un senso dell’umorismo sovversivo che non risparmia nessuno, nemmeno la stessa televisione israeliana.
Il formato del programma, infatti, imita l’edizione televisiva di un talk show dove gli scketch, gli interventi degli “esperti” e degli “inviati” si fondono perfettamente l’uno con l’altro, integrati nella cornice dell’”edizione settimanale”, prendendosi gioco anche della stessa cultura televisiva e della più ampia cultura di massa e – oggi – dei social.
Creatore e redattore capo del programma è Muli Segev, che ha cominciato la sua carriera a 30 anni, affiancato da Dana Modan, ideatrice del nome dello show “Paese straordinario” coniato strizzando l’occhio al celebre slogan “Abbiamo un paese meraviglioso”, che Benjamin Netanyahu ha utilizzato nel corso della campagna elettorale contro Shimon Peres, vincendo le elezioni e diventando, per la prima volta, premier.
Netanyahu è sempre stato, fin dalla prima stagione, uno dei personaggi principali dello show, affiancato dalle caricature di altri famosi personaggi della politica e dello spettacolo, tutti “invitati” a partecipare al programma condotto da Eyal Kitzis, l’unico del team di attori che interpreta sé stesso, nel ruolo di conduttore.
Si tratta di uno degli spettacoli più longevi nella storia della televisione israeliana e, da sempre, coinvolge tutti: dai personaggi famosi a quelli del Grande Fratello; dai religiosi ai kibbutznikim e la politica tutta, da destra a sinistra. Tra i palestinesi: sia Abu Mazen che Hamas.
Già nel 2006, l’anno in cui Hamas prese il potere per la prima volta nella Striscia – e quando l’idea di lanciare razzi da Gaza verso Tel Aviv sembrava impensabile – il produttore esecutivo Segev spiegò al New York Times che il suo spettacolo si faceva sempre più necessario visti i tempi di tensione, avendo compreso quanto gli israeliani avessero bisogno di “liberarsi dallo stress”, attraverso la risata.
Lo aveva intuito persino il Presidente americano Barak Obama che nel 2013, durante una visita diplomatica in Israele, fece una battuta sostenendo che lo screzio avvenuto tra lui e Netanyahu era solo “un complotto per fornire materiale a ‘Eretz Nehederet”.
Per anni lo spettacolo è sopravvissuto a guerre, attacchi terroristici, pandemie, innumerevoli elezioni, e crisi democratiche: una forma di resilienza autoctona ed autentica.
I creatori e gli attori sono sempre stati uno specchio della società israeliana e dei suoi problemi interni, soprattutto in tempi di guerra e di elezioni, due fenomeni che, da quando Netanyahu è al governo – quasi ininterrottamente dal 2009 – vanno di pari passo. E che hanno raggiunto il culmine il 7 ottobre con il massacro di Hamas.
“Eretz Nehederet” non ha risparmiato nemmeno loro, al punto di cambiare il titolo in “Eretz Milchemet” ovvero “Paese in guerra”, dichiarando in modo esplicito l’intento di rappresentare la resilienza e il dolore di un intero Paese al fronte.
Ancora alle prese con le perdite e la devastazione del Sabato Nero, gli israeliani non passano giorno senza dover digerire notizie tragiche di ostaggi che hanno perso la vita, soldati caduti, continui lanci di razzi dal nord e dal sud e centinaia di migliaia di rifugiati sfollati.
Di fronte a questa situazione di emergenza la squadra di “Eretz Nehederet” ha risposto immediatamente per evitare che le tragedie della vita quotidiana potessero sopraffare quel senso dell’umorismo – antidoto tipicamente israeliano – con cui affrontare una realtà sempre più complicata e complessa. In questa stagione il premier Netanyahu ha ricevuto persino la visita del fantasma di Golda Meir, che lo ringraziava per aver commesso un fallimento dell’intelligence ancora più grande di quello che aveva portato alla Guerra di Yom Kippur, nel 1973.
Oltre ai veterani come “Bibi”, quest’anno hanno catturato l’attenzione del pubblico israeliano anche le caricature dell’affascinante – ma ampolloso – portavoce dell’IDF, Daniel Hagari, e il meschino ministro della Sicurezza Itamar Ben Gvir, che nella sua versione satirica ha già conquistato il cuore di mezzo Israele.
Ma ciò che più di tutto contraddistingue questa ventesima stagione è che per la prima volta nella sua storia hanno cominciato, in ogni episodio, a creare sketch in inglese in modo che, attraverso i social e il linguaggio pungente della satira, il messaggio possa raggiungere anche il pubblico internazionale, scagliando frecce satiriche affilate come rasoi contro quello che molti israeliani vedono come il modo parziale e ipocrita in cui il mondo occidentale racconta il conflitto tra Israele ed Hamas. Risultato: milioni di visualizzazioni in tutto il mondo e la più ampia diffusione mai registrata prima.
Abbiamo intervistato il produttore esecutivo Muli Segev per discutere il ruolo cruciale del programma nello svolgere hasbara, ovvero “pubbliche relazioni” o, più letteralmente, “spiegare” un conflitto così complesso e difficile da comprendere, soprattutto per chi non conosce a fondo la storia e la politica del Medio Oriente.
Uno dei primi sketch che ha conquistato il pubblico internazionale è stato quello girato nella “Columbia Untisemity”, un presunto campus universitario degli Stati Uniti, in cui due studenti progressisti dal genere fluido, dichiarano di appartenre allo spettro “LGBTQH” – dove la H sta per Hamas, come spiega uno degli studenti – vengono invitati da un terrorista a visitare Gaza, dove verranno gettati giù da un tetto: “Hai sentito? Vogliono organizzarci una festa sul tetto” racconta con entusiasmo uno studente all’altro. Come ci spiega Segev: “Quello cui abbiamo assistito in questi mesi nei campus americani è abbastanza inquietante. Studenti e professori sostengono apertamente il massacro del 7 ottobre, come i giovani che strappano dalle strade i manifesti degli ostaggi, alcuni dei quali sono solo bambini. È difficile comprendere come questi liberali istruiti finiscano per schierarsi con un gruppo terroristico estremista che sostiene valori completamente opposti a quelli che questi studenti affermano di avere.”
Lo sketch, infatti, cerca di mettere in luce come alcuni studenti queer – consapevolmente o inconsapevolmente – sostengano un gruppo fondamentalista che quotidianamente condanna a morte gli omosessuali lanciandoli dai tetti. “Si tratta della stessa ipocrisia delle femministe che si schierano con Paesi come l’Iran che opprimono le donne, così molte persone in Occidente sostengono un regime che afferma, pubblicamente, che Israele è il primo Paese a dover essere distrutto e islamizzato, a seguire con il resto dell’Occidente. Il problema di questi giovani e non più giovani – continua il produttore – è che raccolgono informazioni e si formano un’opinione attraverso i video di Tiktok che durano meno di 30 secondi e poi si sentono autorizzati a cantare from the river to the see, senza sapere dove questo fiume e questo mare si trovino sulla mappa geografica”.
Altro sketch che ha fatto clamore è stata l’intervista di una presunta giornalista della BBC – dallo spiccato accento britannico – al leader di Hamas Yahya Sinwar, che spiega come i “combattenti per la libertà abbiano attaccato pacificamente Israele” e si lamenta del fatto che “civili innocenti stiano cercando di fuggire da Gaza, per cui ora siamo rimasti senza protezione. E i nostri ospedali, le nostre scuole, e le nostre moschee sono tutti a corto di razzi. Come possiamo continuare ad uccidere gli ebrei in questo modo?”
Come ci ha spiegato Segev: “Gli israeliani sono molto frustrati dal modo unilaterale in cui questa guerra viene raccontata dai media internazionali, e la BBC ha da sempre rappresentato una delle visioni più estreme di questo atteggiamento parziale. Il drammatico incidente dell’attentato all’ospedale al-Shifa (che poi è risultato essere stato distrutto dagli stessi missili di Hamas, ndr.) è stato un esempio perfetto del modo in cui anche i media più affermati come il New York Time o la BBC si siano affrettati a trarre conclusioni – errate – senza aspettare di avere fonti confermate, solo perché si trattava di Israele. E ancora oggi gli stessi media, nonostante le scuse che sono stati costretti a pubblicare, continuano ad accogliere e pubblicare informazioni fornite da Hamas e a trattarle come fatti indiscutibili”.
E ancora, un altro tema assai delicato che è stato affrontato senza troppi peli sulla lingua è stata la questione degli stupri di massa e il silenzio delle femministe, incluse le funzionarie dell’ONU.
Lo sketch messo in scena dal programma mostra una commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite in cui funzionarie interrogano un terrorista di Hamas, che dichiara con orgoglio l’intenzione di aver violentato molte donne: “Capisco – afferma uno dei commissari – ma sfortunatamente questo è un chiaro esempio delle tue parole contro la loro. Quindi non sappiamo se sia sufficiente per dimostrare che sia realmente accaduto.”
“Nessun problema – risponde il terrorista – abbiamo filmato tutto. Volete dare un’occhiata?” chiede, offrendo alle commissarie il suo smartphone.
“No, no, no, non voglio vederlo, che orrore” risponde la stessa funzionaria, dichiarando che c’è un problema di “narrazione, di contesto”. E dopo aver conferito con il resto della commissione, un’altra funzionaria dichiara che invece di stupro, Hamas si è impegnato in “un atto legittimo di resistenza che si applica solo contro le donne ebree”.
Lo spettacolo ha approfittato del suo nuovo fascino internazionale per conquistare anche star d’oltremare. La visita di solidarietà dell’attore Michael Rapaport ha garantito la sua presenza nel re-interpretare della famigerata udienza del Congresso americano in cui le rettrici di tre college della Ivy League venivano interrogate dai membri del Congresso sul fenomeno dell’antisemitismo nei loro campus.
In una parodia di “Harry Potter” Rapaport interpreta il Prof. Albus Silente, preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, in cui i professori Minerva McGonagall, Severus Snape e Pomona Sprout diventano alter-ego delle tre rettrici Harvard, del MIT e dell’Università della Pennsylvania, che hanno definito il fenomeno dell’antisemitismo come legittimo “a seconda del contesto”.
Nel corso dei quattro mesi di guerra, altri attori di fama internazionale si sono prestati a recitare nel programma satirico, al fine di sostenere Israele nella sua battaglia al terrorismo.
Nel periodo natalizio non è mancata una dura rappresentazione delle battaglie mediatiche combattute sull’ipotesi che Gesù fosse di origine palestinese. Nello sketch “Il Vangelo secondo Berkeley” il comico e attore Brett Gelman – nel ruolo di un professore progressista di Berkeley – viene cosi trasportato nel tempo con i suoi due studenti che indossano la kefiah fino a raggiungere la mangiatoia di Maria e Giuseppe a Betlemme, per spiegare alla coppia che, sebbene credessero di essere ebrei, in realtà erano male informati:״ Gli ebrei sono arrivati in questa terra solo nel 1948 come potenza colonialista”, racconta il professore ai suoi studenti e alla coppia incredula.
“Aspetti un attimo – chiede allora Giuseppe – quindi il nostro bambino sarà il re dei palestinesi?”
“Esattamente – prosegue il professore – Peccato che morirà molto giovane perché verrà assassinato dagli ebrei.”
Uno dei suoi studenti chiede allora confuso: “Come hanno fatto gli ebrei a uccidere Gesù se non erano qui?”
“Ne parleremo alla prossima lezione” conclude il professore senza riserve.
Tutti gli sketch in inglese sono stati scritti dal team dello show insieme al pluripremiato comico e scrittore britannico Lee Kern, che ha co-scritto il secondo film “Borat” per Sacha Baron-Cohen.
Kern è un convinto sostenitore di Israele dal 7 ottobre ed è arrivato nel Paese già a novembre, collaborando da allora con il celebre programma televisivo. In un’intervista a Haaretz spiega di essersi unito al programma in qualità di consulente per “fare un brainstorming su alcune idee, riflettere e discutere il modo più efficace per comunicare intellettualmente al mondo anglofono”. Per come la vede Kern, il gruppo di creatori dello show deve affrontare una sfida formidabile e trovare un difficile equilibrio: “Da un lato, per avere un impatto nel mondo occidentale, devono essere taglienti, diretti, bruschi. D’altro canto ‘Eretz Nehederet’ è anche uno show televisivo nazionale per un pubblico israeliano che ha vissuto un trauma terribile e il cui morale, nonostante tutto, va tenuto alto.”
Proprio come sostiene l’ideatore del programma: “La rabbia è un ottimo fattore per accelerare la satira: per questo abbiamo elaborato gli sketch in inglese affinché il mondo potesse vedere e comprendere la nostra prospettiva, come israeliani. Sentiamo che la copertura di questo conflitto – sia da parte dei principali media internazionali che attraverso i social – è molto sbilanciata e pro-Palestinese, per usare un eufemismo. È stato molto frustrante assistere a questo doppio tradimento e, attraverso la satira, abbiamo trovato il modo di rispondere e di far sentire la nostra voce anche all’estero. Ma non ci aspettavamo una risposta di questa portata, con decine di milioni di visualizzazioni. Durante questi 20 anni di programmazione, Eretz Nehederet è stato in onda durante altre guerre ed altri eventi traumatici, incluso il Covid. Anche durante la pandemia non abbiamo mai fatto saltare uno spettacolo, perché crediamo davvero che l’ironia sia una delle migliori cure per la paura e l’ansia. È il vecchio segreto ebraico: ridere di fronte alla morte – conclude il produttore – Ma ammetto che questa volta è stata più dura che mai. L’intero Paese è ancora profondamente addolorato, ognuno di noi ha perso qualcuno, o conosce qualcuno che lo ha perso. Il 7 ottobre è stato l’evento più orribile nella storia di questa nazione, e ne abbiamo passate tante nel corso degli anni. Tuttavia, le persone hanno sempre bisogno di potersi aggrappare a qualcosa e quindi, anche quando giravano voci dicendo che era troppo presto per affrontare il tema della guerra o addirittura, che fosse inappropriato, abbiamo fatto tutto il possibile, lavorando 24/7 e correndo anche dei rischi, pur di continuare ad andare in onda. E abbiamo avuto un riscontro estremamente positivo con il più alto rating mai avuto fino ad oggi, fino a raggiungere anche un pubblico internazionale, grazie agli sketch in inglese”.
Spesso questi sketch sono stati riservati proprio alla parte conclusiva del programma, pochi minuti prima che Eyal Kitzis, come alla fine di ogni episodio, saluti gli spettatori con la sua frase ricorrente: “E non dimenticate, che abbiamo un paese meraviglioso”.
Così si chiude il sipario e quei 50 minuti di umorismo. In attesa del prossimo episodio.
L’articolo è interessantissimo ben fatto e illuminante e mostra una realtà per i più inedita che aiuta forse a dissipare questa terribile nebbia di oscurantismo attuale che sta precipitando nel buio Israele e tutti gli ebrei della diaspora. Grazie alla giornalista che ha portato allo scoperto il lavoro di questi splendidi artisti