Cultura
Erwin Blumenfeld, in mostra gli scatti tra gli anni ’30 e ’50

Conosciuto per i suoi scatti pubblicati su Vogue, il fotografo tedesco ha narrato anche la guerra, la diversità e la ribellione in chiave artistica. Al Museo d’arte e storia ebraica di Parigi

Ne hanno scritto e parlato come di un uomo ossessionato dalla bellezza, fotografo di donne magnifiche. E gran parte del lavoro più conosciuto di Erwin Blumenfeld è in effetti legato alla moda, ai servizi pubblicati sui più importanti giornali patinati, da Harper’s Bazaar a Vogue. Si dice anche che sia stato uno dei fotografi più pagati del Novecento. Non è solo di questo però che tratta la mostra in corso fino al prossimo 5 marzo al Museo d’arte e storia ebraica di Parigi. Del resto, se il titolo recita Les Tribulations d’Erwin Blumenfeld 1930-1950 qualche motivo ci sarà.

Parliamo di un artista nato a Berlino nel 1897 da una famiglia ebraica della media borghesia. Interessato alla camera oscura fin dalla più tenera età, ossia dalla prima macchina fotografica ricevuta in dono a dieci anni, Erwin non sembra però subito avviato sulla strada artistica. Anche perché a vent’anni deve già affrontare la prova della guerra. Vedrà morire il fratello Heinz al fronte e si ritroverà a guidare ambulanze, con l’ingrato compito di raccogliere le vittime sui campi di battaglia. Sconvolto, tenta la fuga ad Amsterdam durante un congedo e raggiunge Lena, cugina del suo amico Paul Citroen e sua futura moglie. Viene però riacciuffato e denunciato dallo zio, allertato dalla mamma, convinta che sia meglio morire in trincea che diventare un traditore. Basta e avanza per sviluppare un odio viscerale per tutto ciò che è guerra e violenza. E per quanti le fomentano.

Hitler, Grauenfresse (Hitler, horror’s face) Pays-Bas, 1938 © The Estate of Erwin Blumenfeld 2022

Già amico del pittore George Grosz, che definirà “l’uomo più brillante che abbia mai incontrato in tutta la sua vita” il giovane Erwin abbraccerà le istanze del dadaismo e sperimenterà le tecniche del collage, ma soprattutto farà propri i temi dei suoi amici artisti. Testimone dell’ascesa di Hitler in Germania, gli si attribuisce una frase che recita più o meno così: “Più che a chiunque altro, devo un debito di gratitudine a Schicklgruber, il führer. Senza di lui […] non avrei mai avuto il coraggio di diventare un fotografo”. Al dittatore nel 1933 Blumenfeld dedica una serie di sovrapposizioni fotografiche. Nella più nota, utilizzata nel 1943 come materiale di propaganda antitedesca, al volto di Hitler con svastica tatuata in fronte è sovrapposta l’immagine di un teschio. Incarnazione della morte, il führer ritorna nel 1937 nell’opera intitolata Il Minotauro o il Dittatore: una testa di vitello sovrapposta a un busto antico, simbolo della brutalità dei regimi del XX secolo.

Untitled (Margarethe von Sievers) Paris, vers 1937 © The Estate of Erwin Blumenfeld 2022

All’epoca Erwin si era già trasferito a Parigi. Prima, aveva vissuto ad Amsterdam, città dove aveva aperto un negozio di pelletteria. Fallito non solo perché l’uomo era più interessato a scattare e sviluppare foto nel retrobottega che a vendere borsette, ma anche perché il suo fornitore dalla Germania era stato costretto a lasciare l’attività in quanto ebreo. Già sposo di Lena e padre di tre figli, Blumenfeld inizia una nuova vita a Parigi nel 1936, dove si trasferisce su incoraggiamento di Geneviève Rouault, figlia del pittore Georges, da lui ritratto ad Amsterdam. È nella capitale francese che approfondisce le tecniche compositive del movimento New Vision. Il suo lavoro abbraccia l’intero processo creativo della foto, dallo scatto, spesso coadiuvato da accessori come veli, vetri e specchi oltre che da luci particolari, allo sviluppo. Nella camera oscura Erwin sperimenta tra l’altro solarizzazioni e sovrapposizioni, con effetti ottici che faranno la cifra dei suoi primi lavori, ispirati a quelli di un altro artista ebreo trapiantato a Parigi: “Quello che volevo essere era un fotografo puro e semplice, dedito solo alla sua arte, un abitante del nuovo mondo che l’ebreo americano Man Ray aveva trionfalmente scoperto”.

Untitled (Lisa Fonssagrives) for Vogue Paris, 1939 © The Estate of Erwin Blumenfeld 2022

Nello stesso periodo arrivano i primi ingaggi importanti per le riviste di moda, primo tra tutti quello del 1938 per Paris Vogue, pare grazie all’appoggio del fotografo Cecil Beaton, suo grande estimatore. Risalgono a questi anni alcuni dei lavori più noti di Blumenfeld, come gli scatti alla modella Lisa Fonssagrives vertiginosamente in bilico in cima alla Tour Eiffel, pubblicati sul numero di maggio del 1939 dell’edizione francese di Vogue. Lo stesso anno firma anche un contratto in America per Harper’s Bazaar, ma al suo ritorno in Francia l’avvento dei nazisti lo costringerà a una nuova fuga in quanto “straniero indesiderato”.

Buona parte delle prove e tribolazioni citate nel titolo della mostra riguarderanno i due anni successivi, quando Blumenfeld sarà internato in diversi campi francesi. Ottenuti i visti per sé e per la famiglia per gli Stati Uniti, si imbarcherà nel maggio del 1941, ma sarà arrestato nel porto di Casablanca e nuovamente imprigionato. Riuscirà ad arrivare a New York nell’agosto dello stesso anno grazie all’intervento della Hebrew Immigrant Aid Society.
Da questo punto in poi la vita di Erwin sembra finalmente tutta in discesa, il mondo della moda è aperto alle sperimentazioni e i direttori dei magazine sono stregati dalle sue sperimentazioni. Sfruttando le infinite possibilità della nascente fotografia a colori, l’artista tedesco proseguirà i suoi studi sul corpo femminile, spesso ricoperto solo da strisce di ombra o sovrapposto a se stesso come avviene nella serie del 1942 dedicata a Natalia Pascov. Tra le sue immagini più note, una copertina di Vogue del 1950 in cui si vedono solo un paio di labbra e un occhio truccatissimi, estremizzazione di quell’idea di bellezza eternamente ricercata. Amante delle donne, il fotografo non mancherà di inseguirne il fascino anche nella vita privata, intessendo intense relazioni non solo professionali con la sua agente Kathleen Levy Barnett, che in seguito diventerà sua nuora sposando suo figlio Heinz, e con Marina Schinz, sua assistente dal 1964. La morte, giunta a Roma il 4 luglio del 1969, non lo coglierà di sorpresa. Cardiopatico, pare che avesse intenzionalmente tralasciato di prendere le sue pasticche prima di attraversare correndo piazza di Spagna sotto il sole a picco, salendo le scale che lo conducevano all’albergo dell’amata.

Saintes Maries de la Mer, 1928 © The Estate of Erwin Blumenfeld 2022

Al di là della fine romantica e secondo la famiglia premeditata, l’attenzione della mostra di Parigi si focalizza comunque su altre questioni e su altri anni. Lontana dal gossip e in certa misura anche dall’allure del grande ritrattista di belle donne, l’esposizione si concentra sui due decenni di attività a cavallo della guerra, dalle prime ricerche dadaiste alla sua capacità di imporre le sue regole artistiche nel mondo della moda. Ideata e realizzata in collaborazione con Nadia Blumenfeld, la nipote di Erwin, la retrospettiva espone anche lavori meno noti del fotografo. In particolare, si vedono le foto scattate ai rom della Camargue durante un viaggio nel Sud della Francia del 1928 a quelle risalenti al 1947 che riprendono i riti nuziali delle popolazioni indigene del Nuovo Messico, nella comunità di San Ildefonso. Immagini rarissime che, come dichiarato dal direttore del museo in una intervista a Forward, testimoniano l’interesse di Blumberg per quanti, al pari suo anche se in altri contesti, erano considerati l’”altro”. A differenza di altre vite in tante altre occasioni testimoniate dall’istituzione parigina, però, quella del fotografo tedesco viene comunque raccontata come una storia a lieto fine. E quelle tribulations doverosamente citate nel titolo lasciano spazio al successo di un uomo il cui talento è stato risparmiato dalla tragedia.

Les Tribulations d’Erwin Blumenfeld 1930-1950, Museo d’arte e storia ebraica, Parigi, fino al 5 marzo

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


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