Cultura
Etty e Leonie

Una mostra ad Amsredam racconta l’amicizia tra Etty Hillesum e Leonie Snatager

Etty e Leonie sono due giovani amiche olandesi. Nel 1940, quando in pochi giorni l’esercito della Germania nazista occupa il loro paese la prima ha 26 anni, la seconda 22. Entrambe sono ebree. Etty è Etty Hillesum, autrice di un diario e di una serie di lettere, entrambi tradotti parzialmente in italiano dall’editore Adelphi, che rappresentano una testimonianza fondamentale degli anni della Shoah. Perché Etty è diretta, senza filtri, spesso quasi brutale quando scandaglia se stessa o meglio, come dice, il suo “caos interiore”, la sua “costipazione spirituale”. Ad aiutarla la scrittura del diario, suggerita da Julius Spier, una singolare figura dalla “personalità magica” – le parole sono ancora di Etty – sul crinale tra chiropratica, psicoterapia e analisi junghiana con cui la giovane ha una storia di amore nonostante lui sia più anziano di oltre trent’anni.

Il primo incontro con Leonie Snatager risale al 1938 in un circolo studentesco progressista frequentato da figli della borghesia colta e liberale di Amsterdam, un ambiente in cui, racconta Leonie, gli ebrei sono circa il cinquanta per cento. Quando Etty conosce Spier, anch’egli ebreo ma di origine tedesca, e viene immediatamente soggiogata dal suo fascino magnetico, ne fa il nome all’amica suggerendole di conoscerlo. Si sviluppa in breve un rapporto a tre che evolve in qualcosa di decisamente sui generis quando Etty diventa non solo l’amante ma anche la segretaria di Spier e ha così la possibilità di leggere i diari delle altre pazienti, tra cui Leonie. Judith Koelemeijer durante il recente lavoro di ricerca per una nuova biografia di Etty Hillesum ha scoperto materiali che non erano ancora conosciuti, tra cui una ricca documentazione sulla relazione tra Etty e Leonie. Il Museo ebraico di Amsterdam, che custodisce diari e lettere delle due donne, espone fino al 10 aprile una parte di questi documenti, pagine scritte e fotografie che indicano personalità, storie e scelte diverse eppure all’insegna dell’amicizia negli anni della distruzione sistematica dell’ebraismo europeo.

Julius Spier durante una sessione di lettura della mano. Alla sua destra siede Etty, 1941-1942 circa. Fotografo sconosciuto. Collezione del Museo Ebraico | ufficio stampa

Il suo amatissimo Rilke e la Bibbia, Agostino e i mistici cristiani, Dostoevskij e la letteratura russa in generale sono le letture fondamentali di Etty. Letture in buona parte suggerite da Spier su cui torna continuamente, che medita, elabora e rielabora facendone una sorta di mappa orientativa attraverso la vita e le sue asprezze. La lettura per Etty non è, o almeno non è in primo luogo, un passatempo, ma una modalità essenziale attraverso cui si dipana e prende forma ciò che è davvero importante. Fondendosi con l’esperienza di ogni giorno dà luogo a riflessioni sull’amore e il divino, il rapporto tra sessi e la condizione femminile, materia e spirito, vita e morte. Così, mentre ad Amsterdam gli ebrei sono perseguitati ogni giorno più duramente, scrive di vergognarsi per l’odio indifferenziato verso un intero popolo, i tedeschi appunto, da parte di conoscenti e amici. Non c’è condanna e peraltro la giovane sa bene che l’odio e la paura sono una reazione naturale di fronte a membri della Gestapo che urlano e usano la violenza. Una reazione naturale, ma non inevitabile. Di fronte all’odio espresso da molti tedeschi Etty invita non a rispondere con altro odio, vera “malattia dell’anima” che non ha d’altronde alcun effetto nel migliorare la condizione dei perseguitati, ma a commiserare gli aguzzini. La violenza nazista rimane evidentemente ingiustificabile, ma – ci tornerà molti anni più tardi Primo Levi nei Sommersi e i salvati – è un sistema costruito sulla sopraffazione da additare come il principale responsabile, quello che trasforma uomini comuni in persone pericolose per sé e per gli altri. L’invito è dunque non a ribattere all’odio con odio, persino in circostanze estreme, ma a “bucare” la logica dell’odio, andando a cercare almeno “un soldato tedesco kasher”, un soldato tedesco che, anche lui, soffre e che deve pur esserci. Nella formulazione di Ikonnikov, “ebbro di Dio” novecentesco che Vasilij Grossman nel romanzo Vita e destino colloca nel lager nazista, “il male non può nulla contro la bontà”, perché questa è la sola capace di ribaltare il tavolo, di cambiare l’ordine del discorso. Oppure, con Lévinas, l’infinito dello sguardo e dell’inesauribile responsabilità verso l’altro (l’Altro) che incrina la violenza della totalità. Quando gli ebrei olandesi cominciano a essere deportati nel campo di Westerbork nella brughiera desolata della Drenthe, e da lì nelle lontane fabbriche della morte polacche di Treblinka, Sobibor e Belzec, Etty sceglie di non nascondersi. Almeno dal 1942 non si fa illusioni, come emerge dalle pagine del diario, sa bene che è in corso lo sterminio organizzato degli ebrei d’Europa. La sua risposta non è la salvezza individuale ma la condivisione della sorte del suo popolo chiedendo di essere mandata a Westerbork per assistere i deportati. Siamo noi a dover aiutare Dio e non viceversa, scrive.

Leonie si trasferisce dall’Aia a Rotterdam per studiare economia, ma spesso va da Etty a praticare “la raffinata arte del gossip”. Poi il suo incontro con Spier, che suggerisce anche a lei di tenere un diario in cui provare a restituire la propria condizione interiore. Nel 1942 agli ebrei non è più consentito spostarsi e allora le due amiche rimangono separate, Etty ad Amsterdam, Leonie a Rotterdam. In un primo momento anche Leonie non cerca di nascondersi; come racconta, cambia idea quando viene a sapere che nei campi ai deportati ebrei vengono rasi a zero i capelli, e lei tiene troppo ai suoi folti capelli rossi. Solo a questo punto Leonie si nasconde e – unica della sua famiglia – sopravvive alla Shoah. Ma ammette che il modello presentato da Etty, estremo eppure dotato di una forza intrinseca, ha pesato nell’orientare le sue decisioni anche se per fortuna non fino a conseguenze irrimediabili. Dopo la guerra viene aiutata da Han Wegerif, un altro anziano ex amante di Etty – nel diario chiamato affettuosamente Pa Han -, frequenta un gruppo di sionisti che si prepara a emigrare nella Palestina mandataria ma cambia presto idea. Come dice Pa Han, Leonie è un’economista, non una contadina. Nel 1948 emigra negli Stati Uniti, sposa l’americano Walter Penney con cui ha tre bambini e lavora per la Banca mondiale.

Etty nel diario parla a varie riprese di Leonie, quella “amica dai capelli rossi” a cui talvolta rimprovera di esagerare nelle reazioni emotive, così come di Etty parla Leonie nel suo. Quando Leonie scopre che Etty legge le pagine del diario che da Rotterdam invia per posta a Spier, così piene di riferimenti a inibizioni sessuali e difficoltà a relazionarsi con i famigliari, ci rimane male. Sente che la relazione a tre che si è creata pende dalla parte di Etty, alla quale vanno le preferenze di Spier. Ma non smette di ammirare l’amica. “Ogni cosa che tocca sembra colpita da una bacchetta magica”, scrive. Nell’agosto 1942 Leonie interrompe la terapia.

Etty viene deportata nel settembre 1943 con i genitori e un fratello, famoso pianista. L’altro fratello, chimico, è deportato in seguito. Nessuno sopravvive. Oggi in un angolo del Museumplein, la piazza dei musei nel cuore di Amsterdam, a poche centinaia di metri dalle tele di Rembrandt e Van Gogh, una piccola pietra d’inciampo di fronte a una delle case in cui ha vissuto la ricorda. Leonie è vissuta fino al 2013 a Greenbelt, Maryland. Dopo la morte a novantacinque anni i figli hanno scoperto in un armadio foto, documenti e ritagli di giornale e sotto il suo letto la serie completa di diari e lettere di Etty tradotti in tutte le lingue.

Giorgio Berruto
collaboratore
Cresciuto in mezzo agli olivi nell’entroterra ligure, dopo gli studi in filosofia e editoria a Pavia vive, lavora e insegna a Torino. Ama libri (ma solo quelli belli), musei, montagne

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