Cultura
Gotico italiano: l’arcana storia di Carlo Hakim de’ Medici

Tornano in libreria un romanzo e una raccolta di racconti dark dello scrittore e illustratore friulano

La letteratura gotica, quella corrente proto-horror iniziata dal Castello di Otranto di Horace Walpole nel 1764, sembra essere appannaggio del mondo anglosassone. Ann Radcliff, Matthew Lewis, Mary Wollstonecraft Shelley, Bram Stoker, Edgar Allan Poe sono gli autori più noti di romanzi e racconti accomunati da atmosfere cupe, architetture colossalmente spettrali, intrecci oscuramente romantici e protagonisti fascinosamente sovrannaturali. Apparentemente, la letteratura in lingua italiana non conobbe un fervore equivalente in tema di fantasmagorie e terrori vari. Ci sono, ovviamente, eccezioni. Una di queste – lampante per qualità immaginifica e non scevra di reinterpretazione personale – è stata recentemente riscoperta e resa disponibile al pubblico grazie al lavoro delle edizioni Cliquot di Roma. Si tratta della riedizione di un romanzo e di una raccolta di racconti brevi originariamente pubblicati negli anni ’20 del novecento da Carlo H. de’ Medici. Un autore la cui biografia misteriosa e bohémienne potrebbe essere uscita da una novella esoterica fin-de-siècle.

Carlo Hakim de’ Medici nasce il 29 agosto 1887 da Giovanni, banchiere parigino di origini ebraiche, e Maria Verstl Eichtaed. Il cognome de’ Medici fu adottato dal padre Giovanni Hakim con l’autorizzazione di un regio decreto del 1889. Il nonno paterno, Giuseppe Hakim, doveva essere amministratore della sinagoga Eliyahu Hanavi ad Alessandria d’Egitto. Dopo la morte del padre nel 1900, Carlo si trasferì a Gradisca d’Isonzo, una cittadina (in cui era presente una piccola comunità ebraica) a dodici kilometri da Gorizia, dove ancora oggi sorge la dimora di famiglia, villa de’ Medici.
Giornalista pubblicista, secondo quanto delineato nel Dizionario degli italiani d’oggi del 1928, Carlo Hakim de’ Medici pubblicò svariate opere di narrativa e saggistica negli anni ’20 e ’30: Gomòria: romanzo (Milano, Facchi, 1921) e I topi del cimitero: racconti crudeli (Trieste, Bottega d’arte, 1924) – le due opere ripubblicate da Cliquot negli scorsi due anni – ma anche Leggende friulane (Trieste, Bottega d’arte, 1924), Nirvana d’amore (Trieste, Bottega d’arte, 1925), Lettere a pinco pallino: un libro postumo (Gorizia, Edizioni abc, 1933) e Aquileia seconda Roma: una rievocazione (Gorizia, Edizioni abc, 1939).

Se questi libri sono attualmente reperibili in diverse biblioteche italiane, più complessa è la ricerca bibliografica sull’operato esoterico di de’ Medici. Ne Il libro dei libri, una rassegna libresca dell’intellettuale Roberto Mandel (Milano, Armando Gorlini, 1930, p. 108), Carlo Hakim de’ Medici viene descritto come “parigino, 42 anni suonati, ammogliato,” allievo dello scrittore decadentista Joris-Karl Huysmans (del quale Carlo tradusse in italiano il romanzo satanico Là-bas, Laggiù, per Corbaccio nel 1929) e amico di Josephin Péladan, iniziatore dell’ordine revivalista della Rose-Croix, la Rosa-Croce, che raccolse dal 1888 intellettuali ed artisti – tra cui molti pittori simbolisti come Jean Delville, Jan Toorop e Félicien Rops – dediti a all’interpretazione esoterica della tradizione teologica cristiana. Anche Carlo H. de’ Medici doveva essere in contatto con il gruppo, per il quale scrisse in francese Jésus. Pages catoliques (Parigi, Henriot et Brochard pour Éditions de la Rose-Croix, 1915). Altre opere di tema occulto, in lingua italiana, includerebbero – secondo la testimonianza indiretta di Mandel – Sul limitare dell’ombra. Iniziazione alla magia nera (Milano, Diogenes, 1911), Roma. Urbe sacra intangibile. Studio cattolico apologetico (Ordine laico dei Templari della Croce, 1914), Scintille. Brani di magia bianca ed Ecclesiaste. Pagine cattoliche.
Le tracce di de’ Medici sembrano disperdersi durante il secondo conflitto mondiale. L’ultima notizia sulla sua attività – in questo caso di scultore di lapidi funerarie – sembra collocarlo nel 1941 a Trieste, più precisamente in via Petrarca 3, secondo quanto raccolto da Daša Drndić nel romanzo documentario Trieste. Significativamente, di Carlo Hakim de’ Medici, come di ogni arcano incantatore che si rispetti, non si conosce la data di morte.

Veniamo però ai contenuti delle opere narrative di de’ Medici. Il romanzo Gomòria (nome di un’entità demoniaca, in guisa di donna bellissima, menzionata nella Pseudomonarchia daemonum di Giovanni Wierus del 1563) segue le vicende di Gaetano Trevi, rampollo trentenne di natali aristocratici che conduce una vita all’insegna della contemplazione estetica e dell’estasi carnale, come un Andrea Sperelli dannunziano o il Des Esseintes di Huysmans, in un lussuoso palazzo della Napoli d’inizio novecento. La mollezza melancolica dell’esistenza dandista, tuttavia, viene travolta dalla pessima amministrazione patrimoniale del nostro: travolto dai debiti, Trevi si congeda dall’alta società con un ricevimento di epiche proporzioni per poi ritirarsi alla Malanotte, un castello di famiglia d’imponenza gotica ma agibilità rovinosa arroccato sull’appennino abruzzese. Alla Malanotte Trevi troverà una preziosa biblioteca zeppa di volumi e manoscritti esoterici – minuziosamente elencati dall’autore – tra quali il protagonista inizierà a destreggiarsi, data la noia del regime bucolico, con l’aiuto di Zimzerla, una misteriosa adolescente zigana versata nell’occulto e nella chiaroveggenza. Per far fronte alle persistenti sventure finanziarie, Trevi si rivolgerà a un testo in particolare, il Sathan, un manoscritto medievale rilegato in pelle di infante non battezzato – uno pseudobiblion, in verità, ovvero un libro mai scritto ma citato come un’opera esistente, come il Necronomicon di H.P. Lovecraft. La familiarità di de’ Medici con i soggetti misterici è palpabile in Gomòria, che potrebbe quasi essere definito – come suggerisce Guido Andrea Pautasso nella postfazione all’edizione del 2018 – un romanzo iniziatico, alla stregua de Il volto verde e L’angelo della finestra d’occidente di Gustav Meyrink.
Di certo erede di un’intricata tradizione noir composta dalla narrativa gotico-romantica ma anche dalla letteratura francese demoniaca di Huysmans e Barbey d’Aurevilly, de’ Medici si distingue per uno spiccato sottotesto satirico. Il suo Gaetano Trevi – come pure molti dei protagonisti debosciati ed emaciati dei racconti ne I topi del cimitero – sembra quasi una caricatura autobiografica: isteria, depressione, indolenza, insoddisfazione cronica sono esposte dall’autore in tutta la loro nuda ridicolezza. All’ennui e spleen dell’eroe decadente si contrappone la veemenza erotica, più o meno ostentata, dei personaggi femminili – donne e fanciulle fatali, incarnazioni di un eros prepotente e compiaciuto, come la Luisa del racconto Per la mia pace: “Io non avevo mai posseduto una femmina più generosa, più lasciva, più calda, più lussuriosa, più femmina di lei” (pag. 43).

Per quanto questa rappresentazione narrativa del genere femminile sia forse invecchiata male ai nostri occhi, l’afflato religioso e sacrale di alcuni dei racconti di de’ Medici non smette di affascinare e parlare al lato oscuro delle coscienze contemporanee. È il caso de I topi del cimitero, racconto che dà il titolo alla raccolta, dove il lettore rimane spiazzato da una metafora teologica delicata e primitiva – quasi un richiamo inconscio alla mitologia del “formaggio e i vermi” dell’eretico cinquecentesco Menocchio, friulano anch’egli, raccontato da Carlo Ginzburg. Una patina più ebraica sembra avere, invece, il racconto Madama la Morte, con un’eco narrativa alla leggenda del golem, la creatura di creta animata da un sapiente artigiano delle parole, e un senso biblico di fugacità esistenziale à la Qohelet.
Ma l’inaspettato e oscuro talento di de’ Medici non si limita alla letteratura. Gomòria e I topi del cimitero sono infatti corredati delle illustrazioni a firma dell’autore, ristampate nelle edizioni Cliquot. Scheletri e demoni, ninfe floride e teste mozzate, alambicchi velenosi e animali stregoneschi sono tracciati con linee nere spesse e sinuose, reminiscenti delle incisioni secentesche dei manuali demonologici, beffarde ed evocative alla maniera simbolista di Félicien Rops o di Max Klinger. Carlo Hakim de’ Medici è forse una figura marginale nel panorama della letteratura italiana, eppure si fa portavoce, dal profondo della provincia goriziana, di una cultura – linguistica e religiosa – sincretica, del tutto europea. Una figura intellettuale decisamente da riscoprire, fosse anche solo per i misteri ancora da sciogliere che porta con sé.

Carlo Hakim de’ Medici, I topi del cimitero e Gomorìa, entrambi per l’editore Cliquot di Roma

Ilaria Briata
Collaboratrice

Ilaria Briata è dottore di ricerca in Lingua e cultura ebraica all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Ha pubblicato con Paideia Editrice Due trattati rabbinici di galateo. Derek Eres Rabbah e Derek Eres Zuta. Ha collaborato con il progetto E.S.THE.R dell’Università di Verona sul teatro degli ebrei sefarditi in Italia. Clericus vagans, non smette di setacciare l’Europa e il Mediterraneo alla ricerca di cose bizzarre e dimenticate, ebraiche e non, ma soprattutto ebraiche.


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