Cultura
I giovani ambasciatori della pace

Young Ambassadors for Peace è il progetto di Parents Circle, associazione congiunta israeliana e palestinese, per costruire un futuro di pace

Formare una nuova generazione di peace leaders ebrei e palestinesi, in grado di guidare un cambiamento all’interno delle proprie comunità. Dotare questi giovani di competenze come facilitatori d’incontri di dialogo, leader e consulenti per gruppi giovanili. È l’obiettivo del programma “Young Ambassadors for Peace” (YAP), avviato per la prima volta cinque anni fa da Parents Circle, l’associazione congiunta israeliana e palestinese, creata nel 1995, che riunisce oggi oltre 600 famiglie in lutto a causa della violenza, dall’una e dall’altra parte. I suoi membri – com’è noto – hanno pagato il prezzo più alto a causa del conflitto: la morte di una persona cara.

“Young Ambassadors for Peace” lavora con una trentina di giovani alla volta e prevede incontri lungo tutto l’anno. «Il gruppo di quest’anno è composto da 26 ragazzi. Una buona metà di loro appartiene a famiglie in lutto. Tutti i palestinesi abitano nel West Bank, alcuni provengono dalla città di Jenin», spiega al telefono Tamar Shamir, project manager e facilitatrice israeliana. Premette subito che parlerà anche a nome del suo collega “omologo” palestinese.

«Qualche anno fa abbiamo deciso di iniziare questo progetto perché questi giovani, che hanno tra i 18 e i 27 anni (dunque sono nati durante la prima o la seconda Intifada) rappresentano la nuova generazione. Sono loro il futuro, sia di Parents Circle che del movimento per la pace. Crediamo sia indispensabile che possano incontrarsi e conoscersi non come israeliani o palestinesi, ma semplicemente come persone». Quindi continua: «Fondamentalmente, nell’universo globale in cui viviamo, abbiamo tutti gli stessi hobby, le stesse passioni musicali… Sulla base di questo, nei nostri incontri inizia un lento processo di conoscenza reciproca. Un primo passo per l’acquisizione delle competenze che YAP intende trasmettere».

Gli incontri tra il 2022 e il 2023 si sono svolti una volta al mese, nell’arco di un weekend o di una giornata intera. Il gruppo si è riunito in diverse città e zone d’Israele e dei Territori palestinesi: dall’ufficio di Parents Circle a Beit Jala (a pochi chilometri da Gerusalemme), a scuole, ostelli e, tra gli altri, anche un campo di beduini. «A partire dal primo incontro», ricorda Tamar, «i partecipanti si sono sentiti molto coinvolti a livello personale, molto toccati dai problemi trattati. Tant’è vero che hanno fatto di tutto, durante l’anno, per non perdere nemmeno un appuntamento».

I giovani hanno affrontato le due diverse narrazioni dal punto di vista di entrambi i popoli. Hanno partecipato a lezioni di ebraico e arabo – per poter comunicare più facilmente e liberamente – ma anche di storytelling e comunicazione. Hanno visitato diversi luoghi, tra cui Haifa e la Valle del Giordano (dove hanno incontrato alcuni agricoltori locali); condiviso feste e tradizioni (come ad esempio una cena di Iftar, durante il Ramadan); discusso di quale progetto intendevano portare avanti come gruppo. Ne sono nati dei giochi per bambini, volti a facilitare la comunicazione, da proporre ai campi estivi promossi da Parents Circle, su cui a breve torneremo.

A giugno, poi, 16 di loro (8 israeliani e 8 palestinesi), sono volati in Svizzera grazie a un’organizzazione non governativa locale per trascorrere cinque giorni insieme in uno chalet. Tamar ne parla entusiasta: «È stato meraviglioso. I ragazzi hanno cucinato, gestito la casa, condiviso ogni momento della giornata lontano dai check point e da tutto ciò che normalmente li circonda… Se prima eravamo un gruppo di amici, dopo l’esperienza in Svizzera siamo diventanti una vera famiglia».

Le difficoltà però naturalmente ci sono. Eccome. Le chiediamo quali sono stati – e continuano a essere – i principali problemi e le maggiori sfide. Ci spiega che un grande shock, per tutti, è sorto, all’inizio, dal rendersi conto di essere immersi da sempre in un universo e in una narrazione molto diversa da quella dell’altro popolo. Una narrazione in cui, da una parte e dall’altra, si pensa che l’altro è essenzialmente una minaccia. Questa presa di consapevolezza si è rivelata faticosa e dolorosa.
In secondo luogo, diversi conflitti sono stati generati dal tema del servizio militare. «Il fatto che alcuni ragazzi ebrei del gruppo avessero servito da poco nell’esercito ha scatenato numerose discussioni. Lo stesso si può dire per il fatto che alcuni palestinesi erano stati, fino a pochi anni prima, “bambini delle pietre”».
Di qui, per Parents Circle, la necessità di provare a mettere questi giovani gli uni di fronte agli altri «non in uniforme, ma in abiti civili», come ribadisce Tamar, e di avviare un dialogo.

A fine luglio – come sempre negli ultimi diciotto anni – Parents Circle terrà un campo estivo per 50 ragazzi (25 palestinesi e 25 israeliani) tra i 14 e i 18 anni. «Otto giorni basati sul dialogo, la comunicazione, il divertimento», sintetizza Tamar. Per i giovani formati da lei e dal suo collega sarà una delle prime opportunità per misurarsi con quanto appreso. Alcuni di loro, infatti, saranno coinvolti come facilitatori, altri daranno un aiuto in varie forme.

Sono 50, finora, i giovani israeliani e altrettanti i palestinesi formati dal programma YAP oggi fortemente attivi in Parents Circle e in simili realtà di dialogo. Le loro testimonianze parlano da sole: riferiscono di un’esperienza radicale e di crescita personale. Una scommessa su cui vale la pena investire.

 

 

 

 

 

 

 

Giulia Ceccutti
collaboratrice

Laureata in Lettere Moderne lavora come editor di saggistica.
Segue dal 2004 la realtà israelo-palestinese e dal 2014 coordina la comunicazione e le attività dell’Associazione Italiana Amici di Neve Shalom Wahat al Salam, che sostiene l’omonimo Villaggio (‘Oasi di pace’) in Israele.
Scrive articoli di approfondimento e recensioni di libri per Terrasanta.net.
E’ autrice della guida Grecia. Luoghi cristiani e itinerari paolini (Terra Santa Edizioni, 2019).


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