Israele
I manifesti Kidnapped: storia di un progetto artistico, mediatico e politico

Sono Dede e Nitzam, street artist e coppia nella vita, gli autori dei poster dedicati agli ostaggi rapiti il 7 ottobre. Ecco come quelle immagini hanno raggiunto e invaso le città di tutto il mondo

A New York è già notte fonda quando una serie di messaggi cominciano a svegliare sia Dede che Nitzan, che il 7 ottobre si trovavano nella Grande Mela per prendere parte ad una Art Residence per promuovere l’attività di street artist provenienti da tutto il mondo.
Dede Bandaid e Nitzan Mintz – coppia nel lavoro e nella vita – sono due tra i più noti artisti di strada israeliani, ormai di portata internazionale. Assieme, erano partiti per gli Stati Uniti agli inizi di settembre, per cominciare la loro nuova avventura newyorkese. Fino a quella lunga, interminabile, notte. Tra i vari messaggi che li bombardano di amici e parenti, Nitzan riceve quello di sua zia che gli scrive: “non tornate, perché non ci sarà un Paese in cui poter tornare…”
Solo allora si rendono conto dell’entità della catastrofe in corso e, sia come cittadini israeliani che, come artisti di strada, si domandano immediatamente cosa possono fare per usare la propria creatività con lo scopo di aiutare il proprio Paese, pur se da lontano.
Nessuno dei due, da anni, fa più il servizio di riserva e, anche volendo, non ci sono più voli né posti liberi per tornare in Israele, per cui le strade di New York diventano il primo campo di battaglia per una guerra che diventa, senza nemmeno che loro se ne rendano conto, mediatica: far sapere al mondo che centinaia di civili israeliani sono stati rapiti da Hamas e portati a Gaza con la forza.

È ormai l’8 ottobre e non si sa ancora quanti siano e chi sia vivo e chi no, ma raccogliendo da Facebook le prime immagini dei presunti dispersi i due artisti cominciano a produrre i primi poster di “Kidnapped”, e a tappezzare le pareti delle metropolitane di New York.
Qualcuno li ferma e gli chiede di che cosa si tratti e solo allora capiscono quanto, più che mai, sia necessario far sapere a tutto il mondo cosa sta succedendo a Gaza.
Alcuni chiedono se possono aiutarli e se possono spedire i file da loro realizzati ad altri amici e parenti sparsi per il mondo. Cominciano così non solo a essere tappezzate le più grandi metropoli, dall’Amarica all’Australia, ma, soprattutto, le immagini dei rapiti iniziano a fare il giro del mondo attraverso i social.
Fino a quando sono le Famiglie degli Ostaggi a rivolgersi a loro, man mano che in Israele – grazie alla preziosa collaborazione tra volontari ed intelligence – inizia ad essere stilata la lista definitiva dei rapiti, e viene creato un vero e proprio sito da cui è possibile scaricare i poster, in tutto il mondo, e in 33 lingue.

I Paesi da cui sono stati scaricati i manifesti

Mentre migliaia di volontari continuano questa guerriglia urbana e mediatica, Dede e Nitzan si trovano ogni giorno, per due mesi, ad essere intervistati in tutti i media americani: tra radio, televisione e giornali ci sono giorni in cui arrivano a più di sei interviste al giorno, ma non possono più sottrarsi a quello che per loro è diventato un vero e proprio “servizio di riserva”. Hanno, infatti, abbandonato la art residence con lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale sul tema degli ostaggi e i loro poster hanno ormai raggiunto numerose sedute parlamentari in tutto il mondo, incluso il Palazzo di Vetro dell’ONU.

Si arriva così al 24 Novembre, giorno del rilascio dei primi ostaggi, quando ancora sembrava possibile che lo scambio tra gli ostaggi israeliani e detenuti palestinesi – arrestati nelle carceri israeliane per omicidio o tentato omicidio – sarebbe proseguito fino alla fine, garantendo lo status di cessate il fuoco permanente, interrotto bruscamente l’1 dicembre, con la decisione unilaterale, da parte idi Hamas, di interrompere lo scambio.
Nessun israeliano si dimenticherà mai quel giorno. Tanto meno Dede e Niztzan, dopo tutto quello che avevano fatto, lavorando, letteralmente, giorno e notte, per due mesi. Quel giorno capiscono che non è ancora finita e che era necessario continuare la loro battaglia come artisti, partecipando a Miami Art Basel con un grande progetto di “cartoni del latte” alti 3 metri come supporto dei loro poster Kidnapped disseminati per tutta la città, nei principali luoghi di esposizione della fiera internazionale.


Come ci raccontano, è stato fondamentale il ruolo della comunità ebraica e israeliana di Miami, che li ha aiutati in tutti i modi sia nella produzione che nella logistica di questo ambizioso progetto. La comunità, in generale, è stata ciò che ha reso possibile – tutt’oggi – che questo importante progetto andasse avanti con le sue stesse gambe.
Soprattutto per gli ebrei e gli israeliani che vivono all’estero che, oltre a sentirsi utili, attraverso questo progetto collettivo si sono anche sentiti uniti: “Conosciamo alcune coppie che stanno pensando di sposarsi, e che si sono conosciute di notte mentre attaccavano i poster di nascosto tra le strade della loro città”.

Proprio come Nitzan e Dede, che hanno dedicato al loro vita intera alla street art, ed è in azioni artistiche “segrete” che si sono conosciuti. Dal 7 ottobre stanno dedicando tutto il loro impegno per la salvezza degli ostaggi, e non riescono a credere che 134 si trovino ancora a Gaza e che di questi, Hamas non abbia ancora dichiarato chi sia vivo e chi no.


“A volte abbiamo la sensazione di avercela fatta solo per metà” ci dice Nitzan quasi con le lacrime agli occhi, mentre Dede ci racconta di come, fin da quella notte del 7 ottobre, non avessero alcun dubbio del fatto che questa era l’unica cosa che potevano e dovevano fare, al punto di decidere di abbandonare l’Art Residence a cui stavano partecipando, sacrificando la loro carriera artistica, pur di poter aiutare il proprio Paese.
Una cosa, però, è certa: l’arte, per loro, è politica e sono riusciti, anche questa volta, a fare politica attraverso l’arte.
E, per questo, gli israeliani, saranno loro grati per sempre.

 

Fiammetta Martegani
collaboratrice

Curatrice presso il Museo Eretz Israel, nasce a Milano nel 1981 e dal 2009 si trasferisce a Tel Aviv per un Dottorato in Antropologia a cui segue un Postdottorato e nel 2016 la nascita di Enrico: 50% italiano, 50% israeliano, come il suo compagno Udi. Collaboratrice dal 2019 per l’Avvenire, ha pubblicato nel 2015 il suo primo romanzo “Life on Mars” (Tiqqun) e nel 2017 “The Israeli Defence Forces’ Representation in Israeli Cinema” (Cambridge Scholars Publishing). Il suo ultimo libro è Tel Aviv – Mondo in tasca, una guida per i cinque sensi alla scoperta della città bianca, Laurana editore.


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