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Il carciofo alla giudia in due racconti romani

Storie da mangiare e ricette da leggere. La rubrica di cucina di JoiMag

Circa un anno fa il carciofo alla giudia era stato messo al bando dal rabbinato di Israele perché non kasher. Il problema era la possibile (benché rara) presenza di un vermetto nel cuore dell’ortaggio. La notizia aveva fatto scalpore, i quotidiani nazionali e i principali media riportavano la vicenda, dando voce alla comunità ebraica romana, assolutamente compatta nell’opporsi all’abbandono della sua antica (e golosissima) ricetta. Il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni e la presidente della comunità locale Ruth Dureghello infatti si erano fatti immortalare durante la preparazione del piatto, in occasione di Pesach.

La storia vuole che questa ricetta sia nata proprio nel ghetto di Roma e ne parlano già i ricettari del XVI secolo. Da allora, andare a Roma (se la stagione è giusta) significa anche fare una cena con carciofi.
Mark Zuckerberg se li concede sempre quando capita nella capitale e perfino Gioacchino Belli ne ha esaltato in rima le qualità: «Nun c’è principe o re, cristiano che sia, che nun magni carciofi alla giudia», mentre la Sora Lella non manca di raccontare la vera ricetta su Youtube.

Una volta cotti, i carciofi si gustano foglia per foglia: si mangiano le foglie esterne più croccanti con le dita e il cuore con la forchetta e il coltello.
I veri carciofi alla Giudia si mangiano nei ristoranti del Ghetto, dove la ricetta si tramanda di generazione in generazione. Uno dei kosher grill più apprezzati dai romani (e dai turisti) è il ristorante BellaCarne, meta di numerosi vip dello sport, della politica e della cultura.

Il vezzeggiativo “bellacarne”, nella tradizione della comunità giudaico romanesca, viene rivolto ai bambini di famiglia, accompagnandolo con un buffetto sulla guancia: suona un po’come “gioia mia”, “bello di casa”. L’ambiente è ampio e contemporaneo, con cucina e griglia a vista, pavimenti grigi, pareti di pietra e tavoli vintage.
I piatti proposti dallo chef Marco Palmieri sono totalmente kasher, con la continua supervisione in cucina  a garantire la corretta applicazione dei precetti della kasherut, la normativa ebraica sul cibo. Il carciofo alla giudia? Prima di tutto deve avere tre caratteristiche:

1) le foglie esterne devono essere croccanti come chips.
2) deve rimanere morbido all’interno.
3) deve assumere, al termine della frittura, la caratteristica forma a fiore.

La ricetta del ristorante BellaCarne parla chiaro: il carciofo perfetto appartiene al tipo Mammolo (o Cimarolo), che cresce solo nei dintorni delle campagne capitoline e che si raccoglie da Novembre ad Aprile, con un diametro di circa 10 cm, con una struttura robusta e l’interno carnoso.

Le zone di produzione comprendono le province di Viterbo, Roma e Latina, con i comuni di Montalto di Castro, Canino, Tarquinia, Allumiere, Tolfa, Civitavecchia, Santa Marinella, Campagnano, Cerveteri, Ladispoli, Fiumicino, Lariano, Sezze, Priverno, Sermoneta e Pontinia.

Per pulire il carciofo, è necessario togliere le foglie esterne poiché rimangono troppo dure anche dopo la cottura, tagliare il gambo a 5 cm dalla base del carciofo e levare i primi 2-3 strati di foglie, partendo dal basso verso l’alto, servendoti di un coltellino corto e affilato.

Il gambo non si butta ma, dopo averlo ripulito della parte più scura, si frigge insieme ai carciofi.

Per quattro persone, sono necessari 4 carciofi romaneschi, 1 limone Spremuto, 1,5 lt di olio extravergine di oliva, sale e pepe quanto basta.

Immergete i carciofi in abbondante acqua fresca e succo di limone per circa 10 minuti, poi sgocciolateli e batteteli tra loro per allargare le foglie.

Mettete i carciofi, con il gambo all’insù, in una pentola a bordi alti riempita di olio extravergine di oliva, riscaldato a fuoco moderato.

Lasciateli cuocere per 15 minuti a fuoco costante, fino alla prova forchetta (o stuzzicadenti): se entra senza ostacoli fino al cuore del carciofo, è pronto.

Se la forchetta (o lo stuzzicadenti) fa fatica, ripetere l’operazione dopo un minuto.

La prima frittura è terminata con successo quando il colore è leggermente dorato e, all’interno, la consistenza è abbastanza morbida.

Scolate i carciofi e lasciateli a gambo insù per 15 minuti su carta assorbente, in modo che perdano tutto l’olio in eccesso.

Girate i carciofi, schiacciateli delicatamente con una forchetta per dargli la tipica forma a rosellina e aggiungete sale e pepe quanto basta.

Spruzzate un po’ di acqua fresca sui carciofi, per farli diventare più croccanti, e rituffateli nell’olio portato nuovamente a una temperatura superiore a quella della prima frittura.

Lasciateli sul fuoco per 1 minuto, scolateli con un mestolo bucato e portateli a tavola.
I segnali di un carciofo alla Giudia cotto perfettamente stanno nelle foglie esterne, che devono essere di colore marrone scuro e croccanti come chips.
Del carciofo non si butta via nulla, neppure il gambo tagliato o le foglie che si perdono durante la frittura: sarebbe un delitto per le nostre papille gustative.

Leggermente diversa la ricetta dello storico Giggetto al Portico D’Ottavia, attivo dal lontano 1923, uno dei ristoranti più frequentati e apprezzati del Ghetto.
La storia di “Giggetto al Portico D’Ottavia” inizia quando, reduce dalla prima guerra mondiale, Luigi Ceccarelli detto “Giggetto” e la sua consorte Ines non si lasciarono sfuggire l’acquisto di una vecchia osteria che divenne famosa per il buon vino di Frascati e per le pregevoli pietanze accuratamente preparate dalla “Sora Ines”; una fra tutte: gli insuperabili “carciofi alla giudia”.
Pochi sanno che da Giggetto si è già arrivati alla terza generazione, infatti Franco Ceccarelli è già coadiuvato dal figlio Claudio, il nipote di chi ha voluto fortemente tenere viva la realtà della vera “osteria romana”.
“Il carciofo è sempre stato un elemento fondamentale della cucina romana– sottolinea Ceccarelli – Gli ebrei lo hanno personalizzato, chiamandolo alla giudia. Il tipo di carciofo che utilizziamo è il romanesco, che si trova nei pressi del litorale romano, in una zona compresa tra Fiumicino e Capalbio. Il terreno è sabbioso e ha dei microclimi particolari (giorno caldo, notte fredda) che ne agevolano la crescita. È tenero e grande, probabilmente la qualità migliore che esiste al mondo”.
Per ottenere un carciofo perfetto, uno dei segreti è il coltello che viene utilizzato nella fase preparatoria, il cosiddetto trincetto (lo stesso tipo che utilizzano i calzolai del Ghetto), caratterizzato una lama sottile e molto affilata, perfetta per non rovinare il carciofo e non farlo diventare nero.
I carciofi crudi subiscono una prima bollitura in olio di circa 15-20 minuti (a seconda della durezza del carciofo) a una temperatura di 130°, poi vengono fatti riposare, raffreddare e dopo, uno per uno, vengono aperti e subiscono una seconda cottura in olio a 170°, ma solo per 3 minuti.
In questo modo il carciofo acquisisce quell’aspetto tipico aperto e croccante, che lo fa sembrare quasi una rosa.
Da Gigetto il carciofo alla Giudia viene proposto come antipasto, ma c’è chi lo consuma come spuntino o come secondo dopo un buon primo piatto, a volte addirittura come fine pasto.
“Lo facciamo bene, veniamo riconosciuti per questa cosa, per cui è un lavoro che ci piace fare –spiega Claudio Ceccarelli- Nelle insegne dei ristoranti e delle osterie c’è sempre il nome del marito, Giggetto, ma chi manda avanti il ristorante sono le donne. Il nostro compito è quello di mantenere costante nel tempo la tradizione della cucina, così come ci è stata insegnata dai miei nonni”.
Una porta interna del ristorante, nei pressi delle cucine, è stata utilizzata dagli abitanti ebrei del palazzo per scappare dalle deportazioni dei nazisti. Luigi Ceccarelli era cattolico, e così ha potuto salvare decine di persone dai campi di concentramento grazie all’uscita sul retro del ristorante. Per questo la comunità ebraica di Roma ha consegnato tre anni fa una pergamena a Luigi Ceccarelli e Ines Cicala per la loro attività “ricordando quanti, a rischio della propria vita, si prodigarono per salvare gli ebrei dall’atrocità nazi-fascista”.

Il buon cibo non solo migliora la vita, ma a volte può addirittura salvarla.

Gli indirizzi:

Ristorante BellaCarne
Via del Portico d’Ottavia, 51 Tel. +39 06 68 33 104 E-mail: info@bellacarne.it, bellacarne.it

Orari d’apertura: dalle 12:00 alle 24:00
Cucina aperta fino alle 22:30 – Chiuso il venerdì a cena, il sabato a pranzo e durante le festività ebraiche.

Giggetto al portico D’Ottavia
Via del Portico d’Ottavia 21/a-22 Tel – 066861105 email – info@giggetto.it, giggetto.it

Orari d’apertura: martedì – domenica 12:30-15:00, 19:30-23:00

 

Gabriele Antonucci
Collaboratore

Giornalista romano, ama la musica sopra ogni altra cosa e, in seconda battuta, scrivere. Autore di un libro su Aretha Franklin e di uno dedicato al Re del Pop, “Michael Jackson. La musica, il messaggio, l’eredità artistica”,  in cui ha coniugato le sue due passioni, collabora con Joimag da Roma


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