Cultura
Il caso Pasternàk nell’anniversario della morte

Storie intorno a “Il dottor Živago”

Non pubblicare il Dottor Živago? “Equivale a commettere un crimine contro la cultura”, diceva Pietro Zveteremich, che sarebbe presto diventato il traduttore in italiano del romanzo, commentando il manoscritto con l’editore Giangiacomo Feltrinelli prima della pubblicazione. Quello che a metà degli anni cinquanta nessuno immaginava era che il libro di Pasternàk avrebbe dato avvio a una storia di minacce, ritorsioni e spionaggio internazionale con il coinvolgimento dei servizi segreti americani e sovietici, alla trasformazione del romanzo in un simbolo della libertà di pensiero, per gli uni, di bieco spirito controrivoluzionario per gli altri. A un caso letterario ma anche politico e ideologico per tutti, molto oltre le intenzioni dell’autore e l’evidente valore estetico dell’opera. Il premio Nobel e un film di grande successo, ma artisticamente inadeguato, consegneranno definitivamente Živago al mito.

Prendiamo in mano un filo per provare a dipanare la matassa confusa degli eventi. Boris Leonidovič Pasternàk, tra i numerosi importanti scrittori russi ebrei del Novecento, è già un affermato poeta quando, negli anni quaranta, comincia a scrivere il romanzo che lo renderà famoso in tutto il mondo. Nell’Autobiografia, pubblicata in italiano nel 1958, Pasternàk ricostruisce il proprio percorso intellettuale, ricco di contatti con la filosofia neokantiana (segue a Marburg i corsi di Hermann Cohen prima della Grande guerra) e con futuristi, decadentisti e avanguardie da Skrjabin a Majakovskij, da Belyj a Blok, da Mandel’štam fino a Ehrenburg. Dopo la morte di Stalin (1953) la stretta del regime sulla cultura allenta solo in parte la presa, e in ogni caso prosegue l’applicazione di una censura ferrea. Pasternàk nel 1955, contando sull’inizio di una nuova stagione, consegna il dattiloscritto del Dottor Živago a due riviste per la pubblicazione, che viene immediatamente bloccata. Un anno dopo però l’autore riesce a entrare in contatto con Sergio D’Angelo, un giornalista italiano che da Mosca collabora con la casa editrice Feltrinelli, nata a Milano non molto tempo prima, nel 1954. D’Angelo, che ricostruirà la storia di cui è uno dei protagonisti nel volume Il caso Pasternàk: storia della persecuzione di un genio (Bietti 2006), convince lo scrittore a cedere all’editore italiano i diritti per la pubblicazione. “Fin d’ora voi siete invitati alla mia fucilazione”, commenta Pasternàk. D’Angelo consegna personalmente a Giangiacomo Feltrinelli il testo, che naturalmente esce clandestinamente dall’Unione Sovietica.

E’ a Milano, nei mesi che precedono l’uscita del libro, che esplode il caso: politico, prima ancora che letterario, visto che nessuno o quasi ha ancora letto il romanzo. Feltrinelli comincia a subire pressioni e addirittura minacce da Mosca e dal Pci, il partito al quale pure è legato, perché rinunci a fare uscire il volume. Ma questo è poco rispetto alle intimidazioni alle quali Pasternàk, che vive in Unione Sovietica, viene sottoposto dall’Unione degli scrittori e addirittura direttamente dal Comitato centrale. Carlo Feltrinelli, figlio di Giangiacomo, dedica al caso molte pagine di Senior Service (Feltrinelli 1999) e riporta i testi di telegrammi estorti con la violenza a Pasternàk in cui l’autore chiede di fermare la pubblicazione. Ma è ancora D’Angelo a scrivere all’editore di non cadere in trappola: “P. [Pasternàk] ti raccomanda di non tenerne conto e non vede l’ora che il libro esca”.

15 novembre 1957: Il dottor Živago esce in libreria in Italia in prima edizione mondiale. Nel volume il testo è preceduto da una nota dell’editore che si sofferma sull’importante questione dei diritti d’autore. Poiché l’Unione Sovietica non aveva aderito alla Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie, gli editori stranieri potevano pubblicare il libro liberamente oppure aspettare l’uscita in Russia e ottenere così l’esclusiva mondiale. Feltrinelli aspetta notizie da Mosca ma quando è ormai chiaro il gioco degli organi sovietici rompe gli indugi e pubblica, trasformando di fatto Il dottor Živago in un libro italiano. Del libro, in edizione cartonata con sovracoperta illustrata da un bel disegno del pittore Ampelio Tettamanti, solo il primo giorno sono vendute circa 6000 copie. A dicembre 1958, dopo poco più di un anno, viene raggiunta la venticinquesima ristampa, mentre Feltrinelli firma contratti per la traduzione del libro in decine di paesi (tra le prime versioni, anche quella in ebraico).

Il lancio viene accompagnato da una campagna pubblicitaria fuori dal comune, con Feltrinelli che non bada a spese per promuovere quello che è certamente un capolavoro letterario, ma anche caso politico, fenomeno sociale, evento di costume. Da Italo Calvino a Cesare Cases, da Paolo Milano a Guido Piovene è una pioggia di apprezzamenti sulle terze pagine dei quotidiani. Unica stroncatura, peraltro del tutto prevedibile, quella di Mario Alicata sull’“Unità” del Pci, che parla di “pamphlet politico” in cui sarebbe evidente la “mancanza di un’autentica vena narrativa”: in una parola, un romanzo “per il tono e l’accento, apertamente controrivoluzionario”. Mentre in tutto il mondo tranne in Unione Sovietica le edizioni si moltiplicano, i servizi segreti americani cercano di utilizzare il libro nel conflitto ideologico che segna gli anni della Guerra fredda. La CIA arriva a stampare in segreto un’edizione in russo e prova a diffonderla presso i cittadini sovietici come strumento di propaganda contro il regime comunista.

Nel frattempo la condizione personale di Pasternàk si fa sempre più difficile, con attacchi subiti dallo scrittore e dai suoi famigliari, pressioni e campagne di diffamazione. Durante un’adunata pubblica il capo del Komsomol, Semitastnyj, definisce Pasternàk “un maiale che insozza il proprio trogolo”. Quando, nel 1958, viene annunciato il conferimento del premio Nobel, la situazione si fa rovente. Sebbene Pasternàk fosse già noto prima del Dottor Živago, tanto da essere stato candidato al Nobel in sette precedenti occasioni, il premio assume immediatamente il significato di una critica a Mosca, alla rivoluzione, al comunismo. L’autore viene espulso dall’Unione degli scrittori, perdendo così il diritto alla casa e ogni possibilità di guadagnarsi da vivere con la letteratura. Mentre i giornali del regime liquidano lui e il romanzo come antisovietico e vengono organizzate manifestazioni di protesta, le pressioni crescono al punto da costringere Pasternàk a rinunciare al Nobel per non mettere davvero a rischio l’incolumità fisica propria e delle persone a lui vicine.

Altro momento nodale per la fortuna del Dottor Živago è l’uscita del film omonimo nel 1965 con Omar Sharif, Julie Christie e Rod Steiger. Prodotto dalla MGM con un budget imponente, è diretto da David Lean, allora famoso per gli ottimi risultati di pellicole come Il ponte sul fiume Kwai e soprattutto Lawrence d’Arabia. L’esito, soprattutto se si considera l’altrove dimostrata abilità del regista, è a quasi unanime parere della critica di esemplare bruttezza. Come scrive Alberto Moravia, il film “non riprende né la poesia né l’ideologia di Pasternàk”, e opera invece “la solita trasformazione della storia in melodramma”. Non c’è più traccia della tensione intellettuale, delle fini descrizioni paesaggistiche e dello stile poetico di Pasternàk, persi a vantaggio esclusivo di una storia d’amore con poco di originale. Questo però non impedisce, ma al contrario favorisce, uno strepitoso successo al botteghino e il conferimento di numerosi premi, tra cui cinque Oscar, e porta a un ulteriore rilancio delle vendite del libro, che adesso viene pubblicato anche in edizioni popolari con in copertina fotogrammi tratti dal film.

Non sappiamo che cosa lo scrittore avrebbe pensato della trasformazione di un capolavoro della letteratura in un film orribile. Solo nel 1988, nel contesto mutato dalla campagna per la trasparenza (glasnost’) voluta da Gorbačëv, Il dottor Živago esce finalmente anche in Unione Sovietica. Troppo tardi per Pasternàk, che era morto di tumore ventotto anni prima della pubblicazione nella sua lingua e cinque anni prima del film. Era il 30 maggio 1960, esattamente sessanta anni fa.

Giorgio Berruto
collaboratore
Cresciuto in mezzo agli olivi nell’entroterra ligure, dopo gli studi in filosofia e editoria a Pavia vive, lavora e insegna a Torino. Ama libri (ma solo quelli belli), musei, montagne

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.