Raccolte in un saggio le storie di donne vivevano la cultura, la conoscenza, l’educazione, i valori ebraici, come patrimonio da condividere con gli altri e soprattutto con le altre
È uscito da poco, a fine aprile, un saggio davvero notevole, per l’editore Guerini e associati, a cura di Elisa Bianchi e Paola Vita Finzi. Si intitola Donne ebree protagoniste tra il XIX e il XX secolo e raccoglie i saggi di studiose e storiche che hanno fatto un lavoro monumentale di ricostruzione, ammirevole sia per mole e quantità di informazioni sia perché si sofferma su ritratti ben delineati, raccontandoci vite di donne incredibili.
Il tema e il taglio del saggio è particolarmente interessante: il contributo di tante donne ebree alla “costruzione” delle donne italiane, al femminismo e all’educazione del nostro paese. Si parla proprio di “costruzione”. Molte delle donne menzionate, da Anna Kuliscioff, forse la più nota, compagna di Filippo Turati a Aurelia Josz, venivano da fuori e arrivavano in Italia con un bagaglio di cultura cosmopolita sicuramente superiore a quello di una donna italiana media, che al massimo poteva ambire a diventare maestra. Non si limitavano a saper leggere e scrivere. Parlavano molte lingue, avevano competenze specifiche, tecniche, non astratte o generiche. Erano, una definizione dello storico Yuri Slezkine, delle mercuriane, aggettivo ispirato da Mercurio, il patrono di chi rompe le regole e passa i confini, facendosi intermediario. In questo caso di un sapere, di una conoscenza che andava condivisa, secondo il principio della tzedakà. In ebraico questa parola è comunemente tradotta con elemosina, ma la radice è Tzadek, giustizia. Donare agli altri infatti non è un atto di mera compassione e benevolenza, è una missione umana, un dovere. Davanti al bisognoso, a chi ha meno, bisogna dare per ristabilire un equilibrio. E’un piccolo tikkun olam. Ecco, queste donne vivevano la cultura, la conoscenza, l’educazione, i valori ebraici, come patrimonio da condividere con gli altri e soprattutto con le altre. Ovviamente essendo donne e straniere non ebbero strada facile. Erano meravigliose ma pericolose, anche se molte di loro, e forse non fu un caso, vissero e operarono a Milano. Una città speciale nei primi del Novecento, aperta al flusso con l’estero, disponibile all’integrazione e agli esperimenti sociali. E’ a Milano che viene creata la Società umanitaria, fondata da Prosero Moisè Loria, imprenditore che concede un concreto lascito iniziale. Diventerà “il porto dei viandanti della sfortuna” dove affamati, prostitute, donne in difficoltà troveranno sostentamento ed educazione.
I ritratti, curati minuziosamente dalle varie storiche che non cito singolarmente ma ringrazio tutte, ci fanno conoscere per esempio Aurelia Josz, pedagogista, insegnante, scrittrice, fondatrice di una scuola innovativa “all’aria aperta”, in rapporto con la natura. Il cognome Josz, forse è un caso, sarà ripreso da Giorgio Bassani e attribuito a un suo personaggio, Geo Josz, protagonista del racconto “Una lapide in via Mazzini”: sarà stato un omaggio? Si occupa di agraria anche Olga Lombroso Fiorentini, la figlia ribelle di quel Cesare Lombroso, padre ingombrante; mentre la sionista Hannah Maisel pensa a una “Fattoria delle fanciulle”, dove le ragazze possano dedicarsi all’agricoltura, che diventerà una delle esperienze fondanti dello stato di Israele. Altre si concentrano sul settore tessile. Anna Kuliscioff, in origine medico, una professione che esercita a Milano insieme alla filantropa Alessandrina Ravizza, si dedicherà alla politica e darà vita insieme a Filippo Turati al giornale “La Critica sociale”. Lottò per il suffragio femminile e quando morì nel 1925 i fascisti si scagliarono contro le carrozze del suo corteo funebre. Donne notevoli, quindi, vere protagoniste, che possiamo conoscere grazie al lavoro paziente di altre donne che hanno davvero fatto un’opera di “tzedakà”, di condivisione delle loro fonti, creando una catena transgenerazionale generosa che arriva fino a noi. E non deve essere stato facile ricostruire tanti percorsi femminili “ebraici”, dato che dopo il 1938 molte di queste “protagoniste” sarebbero dovute fuggire e la guerra ha sicuramente impoverito gli archivi e falciato via documenti e dati importanti. Questo rende il saggio ancora più prezioso. Da leggere assolutamente.