Cultura
Il tikkun olam di Olivia Newton John

Ritratto inedito di un’icona del nostro tempo: proveniente da una famiglia di ebrei tedeschi sfuggiti alle persecuzioni in Inghilterra, nonno premio Nobel per la fisica e padre agente segreto che ha partecipò alla cattura del criminale nazista Rudolf Hoess

Quando muore qualcuno di Hollywood, un attore, un regista, ormai mi viene spontaneo chiedermi: sarà stato ebreo? Purtroppo su internet esistono davvero degli elenchi di “personaggi famosi ebrei” che mettono i brividi perché richiamano le terribili liste persecutorie e antisemite che tutti conosciamo. Nel mio caso, essendo una correligionaria, la mia curiosità è più innocente, sfiora casomai il pettegolezzo o il gossip. In fondo Hollywood fu creata da attori ebrei in incognito e, soprattutto nel caso delle seconde o terze generazioni, non è sempre facile capire se in famiglia c’era una nonna o una mamma di fede ebraica, specie se ti chiami non Rachel o Sarah ma Wynona, come la Ryider. Così ho rifatto il solito giochino macabro anche quando è morta l’adorabile Sandy di Grease, la seconda Doris Day ma  simpatica del cinema e della canzone americani, Olivia Newton John.

Ed ecco aprirsi la biografia che ormai tutti hanno commentato in questi giorni: proveniente da una famiglia di ebrei tedeschi sfuggiti alle persecuzioni in Inghilterra, nonno premio Nobel per la fisica (in un video trovato su YouTube, Newton John commenta così, con nonchalance, una fotografia del periodo universitario del suo illustre antenato: ecco, qui c’è il nonno, questo accanto è Albert  Einstein e questa è Marie Curie – quando noi al massimo in classe avevamo uno che è diventato calciatore in serie B e per questo ci sentivamo un po’ importanti), padre agente segreto che ha collaborato alla cattura di Hoess. Mica male come back ground per Sandy, chi lo avrebbe mai detto.

Quando scopro che uno degli artisti di Hollywood ha origini ebraiche però il secondo passo è chiedermi: che fine hanno fatto? Mi domando per esempio se la famiglia ne avrà parlato ai discendenti, se avrà rimosso il passato, che tipo di relazione esisteva con le radici prima etc.  Perché, quasi sicuramente,  esiste un momento nella vita in cui il proprio essere ebrei torna fuori, anche se l’avevamo gettato come un sassolino in un pozzo. La memoria è un sasso, ma magico: sa galleggiare, tornare in superficie. Infatti nella sua biografia scritta in tarda età  nel 2019 (che porta un titolo che si presta a varie interpretazioni, Don’t stop believe it) Olivia ne parla, eccome. Dice di sentirsi orgogliosa e riporta anche una bella frase detta da suo nonno: non esiste una sola verità, chi pensa questo non può che essere destinato a fare del male. Una frase forse da fisico amico di Einstein (“tutto è relativo”) ma anche un concetto molto ebraico. Newton John prima che essere attrice era cantante – era quella con meno esperienza professionale sul set di “Grease”, la volle a tutti i costi John Travolta già star dopo “La febbre del sabato sera” e fece centro. Aveva una voce d’angelo. La cosa curiosa è che in un uno dei suoi ultimi album “Grace and Gratitude” del 2006 inserì alcuni riferimenti alla Cabala chiamando parti del disco con i nomi di due sefirot dell’albero della vita, Tiferet  e Hod.  E anche questo è stato ampiamente citato sui giornali, anche se con ogni probabilità la maggior parte dei lettori non sa cosa siano le sefirot e quando si parla di Kabbalah (lo scrivo all’americana per un motivo) pensa immediatamente a Madonna. E qui si apre un capitolo interessante, su cui varrebbe la pena scavare.

L’ebraismo a Hollywood è diventato interesse cabalistico. Al famoso Kabbalah Center di Los Angeles, gestito dai coniugi Berg che si sono rivelati alla fine due lestofanti o comunque più attaccati al denaro che al misticismo, si sono recate star del calibro di Kushner, Demi Moore, la stessa Ryder, Lindsay Lohan e pure Britney Spears che si è tatuata – così riporta il gossip – “uno dei tanti nomi di Dio” (vorrei sapere quale, dato che non si può nominare) dietro la nuca. Ebrei e non ebrei, in cerca di luce, sono corsi a comprarsi braccialetti rossi in grado di risollevarsi dopo il divorzio e di infondere energia per sconfiggere droga e alcolismo  Madonna stessa ha cercato di riempire la sua piscina di una non meglio precisata acqua cabalistica venduta dai Berg e alla domanda chiave, perché abbia scelto proprio la Cabala invece del pilates, ha risposto serafica: per essere felice. Perchè non Scientology allora, come l’amico Cruise o lo stesso Travolta? ha incalzato l’intervistatore maligno. Beh, ognuno fa come vuole, se Tom (Cruise) è felice a credere, che so, nelle tartarughe che lo faccia pure, ha risposto Esther Ciccone (questo il nome ebraico che ha scelto – per l’appunto l’eroina dell’unico libro che non ha origine ebraiche ma babilonesi, ma son dettagli).

Il punto è proprio questo: la religione deve renderci felici. Da qui sono partite una serie di contestazioni da parte di rabbini ortodossi inviperiti che hanno ricordato – senza essere troppo ascoltati – che l’ebraismo è una religione che esige studio, che la Cabala dovrebbe essere studiata dopo i quarant’anni non perché si diventa dei miliardari annoiati che non sanno come riempire le giornate ma dato che si suppone che si abbia maturato una conoscenza profonda della fede dovuta ad anni di studio. L’ebraismo è una religione del fare, delle azioni concrete, non delle chiacchiere. Invece questo rimane della Torah a Hollywood: una spolverata di memoria per chi ha lontane origini ebraiche, un profumo di misticismo scadente, di secondo mano, quel tanto per sentirsi fighi, interiori in un mondo votato all’apparenza e alla ricchezza materiale. Che tristezza. Così per un attimo ho avuto paura che anche la dolce Sandy non fosse rimasta immune, che avesse scelto la strada facile e un po’ volgare della religione all’acqua di rose (o acqua santa, secondo i Berg).

Sono andata a visitare il sito della sua fondazione, l’Olivia Newton John Centre per la ricerca sul cancro – è stato proprio quello al seno tornato tre volte che ha costituito una battaglia durissima per l’attrice-cantante..Temevo di trovare delle motivazioni new age, invece si parla di benessere, si dice che il malato deve credere nella positività, trovare la sua motivazione. Parole rischiose nel caso della malattie gravi, a volte i pazienti si aggrappano solo a quelle sminuendo la parte scientifico. Ma non la nipote del premio Nobel, il fisico Max Born, l’amico di Einstein. Nel sito si ritrova la stessa gentilezza e pulizia che tanto ci hanno fatto innamorare del personaggio di Sandy che canta “ senza speranza devota a te”, facendoci illudere che l’amore sia per sempre. Perchè pare che Newton John non portasse maschere, che fosse così come appare nel film: solare, schietta, “the nicesi person ever met”. Che fosse luminosa, ma non quella luce al neon della Kabbalah da tre soldi. E dalle sue parole, dal suo impegno in effetti questa genuinità traspare e si capisce che per lei la fede nella vita o in Dio non fosse destinata a rendere felice lei e basta. Penso che il suo ebraismo fosse finito lì: nel voler fare del bene agli altri, perché il fine ultimo dell’essere ebrei non è gratificarese stessi ma provare a diventare giusti.  Che l’attivismo non costituisse un vezzo, una vanità, ma davvero un suo personale, sincero “tikkun olam”.

 

Laura Forti
collaboratrice
Laura Forti, scrittrice e drammaturga, è una delle autrici italiane più rappresentate all’estero. Insegna scrittura teatrale e auto­biografica e collabora come giornalista con radio e riviste nazionali e internazionali. In ambito editoriale, ha tradotto per Einaudi I cannibali e Mein Kampf di George Tabori. Con La Giuntina ha pubblicato L’acrobata e Forse mio padre, romanzo vincitore del Premio Mondello Opera Italiana, Super Mondello e Mondello Giovani 2021. Con Guanda nel 2022 pubblica Una casa in fiamme.

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