Cultura
Jewish Jazz, ovvero Uri Caine

Ritratto del pianista americano che conclude la manifestazione jazzistica del Museo ebraico di Bologna

Benvenuti al Jewish Jazz!, uno dei momenti più significativi dell’attività estiva del Museo Ebraico di Bologna che rappresenta un appuntamento già consolidato nel sistema culturale cittadino.

Un viaggio attraverso le varie esperienze musicali ebraiche, a partire da Odessa, città simbolo dell’ebraismo est europeo, con la musica dei primi esponenti del klezmer, passando alla riscoperta delle grandi canzoni yiddish del Bund e della Rivoluzione russa, per approdare alla presenza ebraica nella cultura statunitense, con il concerto del pianista newyorchese Uri Caine, protagonista assoluto dell’incontro tra jazz e tradizioni musicali ebraiche.

Dopo Messia e Rivoluzione. Storia e storie del Bund (10 settembre), concerto e reading di Miriam Camerini, e il live di Gabriele Coen Quartet, Da Odessa a New York (12 settembre), il Jewish Jazz! 2019 si chiude il 14 settembre con l’atteso concerto in piano solo di Uri Caine, muicista straordinariamente creativo, in grado di passare con naturalezza dalla classica al jazz all’elettronica, rimescolando i generi in una sintesi originale. Non è semplice catalogare la musica di un artista eclettico Caine in un solo genere. Il New York Times lo ha descritto come «un uomo di idee», una definizione azzeccata per il suo eclettismo.

Con ventisei album all’attivo, innumerevoli e prestigiose collaborazioni con protagonisti del jazz e della musica classica internazionali e svariati premi, è naturale iscrivere il pianista fra le figure che hanno contribuito maggiormente ad ampliare e ridefinire il linguaggio jazzistico degli ultimi trent’anni.

Oltre alla ben nota capacità di creare e ricreare richiamando a pagine storiche della musica classica e della tradizione ebraica, si è anche tuffato nella ricca contemporaneità statunitense in un dialogo con la tradizione di grande bellezza e intensità.

Il suo strumento, a seconda delle necessità, si trasforma in percussione o in una vera e propria orchestra.

Nel suo approccio allo strumento si tendono vicendevolmente la mano i due estremi del pianismo jazz, lo stride ed il barrelhouse da una parte, l’urlo informale dall’altra. Il collante della sua musica è sempre il ritmo, che Caine frammenta, divide, moltiplica, indagandolo in tutte le sue possibili varianti.

Il pianista ha suonato e composto per solo, trio, quartetto, orchestra, affrontando i più svariati repertori ed interagendo con una miriade di musicisti, da Sonic Boom ad Han Bennink, dal Philly Sound a Bach.

“Amo la musica che ha un carattere ed un’energia speciale, un’architettura unica o un’emozione forte, un suono diverso”, ha dichiarato in una recente intervista a Il Manifesto.

Nato a Filadelfia nel 1956 da una famiglia di intellettuali, Caine inizia a cantare in ebraico il venerdì sera al tavolo della sua famiglia, per poi innamorarsi, da adolescente, dal suono del pianoforte.

La sua poliedricità è probabilmente merito del maestro francese Bernard Pfeiffer che, oltre a spiegare i fondamenti del pianoforte e della composizione, gli insegna come smontare un brano jazz e ricomporlo in mille altri modi.

Nel 1992 incide insieme al clarinettista Don Byron Sphere Music primo disco a suo nome, una originale mescolanza di jazz, classica e klezmer. Una tappa fondamentale della sua carriera è l’album Urlicht/Primal light, col quale inizia a rileggere in modo sorprendente i classici di Mahler, Wagner, Bach, Schumann e Mozart.

Alla fine degli anni Novanta diventa un elemento imprescindibile del gruppo del trombettista Dave Douglas, mettendo a disposizione della formazione tutta la sua inventiva. Uno dei suoi album più ispirati e maturi è certamente Live at The Village Vanguard da molti considerato il suo capolavoro, registrato presso lo storico locale newyorkese nel 2003. Quest’ultimo, un piccolo seminterrato del Greenwich Village, è stato teatro di alcune delle più importanti incisioni della storia del jazz, come Sunday at the Village Vanguard di Bill Evans e Live at the Village Vanguard di John Coltrane. Con questo disco Cane è tornato all’antico amore per il jazz, con standard come All the way, Cheek to cheek e I thought about you, senza dimenticare la straordinaria rilettura di Nefertiti di Wayne Shorter. Non mancano, però, alcune composizioni originali, tra cui spiccano Stiletto e Go deep.

Uri Caine al Jewish Jazz il 14 settembre, cortile del Museo Ebraico di Bologna, ore 21

Gabriele Antonucci
Collaboratore

Giornalista romano, ama la musica sopra ogni altra cosa e, in seconda battuta, scrivere. Autore di un libro su Aretha Franklin e di uno dedicato al Re del Pop, “Michael Jackson. La musica, il messaggio, l’eredità artistica”,  in cui ha coniugato le sue due passioni, collabora con Joimag da Roma


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