Cultura
La Knesset che verrà

Finita la corsa del voto, al via la corsa all’accordo tra partiti: qualche spunto a due giorni dalle elezioni israeliane

Più o meno alle 23 della sera del 17 settembre, un tweet di Shoshanna Keats Jaskoll – collaboratrice di diverse testate, tra cui il Jerusalem Post e The Times of Israel, in queste elezioni ha partecipato come scrutatrice – ha tentato di richiamarci alla ragione: “Per favore non affannatevi a credere ai sondaggi. Non ne vale la pena. Andate a fare sesso, che oggi non avete potuto, bevetevi una cosa e tornate al mattino. Intanto io tra un minuto inizio a contare i voti”.

Facile a dirsi. Perché i sondaggi delle elezioni sono quella cosa che ogni volta ti riprometti di prendere con le pinze e poi va sempre a finire che la stringi forte con tutte e due le mani. E quando lo spoglio delle schede a malapena ha superato la metà già si diffondono le manifestazioni di festa e di delusione, i comunicati del leader di turno alla nazione e, soprattutto, le analisi del voto e le previsioni sulla composizione del futuro governo. A questo giro comunque, dobbiamo dire, i sondaggi ci hanno preso decisamente meglio in confronto, ad esempio, alle elezioni dello scorso aprile o ancora a quelle del marzo 2015, quando annunciavano a gola spiegata la fine politica di Netanyahu: Bibi Ha-Melekh, Re Bibi, il mago del “nessuno lo vota, ma alla fine vince”, giocatore che cade sempre in piedi grazie a un calibrato mix di conoscenza del campo e sprezzo delle regole, fagocitatore della scena politica e più che mai di questi ultimi mesi.

Sul piano interno e internazionale alla politica israeliana non mancano certo problemi e necessità di cui occuparsi, ma queste elezioni sono state principalmente un referendum per la figura di Netanyahu. Confermativo o abrogativo, è stato il dubbio amletico di tutta la campagna elettorale. To Bibi or not Bibi?, titola l’editoriale del Direttore del Jerusalem Post, Yaakov Katz, pubblicato il 17 settembre: “Questa è a domanda al centro delle elezioni: siete della fazione “Solo Bibi” o della fazione “Chiunque purché non Bibi”? Il popolo israeliano ne ha abbastanza del leader che ha avuto per dieci anni o crede ancora che – lui e lui soltanto – possa continuare a mantenere la sicurezza del paese in quella polveriera che è il Medio Oriente?”. To Bibi or not Bibi, that is the question. I risultati delle elezioni, in conformità con le previsioni dei sondaggi, sembrano decretare not Bibi. Certo, non in quel modo rovinoso che alcuni speravano e altri temevano: pur con la corona ammaccata, Re Bibi è sempre Re Bibi. Il suo partito non raggiunge i 61 seggi necessari al godimento della maggioranza parlamentare, ma questa non è un’anomalia, si inserisce perfettamente nella tipicità della politica israeliana dove tutto si gioca sull’abilità di costruire alleanze. E qui, più che dai risultati numerici in sé, potrebbe arrivare la fine politica di Netanyahu. Il leader del Likud non è mai stato un fairplayer, ma in questa campagna si è superato. Ad ascoltare i suoi comunicati, qualsiasi scelta diversa dalla sua persona, a destra o a sinistra, sarà ragione di distruzione del Paese. Non che le altre forze politiche abbiano condotto la campagna in modo molto diverso. Più che proporre programmi e offrire visioni, il messaggio di ogni partito essenzialmente è stato: “Uscite a votare e votate per noi, perché ai seggi ci sono code chilometriche di nemici [alias gli arabi, quelli di sinistra, quelli di destra, i religiosi, a seconda di] e se vincono i loro partiti Israele sarà distrutta. E voi non volete questo, vero?”.

Ora che la sbornia è passata e che servono le alleanze, sarà divertente assistere al teatro del “non è come pensi, posso spiegarti, anzi ho pure un Ministero da offrirti” che sta alla base del totocoalizioni. Come si sta delineando il post 17 settembre? 

It’s all about the Benjamins

Uno è soprannominato Bibi, l’altro Benny, ma tutti e due si chiamano Benjamin. I due protagonisti di questa storia, il reggente e lo sfidante. Su Benny Gantz, il campo no Bibi si è diviso tra chi lo ha individuato come unica ragionevole opzione per porre fine all’era Netanyahu e chi invece come un nuovo avversario, non così diverso dal precedente. Il Campo Democratico di Meretz e Barak, ad esempio, ha impostato tutta la sua campagna sullo slogan “Senza il Likud, questo è certo”, insinuando a più riprese che per renderlo realtà la prima cosa da non fare era proprio votare Kachol Lavan: come comunicato in questo video in cui un inquietante Gantz sorseggia rumorosamente una bibita con una cannuccia e la voce fuori campo mette in guardia “Quando Gantz si beve i vostri voti, si beve anche i vostri principi, anche i vostri valori…”. Ma chi è Benny Gantz?

“Per la maggioranza degli israeliani, Benny Gantz rimane un mistero”, inizia il ritratto di Noga Tarnopolsky sul Los Angeles Times. Un Benjamin vale l’altro? Niente affatto. Gantz, continua, è un anti Netanyahu sia come persona sia come politico: discreto, taciturno, una vita familiare tranquilla (moglie fisioterapista e quattro figli che non fanno politica, mentre Netanyahu, al terzo matrimonio, ha un figlio che ogni giorno fa sfiorare a Israele la crisi diplomatica su Twitter e una moglie condannata per uso illecito di fondi pubblici); una campagna elettorale rivolta alla ricerca del consenso e non all’incitamento contro l’avversario. Il ruolo di anti-Netanyahu sembra stargli bene e potrebbe essere uno dei modelli sul quale continuerà a plasmare la sua immagine. Oggi, forte del risultato delle urne, ha rilanciato il suo appello alla formazione di un governo di unità nazionale che “guarisca la società israeliana ferita”: “No all’incitamento e alla divisione, sì all’unità. No alla corruzione, sì all’onestà. No ai tentativi di distruggere la democrazia e sì al senso dello Stato e a Israele come Stato ebraico e democratico” (Eytan Halon sul Jerusalem Post). Se Kachol Lavan sarà parte del governo ancora non si sa. Quello che è sicuro è che i Benjamin della politica israeliana ora sono due. 

Lieberman è l’ago della bilancia, ma anche Odeh non scherza

Che i voti a Yisrael Beitenu sarebbero stati determinanti era cosa risaputa, ma l’altra novità di queste elezioni è che la Knesset dovrà fare i conti con la Lista Unita (tre partiti arabi più Hadash, partito misto arabo-ebraico di ispirazione comunista), guidata da Ayman Odeh. Forse questa volta Netanyahu è caduto nel tranello della profezia che si auto-avvera: a forza di gridare al lupo al lupo, di dire che gli arabi si stanno accalcando ai seggi come le cavallette delle piaghe d’Egitto, questi hanno vinto la tendenza all’astensione e ai seggi ci sono andati davvero. Come a dirgli, almeno ti allarmi per qualcosa. Non tutti gli arabi votano per la Lista Unita. Tra i 60 e i 70mila voti arabi sono andati a Kachol Lavan, come illustra Judy Maltz su Haaretz. Voti determinanti per avvicinare la fine dell’era Netanyahu: “Se alla fine Kahol Lavan è emersa come la più importante occasione politica dopo le elezioni di martedì, avrebbe da ringraziare l’elettorato arabo per questo”.

La Lista Unita ottiene alla Knesset 12 seggi, due in più rispetto ad aprile e quattro in più di Yisrael Beitenu. Si aggiudica il posto di terzo partito e soprattutto un posto nella storia, comunque vada. Odeh potrebbe essere il primo a portare una forza araba nella coalizione di governo; se così non avvenisse, gli spetterebbe praticamente di diritto il ruolo del capo dell’opposizione. Un quadro delineato da Lahav Harkov sul Jerusalem Post, che spiega la peculiarità di questa funzione: il capo dell’opposizione in Israele può infatti periodicamente accedere a una serie di informazioni riservate sulla sicurezza. Ma Odeh, per ora, sta considerando di spingere la Lista Unita ad appoggiare Gantz come primo ministro: sarebbe la prima volta dal tempo di Rabin che un premier ottiene il supporto delle forze arabe.

Superare lo stallo

Qualsiasi previsione comunque non può sfuggire alla realtà. Bisogna superare lo stallo. Le dichiarazioni d’intenti sono una cosa, accordarsi mettendo sul tavolo concessioni e sacrifici per costruire un programma politico condiviso è un’altra. Le consultazioni prenderanno settimane, scrive Ynet, ma potrebbero svolgersi più velocemente se Netanyahu e Gantz si accordassero, con o senza Lieberman. Il Presidente della Repubblica Reuven Rivlin ha dichiarato che ascolterà tutti i capi partito e farà quanto in suo potere per evitare a Israele nuove elezioni. “Le elezioni sono sempre una festa per la democrazia, ma ultimamente stiamo festeggiando un po’ troppo spesso”, ha twittato la mattina del 17 settembre. Elezioni per la terza volta? Nella politica israeliana tutto è possibile. Le prossime settimane potrebbero rivelarsi ancora più interessanti della campagna elettorale appena conclusa.

Silvia Gambino
Responsabile Comunicazione

Laureata a Milano in Lingue e Culture per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale, ha studiato Peace & Conflict Studies presso l’International School dell’Università di Haifa, dove ha vissuto per un paio d’anni ed è stata attiva in diverse realtà locali di volontariato sui temi della mediazione, dell’educazione e dello sviluppo. Appassionata di natura, libri, musica, cucina.


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