Cultura
La Libia vista da Martina Melilli. Un lavoro presentato al festival Archivio Aperto

Un film, una mostra e molte storie di famiglia per la Tripolitalians, una sezione del festival bolognese

Una storia di famiglia. Quella di nonni, bisnonni e di un padre nella Libia tra il 1923 e il 1970. Quella di una coppia che sceglie quelle terre per il proprio futuro, quella di un amore, quella di un’infanzia (forse troppo breve), quella di un rimpatrio e soprattutto quella di un lunghissimo silenzio. Lungo quanto la vita di Martina Melilli, regista e video artista, che ha voluto recuperare questo racconto mancato. Dieci anni di lavoro hanno portato alla realizzazione di My home, in Lybia, un film che verrà proiettato il 31 ottobre a Bologna nell’ambito del festival Archivio Aperto, quest’anno incentrato sulle migrazioni.

La storia è la sua. Sono i suoi bisnonni ad essere andati in Libia dall’Italia e il silenzio è quello del nonno, che non ha mai voluto raccontarsi alla nipote. Poi, un compromesso sul metodo di lavoro in cambio di partecipare al progetto della nipote. Che inizia a mettere mano all’archivio famigliare in occasione della preparazione della sua tesi di laurea. Ci vorranno circa dieci anni per arrivare al film e alla realizzazione di una mostra sul tema, grazie a una collezione di storie e testimonianze e all’immersione nelle foto di famiglia.

“C’era una grande reticenza nel raccontare quel periodo di vita nella mia famiglia” spiega Melilli, “Mio nonno è nato lì nel 1937 e lì ha conosciuto mia nonna, dama di compagnia della famiglia Cicogna, che trascorreva sei mesi a Venezia e sei a Tripoli. Mentre i bisnonni si sono trasferiti lì già nel 1923, ma di loro non sono riuscita a recuperare granché. La ricerca è stata comunque molto difficile e lunga e quando mi affacciavo alla porta delle associazioni dei rimpatriati trovavo disponibilità a raccontarmi una sola versione dei fatti, cui dovevo attenermi. Naturalmente non era quello che volevo fare: penso che l’archivio non sia materiale oggettivo, raccoglie più sguardi e più storie, in soggettiva”, spiega l’autrice.

“L’altro problema in cui sono incorsa poi era il fatto di essere tacciata di nostalgicismo… Non c’è un’obiettività nel ricordare, ognuno offre la propria visione”. Quella di Melilli era di ridare vita a un ricordo mutilato, negato o perlomeno taciuto. Così inizia un lavoro geografico con il nonno per definire il contesto che diventa poi pretesto per ritrovare quegli stessi luoghi oggi. Se nel 2010, quando tutto è cominciato, Melilli pensava di poter andare di persona a filmare quei territori, è costretta ad arrendersi poi alle enormi difficoltà e cerca un compagno di avventure sui social. Lo trova (“Una persona con un twist speciale”, sottolinea lei) e si instaura con lui un rapporto intenso, un’amicizia, che passa attraverso il materiale video che lui le invia.

Così si compone una storia tra passato e presente, tra la Libia italiana dei primi del Novecento e la Libia attuale, in un dialogo molto personale, in una relazione tra chi cerca di fuggire dalla Libia di oggi e chi non ha più potuto farvi ritorno.

My home in Libia è stato proiettato per la prima volta al Festival di Locarno nel 2018 per partecipare poi a moltissimi festival. Il 31 ottobre alle ore 18,30 sarà proiettato al festival Archivio aperto di Bologna, mentre alle 20.30 sarà inaugurata la mostra Il giorno in cui ci siamo imbarcati su questa grande nave bianca (spazio Labò) visitabile dal 4 novembre al 19 dicembre per il progetto Tripolitalians.

Micol De Pas

È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.


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