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La lingua di Mosè, un inciampo sulla soglia

Il libro “Lingua. Estetica della soglia” di Valeria Cantoni Mamiani

Il titolo di questo articolo non è esatto. Perché Mosè è egli stesso la soglia: si pone tra Dio e il suo popolo esattamente con questa peculiarità. Perché la soglia indica un confine, ma anche un legame. Soglia è ponte (eventualmente anche levatoio), che può accogliere ma anche allontanare gli altri.

Un passo indietro: Lingua. Estetica della soglia, Valeria Cantoni Mamiani, Fefè editore. Un piccolo libro- soglia che parla della lingua e del linguaggio, dell’organo che fa della bocca un luogo- soglia e del modo che abbiamo di trasformare il mondo in parole. C’è chi lo ha fatto in senso inverso: Dio crea il mondo a partire dalle parole. E “se Dio è il libro, la Sua perfezione non può essere che la lingua” come scrive Edmond Jabès in una citazione posta in apertura del primo capitolo di questo libriccino. Prezioso quanto il viaggio che propone dalla linguistica alla storia, dalla medicina alla religione, dalla musica all’arte, dal gusto all’eros, dall’amicizia alla psicanalisi, dal sesso al piacere. Si procede per gradi, oppure per associazioni, rimanendo sempre sulla soglia. Che è luogo, anche, dell’identità, molteplice e dinamica: la lingua determina chi siamo, da dove veniamo e con chi possiamo costruire senso. In questo viaggio, ci si imbatte nella figura di Mosè, un uomo che è “impacciato di bocca e di lingua”, eppure ha il compito di trasmettere la Torah al suo popolo e di condurlo fuori dall’Egitto.

Eccolo qui, il Mosè soglia e profeta raccontato da Valeria Cantoni Mamiani nel suo libro sulla lingua. Quando Dio si rivela a Mosè, scrive Cantoni, gli presenta il grande progetto che ha per lui: deve convincere il faraone a far uscire gli ebrei dall’Egitto, deve condurre il suo popolo verso la Terra promessa, deve ricevere la Torah e trasmetterla al popolo eletto. Tre cose praticamente impossibili: il faraone non ha nessuna intenzione di fare una cosa simile, il popolo va convinto e sostenuto ad avere fiducia nel suo condottiero, che dovrebbe essere un grande oratore, capace di trasmettere in modo fluido concetti difficili sia da capire sia da attuare. Insomma, ci si aspetterebbe di avere a che fare con un capopopolo che maneggia con grande maestria l’arte della parola. Ma non è prerogativa di Mosè, che peraltro era stato cresciuto dalla figlia del faraone (e dunque è percepito come un quasi straniero). E allora, si chiede Cantoni, perché proprio a lui Dio da questo incarico così immenso? Certo, c’è Aronne, fratello di Mosè, dalla lingua speditissima, cui Dio consiglia di appoggiarsi (“Parlerà lui al popolo per te: egli sarà la tua bocca e tu farai per lui le veci di Dio” Es. 4, 8-14). Dunque Mosè deve fare da tramite tra Dio e il suo popolo, deve farsi profeta, ma non ha alcuna dimistichezza con Dio e con la lingua di Abramo, balbetta e inciampa nel parlare. Ma non nell’ascoltare.

Per trasmettre un sapere occorre prima saperlo ascoltare, comprenderlo. E qui è la chiave di volta. Mosè è scelto perché è un ascoltatore eccellente: è il mediatore, sta sulla soglia. Anzi, diviene egli stesso soglia. Accoglie i precetti di Dio, che sceglie per prima cosa l’ascoltatore, Mosè, e solo dopo si preoccupa di affiancargli un oratore adeguato, Aronne. Dunque, scrive Cantoni, “prima Dio rivela, poi si occupa di rendere la sua rivelazione comprensibile, attrvaerso il Logos. Parla in ebraico, sceglie una lingua alfabetica, perché per trasmettere la rivelazione, ha bisogno di una lingua che organizza il pensiero”. Il capitolo dedicato al profeta procede poi ricordando altri balbuzienti narratori di favole, come Esopo e Italo Calvino, ma anche Cicerone, Demostene, Platone e Aristotele. Inciampano, incontrano ostacoli che devono superare con maestria. Ma sanno ascoltare, sanno “osservare se stessi con spirito leggero, un po’ infantile, ritirarsi con la lingua dai rumori mondani, inciampare, prendersi tempo, andare lenti e gettarsi nell’immaginario perennemente in dialogo con animali, personaggi surreali e sospesi, paesaggi interiori, microcreature. Farsi piccoli, togliersi di mezzo, per poter rendere grande l’altro, che sia animale, pianta, bosco”, si legge in Lingua. Estetica della soglia. Un salto temporale gigantesco, che poi prosegue con il problema della differenziazione delle lingue (qualla Babele che per il filosofo francese François Jullien è l’opportunità di pensiero), per proseguire nel dialetto, nelle malelingue, nella cucina, nel gusto, nell’eros, nel sesso.
Ma torniamo a Mosé: inciampa sulla soglia con una lingua incespicante, che necessita di un traduttore – divulgatore. Il profeta però è la soglia, crea ponti, fa da mediatore. Sa ascoltare, prima di tutto se stesso, quindi sa dare spazio agli altri, li accoglie, ma sa anche trovare strategie per affrontare le difficoltà. Per concludere con le parole dell’autrice, “La sua timidezza, la sua balbuzie e umiltà sono le caratteristiche di un ottimo ascoltatore, che il Signore sceglie per una missione di salvezza, come capopopolo. Fa riflettere, sconvolge”.

 

Valeria Cantoni Mamiani, Lingua. Estetica della soglia, Fefè editore, pp. 142, 12 euro

 

Micol De Pas

È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.


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