“Our Will to Live”, un libro che raccoglie partiture musicali, opere d’arte e 26 saggi scritti nel campo di concentramento
La vita reale, a Terezín, era lontana anni luce da quella esibita dalla propaganda nazista. E quello che veniva spacciato per un “insediamento modello”, cittadella ideale paradossalmente donata agli ebrei dai tedeschi, luogo di arte e di cultura, non era poi troppo diverso da tutti gli altri campi di concentramento. Anche qui mancava il cibo, gli spazi erano sovraffollati e la malattia si diffondeva rapidamente, tanto da causare la morte di 33mila delle 155mila persone che vi erano transitate.
Questo campo a 60 chilometri da Praga, però, è passato comunque alla storia per una sua eccezionalità, quella cioè di essere stato il luogo in cui venivano rinchiusi gli ebrei più in vista e benestanti del Reich, con una particolare attenzione agli artisti, soprattutto musicisti, provenienti da tutta Europa. A Terezín i nazisti nascondevano le loro atrocità dietro a una facciata di arte e di cultura, anche se poi quegli stessi artisti apparentemente protetti venivano lasciati morire di stenti nel campo stesso o uccisi poco dopo ad Auschwitz o a Treblinka, come accadde a 90mila di loro.
Oltre alla vernice stesa in fretta e furia sulle pareti degli alloggi in occasione delle visite della Croce Rossa o delle delegazioni internazionali, oltre alle messe in scena a uso e consumo degli ispettori di questa ex città-fortezza, esisteva però una reale corrente creativa. Loro malgrado, nello sforzo propagandistico di creare una sorta di normalità all’interno del campo da mostrare all’opinione pubblica, tra programmi culturali, esibizioni musicali, spettacoli di cabaret e conferenze, i nazisti avevano inconsapevolmente creato una “vera scuola per maestri”, come l’aveva chiamata il compositore e pianista austriaco Viktor Ullmann. Nomi del calibro di Gideon Klein, Pavel Haas, Hans Krasa e dello stesso Ullmann, pur nelle condizioni tremende della prigionia, riuscivano a comporre e a eseguire musica che ne nutriva lo spirito in mezzo alla grande sofferenza che li circondava.
Come ha scritto Ullmann, internato nel campo di Terezin nel 1942 e poi ucciso ad Auschwitz nel 1944: “La nostra volontà di creare era commisurata alla nostra volontà di vivere”. Allievo di Arnold Schoenberg e considerato dai nazisti autore di musica degenerata per le sue ricerche sulla dodecafonia, Ullman negli anni di Terezín non aveva solo composto e partecipato attivamente alla vita culturale del campo, ma aveva anche scritto su quanto gli stava accadendo intorno, dando vita a un affresco straordinario in cui si distinguono le incredibili forze creative che agivano nonostante (e in risposta a) l’oppressione.
Oggi 26 dei suoi saggi, per la prima volta tradotti in inglese anche grazie alla preziosa consulenza dei sopravvissuti, possono essere finalmente letti in un meraviglioso libro pubblicato dalla casa editrice tedesca Steidl: Our Will to Live. Dalla veste elegante di un volume d’arte, l’opera è il risultato di trent’anni di ricerche di Mark Ludwig, ex violista della Boston Symphony Orchestra e professore di musica dell’Olocausto al Boston College nonché fondatore della Terezín Music Foundation , ente no profit che fin dalla sua nascita nel 1991 recupera, conserva ed esegue la musica creata dagli artisti di Terezín. Nel libro Ludwig offre una descrizione accurata del contesto in cui Ullmann scriveva, presenta gli artisti che con lui erano rinchiusi e mostra come questi fossero usati dalla macchina propagandistica del Reich.
Il cuore del libro è costituito naturalmente dai testi del compositore austriaco, diventato una sorta di leader all’interno della comunità artistica del campo. Le sue critiche dotte e vivaci dei concerti che si tenevano a Terezín descrivono vividamente cori giovanili e artisti solisti, astri del palcoscenico e dell’opera europei che negli anni di reclusione non solo non avevano rinunciato a nutrire il proprio spirito e a esercitare la propria arte, ma anzi proprio per sopravvivere avevano dato nuovo impulso alla propria creatività. Del resto, lo stesso Ullmann dichiarava: “Vorrei solo sottolineare che il mio lavoro musicale è stato promosso e non inibito da Theresienstadt”.
Aiutati dalle note di Ludwig, che spiega la terminologia musicale e inquadra l’opera dei diversi artisti citati, grazie ai saggi di Ullmann si approfondisce la conoscenza di artisti come Gideon Klein, Pavel Haas e Hans Krása così come si ricordano personaggi come la pianista Alice Herz-Sommer, sopravvissuta ai campi e morta a 110 anni nel 2014, il baritono Karel Berman o Kurt Gerron. Quest’ultimo, regista e star del cabaret apparso tra l’altro con Marlene Dietrich ne L’angelo azzurro, finirà assassinato con la moglie ad Auschwitz dopo essere stato costretto a dirigere, con la promessa di avere salva la vita, uno di quegli scellerati film di propaganda all’interno del suo stesso luogo di reclusione: Theresienstadt.
Accanto alle critiche di Ullmann il volume presenta anche oltre 200 opere d’arte dei reclusi e documenti che sono stati recuperati dopo la guerra dai loro nascondigli nei muri delle caserme e sono ora conservati negli archivi europei. Dai manoscritti agli spartiti, dalle locandine degli spettacoli che si tenevano nel campo ai dipinti, agli schizzi e ai pastelli che rappresentano scene di vita e di arte nel campo, sono anch’essi esempi del talento dei prigionieri di Terezin e dell’ansia con la quale esso veniva espresso in tutte le forme possibili insieme alla volontà di testimoniare l’orrore.
La lettura di Our Will to Live è completata infine da una collezione originale di 34 registrazioni di musiche d’epoca e moderne eseguite dai sopravvissuti di Terezín e da maestri contemporanei. Collegandosi alla sezione dedicata del sito del progetto si possono ascoltare le esecuzioni dei brani eseguite da star contemporanee come il violoncellista Yo-Yo Ma o dai sopravvissuti Karel Berman e George Horner, dall’Hawthorne String Quartet, dal Coro Allegro di Boston, dallo stesso Mark Ludwig e da diversi altri interpreti alle prese con le composizioni di Karel Svenk e Erwin Schulhoff, con le canzoni ebraiche di Sigmund Schul, con i quartetti d’archi di Pavel Haas, oltre ovviamente che con la musica di Ullmann.
Intese come un indispensabile completamento alla consultazione del libro, nelle intenzioni del curatore queste registrazioni andrebbero ascoltate durante la lettura dei diversi saggi. Per questo motivo, a ciascuna di esse sono abbinati gli scritti di Ullmann che le sono legati, in modo da comprenderne meglio le parole e i riferimenti artistici e vivere così un’esperienza ancora più coinvolgente.
Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.