Hebraica Nizozot/Scintille
La scelta vegetariana tra Torà, etica rabbinica ed età messianica

Un agire consapevole verso il mondo

Esiste un rapporto tra messianismo e scelta vegetariana? Se una relazione pacifica (o pacificata) dell’essere umano con il resto del creato implica anche il ‘non uccidere’ alcun vivente per cibarsene, come può tale relazione non assurgere a segno dell’età messianica e a spia di piena osservanza della Torà o, meglio, di piena comprensione dello spirito che anima l’intera Torà? Ma ecco la prima, forte obiezione: la Torà non prescrive affatto di essere vegetariani! Vero, tuttavia, come afferma il primo rabbino capo ashkenazita di Israele Itzchaq HaLevi Herzog: “I maestri del giudaismo non danno per scontata la natura carnivora dell’essere umano. Anzi, gli studiosi del Talmud dicono che, tra la creazione di Adam e Chaya [Adamo ed Eva] e la generazione di Noach/Noè ossia del diluvio, gli esseri umani si cibavano solo di vegetali”. Infatti, dopo aver creato l’uomo e la donna e dopo avere recitato su di loro la berakhà [benedizione], Iddio Benedetto disse loro: “Ecco, vi dò ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero in cui v’è frutto che produce seme: saranno il vostro cibo” (Bereshit/Gn1,29). Questo doveva essere lo stesso cibo per tutti i viventi, anche per gli animali ‘nei quali è alito di vita’. Su tale versetto il medievale Shlomò ben Itzchaq, Rashi, nel XI secolo commenta: “Dio non permise ad Adamo e alla sua compagna di uccidere creatura alcuna e di mangiarne la carne. Tutti loro avrebbero dovuto mangiare erba insieme”.

Stando a queste autorevoli opinioni, solo dopo il diluvio Dio fece concessione all’essere umano di cibarsi della carne di quegli animali che Noè aveva salvato; e si può inferirne che tale radicale mutamento di idea sia il frutto del tremendo impatto che la tragedia del diluvio ebbe anche su Dio! Ne è testimone il passo seguente: “Quanto si muove e ha vita vi servirà di cibo, vi dò tutto questo come già [vi diedi] le verdure. Soltanto, non mangerete la carne con la sua vita, ossia il suo sangue” (Bereshit/Gn 9,3-4). Siffatta restrizione è forse connessa all’uso ancestrale di mangiare parti di animali senza prima ucciderli? La domanda sorge a partire dal trattato Sanhedrin, per il quale una delle sette leggi date da Dio a Noach/Noè – secondo i maestri del Talmud – consistette proprio nel divieto di mangiare parti di animale vivo, non macellato. E si tratta di una delle sette leggi fondamentali date non solo a Israele ma a tutta l’umanità! Un altro rabbino capo ashkenazita (all’epoca del Mandato Britannico), rav Abraham Itzchaq haCohen Kook, noto vegetariano, giunse a ipotizzare che tale concessione fosse dovuta al fatto che molti uomini praticavano il cannibalismo e il consumo di animali avrebbe prevenuto tale abominio risparmiando vite umane. Lo suggerirebbe il versetto successivo: “Domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello”. In qualsiasi modo si interpreti il mito, stando ai testi una specie di concessione ci fu, in netto contrasto con il progetto iniziale ossia con la prassi dell’Eden, dove Adamo ed Eva erano certamente vegetariani, oltre che al riparo da ogni dolore (e anche qui l’eventuale nesso suscita più di una suggestione).

Secondo molti maestri di Israele Iddio Benedetto tentò di reintrodurre le sue preferenze alimentari di tipo vegetariano quando mandò la manna ai figli e alle figlie di Isreale nel deserto (cfr. Shemot/Es 16; Bemidbar/Nm 11). Ma i lamenti per la mancanza di carne – evidentemente abbondante in Egitto – si fecero subito numerosi, e benché Iddio e Mosè ne avessero a male, furono inviate le quaglie, che però la Tradizione interpreta come una specie di castigo, dato che a seguito di quell’abbuffata carnivora arrivò una “gravissima piaga” che fece morire tanta gente (cfr. Bemidbar/Nm 11,34); nel capitolo successivo poi leggiamo della rivolta di Aronne e Miriam contro Mosè, loro fratello secondo la carne (e nella Torà nulla è a caso). Alla luce di queste e di decine di altre evidenze bibliche che attestano un’attenzione speciale, una sorta di delicatezza e tenerezza divine per gli animali – poiché “la Sua tenerezza plana su tutte le creature” come si legge in Tehillim/Salmi 145,9 – non è difficile affermare l’esistenza nel giudaismo di una predilezione divina per una dieta vegetariana, ispirata a una certa idealità, predilezione che tuttavia convive con norme e precetti che danno per scontato sia la realtà carnivora dell’essere umano, sia i modelli sacrali antichi incentrati su riti sacrificali. Se infatti censurassimo quel che nella Bibbia urta o contraddice i principi di una filosofia vegetariana/vegana, vi restebbe ben poco! Come ricorda il rabbino Zalman Schachter-Shalomi, tra i fondatori del movimento Jewish Renewal, “gli ebrei furono a lungo un popolo pastorale: allevare animali e cibarsene era il loro modo di vivere. Non solo mangiavano carne, ma bevevano acqua e vino da sacche di cuoio, vivevano in tende e vestivano abiti fatti di pelli animali, avevano monili di ossa e tendini. Leggevano poi la Torà scritta su pergamene [ricavate da pelli di animali kasher], usavano corni come shofarim, pregavano indossando tefillin di cuoio. E ovviamente offrivano al Tempio di Gerusalemme i loro migliori animali, oltre che le premizie vegetariane dei campi”.
Proprio per questo, aggiunge rav Schachter-Shalomi, risulta straordinario vedere come ‘immaginassero’ invece una creazione divina ispirata a un diverso rapporto con il mondo animale, improntata a un’alimentazione senza carne e come, in aggiunta, ‘immaginassero’ con l’aiuto dei profeti persino un’èra futura – l’età del messia – nella quale “la vacca e l’orsa pascoleranno insieme, si sdraieranno insieme i loro piccoli; [in cui] il leone si ciberà di paglia come il bue” (Isaia 11,7). Del resto la Torà, fornendo liste dettagliate degli animali permessi e di quelli proibiti, pose dei limiti ben precisi anche al consumo di carne, limiti resi ancor più restrittivi dai maestri che fissarono in seguito le norme halakhiche sulla shechità, sulla macellazione rituale degli animali permessi. Permessi sì, ma a certe condizioni e secondo precise norme procedurali, quasi l’halakhà volesse scoraggiare tale consumo. Va pur detto: ciò che è permesso non è imposto.

Là dove Iddio Benedetto descrive il segno par excelence della Sua promessa a Israele, pegno divino nella stessa alleanza cioè la terra di Israele, si dice: “Un paese fertile… terra di frumento, di orzo, di viti, di fichi e di melograni; un paese di ulivi, di olio e di miele [da datteri]; un paese dove non mangerai con scarsità il pane” (Devarim/Dt 8,7-9). Più esplicitamente il Talmud dice che un padre non dovrebbe insegnare al proprio figlio a mangiar carne (cfr. Chullin 84a, un trattato tutto dedicato alla keshrut della carne animale). La Tradizione prescrive poi una benedizione su ogni cibo e bevanda, specie su ogni primizia – e in generale sull’uso moderato del mondo – ma non prescrive nessuna berakhà prima del consumo di carne animale. Come si può lodare Iddio per la Sua creazione dinanzi a un pezzo di essa ucciso per essere mangiato? Per le stesse ragioni di coerenza, quando a Kippur si digiuna in segno di espiazione e si chiede la pietà divina, non si mettono i tefillin né si indossano indumenti (vesti, scarpe, cinture…) fatti di cuoio o di pelli animali. Come può un ebreo chiedere perdono a Dio mentre indossa il frutto della morte di animali innocenti? L’opzione vegetariana qui è trascesa da un agire consapevole verso il mondo animale che va ben oltre la sfera alimentare. Solo allorché l’essere umano saprà riconciliarsi con tutto il creato, a partire dal mondo animale, potrà davvero accedere alla riconciliazione con Dio e alla kantiana ‘pace perpetua’ tra i popoli. Questa è, meglio sarà appunto l’èra messianica, che tuttavia ebraicamente si può anticipare e addirittura accelerare praticando le mitzwot, i precetti, secondo lo spirito e le norme della Torà e dell’halakhà.

Massimo Giuliani
collaboratore

Massimo Giuliani insegna Pensiero ebraico all’università di Trento e Filosofia ebraica nel corso triennale di Studi ebraici dell’Ucei a Roma


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.